lunedì 9 aprile 2012

Sprechi con le stellette/1, verso il nuovo modello di difesa (o di controllo del mondo)


Queste inchieste di Repubblica sono di inizio novembre 2011, quando il Ministro della Difesa era La Russa, quindi un nemico. Ora c'e' il governo Monti con l' Ammiraglio Di Paola Ministro della Difesa, quindi un governo amico.


A questo link possiamo trovare la conferenza stampa del nuovo Ministro sulla ristrutturazione delle Forze Armate,un nuovo modello di Difesa (o di controllo del mondo):

Via 40.000 persone, ma non una lira in meno. Tutto quello che verra' risparmiato andra' in armi sempre piu' distruttive. Di sprechi, appalti fantasma e miliardi per la mini-naja, non si parla:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=46776


SPRECHI CON LE STELLETTE/1

La macchina militare italiana ingoia ogni anno 27 miliardi di euro: quattro volte il fondo ordinario delle università. Ma alle spalle dei dodicimila soldati d'eccellenza che dall'Afghanistan al Libano garantiscono missioni di alto livello c'è un elefantiaco apparato di 190mila addetti che non collima nè con le esigenze strategiche nè con le logiche di bilancio. Siamo andati a vedere come e perchè

IL CASO
di ENRICO BELLAVIA, EMANUELE LAURIA

Forze armate a due velocità

eroi in missione, spreconi in patria Il ministero guidato da Ignazio La Russa, dieci anni dopo il varo del nuovo modello di Difesa, ha in dotazione una ventina di miliardi l'anno per le esigenze di esercito, marina, aeronautica e carabinieri. Ma il totale sale a 27 miliardi con i fondi legati alle missioni di peace keeping e alla produzione di armi. Sono davvero tutti soldi necessari o resistono anche in tempo di tagli aree dove la spesa potrebbe facilmente essere razionalizzata?

Ogni minuto che passa lo Stato brucia 50mila euro in spese militari. Tre milioni l’ora, settantatré al giorno. L’orologio della Difesa non conosce soste, ignora gli allarmi della crisi, scandisce i tempi di un flusso finanziario continuo. Quello necessario a garantire un esercito di professionisti, gli armamenti, le missioni all’estero. E ad assicurare un ventaglio sempre più ampio di funzioni più o meno tradizionali: dalla vigilanza sulle discariche alle iniziative promozionali come feste e parate. Sono le cifre di un apparato di sicurezza interno e internazionale di cui il governo può menar vanto, ma sono anche i numeri di un gigantesco business che alimenta sprechi e sperperi.

Tagliato il traguardo dei due lustri della leva volontaria, il nuovo modello di Difesa varato nel 2000 mostra tutte le sue crepe. Additate, allo stesso modo, da pacifisti e osservatori militari accreditati. Il totale delle spese per le forze armate e l’industria bellica, nel 2010, si è attestato sui 27 miliardi di euro. In questo comparto, per intenderci, lo Stato garantisce finanziamenti quattro volte superiori a quelli del fondo ordinario delle università. O, messa in un altro modo, appronta risorse più di tre volte superiori a quelle che conta di ricavare dai tagli previsti per scuola e servizi. Come si arriva a questa cifra che fa a pugni con i propositi rigoristi dell’esecutivo?

La ragnatela della spesa. Ventisette miliardi è la somma indicata dal rapporto annuale del Sipri, un istituto internazionale indipendente che ha sede a Stoccolma. E’ un conto economico in crescita rispetto all’anno precedente, che tiene conto di una pluralità di voci che fanno lievitare il totale a una quota quasi doppia rispetto a quella, ufficiale, che compare nel bilancio della Difesa: il ministero guidato da Ignazio La Russa ha infatti una dotazione di 14,5 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i 5,7 miliardi della funzione sicurezza garantita dai carabinieri e gli 1,5 miliardi delle missioni all’estero rifinanziate di sei mesi in sei mesi.

Disseminate poi in mille altri capitoli ci sono le voci riconducibili alle spese militari ma che rientrano negli investimenti per la produzioni di armi, mezzi e sofisticati congegni tecnologici a scopi bellici. Il solo ministero dello Sviluppo economico ha una quota di 3,5 miliardi per questa finalità, ma nel settore della ricerca risorse ci sono fondi destinati a fini collaterali anche nei capitoli del Miur. Allora, la domanda è: in che modo vengono utilizzati i fondi?

Comandanti e comandati. L’Italia è l’ottavo paese al mondo per spese militari, addirittura il quinto se si analizzano le uscite pro-capite, cioè divise per il numero di abitanti. Eppure il nostro Paese non è né la quinta né l’ottava potenza internazionale. Un dato di partenza su cui si interrogano in molti. Anche perché lo Stato italiano, pur destinando solo lo 0,9 per cento del suo Pil alla difesa, ha un contingente militare che per dimensioni è secondo in Europa solo alla Francia. In realtà, le nostre forze armate presenti nei teatri dei conflitti, protagoniste dall’Aghanistan al Libano di missioni apprezzate a livello internazionale, non superano le 12mila unità.

Ma alle spalle di queste avanguardie d’eccellenza, c’è un apparato elefantiaco che conta 190mila persone. Ed è la distribuzione di questo personale a suscitare qualche interrogativo. A partire dalla cifra dei graduati: 98mila fra ufficiali e sottufficiali. In pratica, come rivelano Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca ne Il caro armato (edizioni Altra economia, 13 euro), oggi fra esercito, marina e aeronautica i comandanti sono più dei comandati. In Italia abbiamo seicento fra generali e ammiragli: gli Stati Uniti, che pure vantano un apparato militare da un milione 400mila uomini, hanno appena 900 figure di questo tipo. Quanto risponde questa struttura a esigenze strategiche e logiche di bilancio?

10 novembre 2011

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/11/10/news/sprechimilitariuno_sprechimilitaridue-24772048/index.html

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