giovedì 1 marzo 2012

Aldo Capitini: il rifiuto della guerra - Letture per un nuovo movimento contro la guerra



Una prova della difficolta’ od impossibilita’ da parte del riformismo e dell’autoritarismo di formare il “nuovo uomo” e’ nel fatto che l’uno e l’altro sono disposti ad usare lo strumento guerra. Si sa che cosa significa, oggi specialmente, la guerra e la sua preparazione: la sottrazione di enormi risorse allo sviluppo civile, la strage di innocenti e di estranei, l’ involuzione dell’ educazione democratica ed aperta, la riduzione della liberta’ e il soffocamento di ogni proposta di miglioramento della societa’ e delle abitudini civili, la sostituzione totale dell’ efficienza distruttiva al controllo dal basso.

Tanta e’ la forza spietata che la decisione bellica mette in moto che essa viene ad assomigliare ad una delle terribili manifestazioni della “natura”, le piu’ assurde e crudeli e spietate, e certamente ora le supera in numero di vittime.
E’ difficile pensare che la natura possa distruggere in pochi minuti tante persone quante ne distrusse Hiroshima, riducendole alcune ad una semplice traccia segnata sul muro. E quella bomba era di forza molto modesta rispetto alle bombe attuali !
Il rifiuto della guerra e’ percio’ la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso, e se vediamo l’ antitesi tra la natura come forza e la compresenza come unita’ ed amore, e’ chiaro che la guerra aggrava la natura, la sorpassa nella sua distruttivita’, nella sua spietatezza rispetto ai singoli esseri, alla cui attenzione la compresenza richiama costantemente.

L’ indipendenza delle istituzioni che possono preparare ed eseguire la guerra e’ garantita dalla posizione di apertura alla compresenza. A poco a poco la tendenza rivoluzionaria verra’ a schierarsi da questa parte. Vi sara’ tuttavia un momento intermedio che e’ quello della guerriglia. Ma c’e’ guerriglia e guerriglia. Quella che si appoggia a Stati fornitori di armi e protettori, con ulteriori e massime minacce ai repressori della guerriglia: ma in tal modo la guerriglia non e’ che una manifestazione o premanifestazione della guerra, il suo surrogato in alcune zone, come gruppi di assalto o di rottura, senza che si realizzi un superamento della guerra e dei suoi inconvenienti detti sopra. O la guerriglia non si appoggia a nessuna potenza e a nessuna industria, e non si vede come possa- a parte il suo valore come espressione di rivolta, di sacrificio di eroismo – avere probabilita’ di modificare una situazione dominata da un potere fornito di mezzi moderni di strage.

La ragione del pacifismo integrale non e’ soltanto il fatto evidente che la guerra, una volta accettata, conduce a tali delitti e a tali stragi, specialmente oggi, che e’ assurdo presumere di farla e contenerla; ma e’ la vita della compresenza che si sceglie, il suo accertamento, la sua costruzione, la sua celebrazione quotidiana. Mentre si lavora per migliorare continuamente il rapporto di comprensione e di sacrificio verso ogni essere, non si puo’ interrompere tale lavoro e mutare l’ apertura in chiusura.

Ma c’e’ anche una ragione di carattere organizzativo. E’chiaro che bisogna arrivare a moltitudini che rifiutano la guerra, che blocchino con le tecniche non violente il potere che voglia imporre la guerra. L’ Europa ha sofferto per non avere avuto queste moltitudini di dissidenza assoluta, per esempio riguardo al potere dei fascisti e dei nazisti.
L’ omnicrazia deve prendere corpo anche in questo modo: nella capacita’ di impedire dal basso le oppressioni e gli sfruttamenti; ma questa capacita’ delle moltitudini ha il suo collaudo nel rifiuto della guerra, intimando un altro corso alla storia del mondo.

Se davanti alle forze della natura non ci si e’ mossi con il programma che la lotta e la loro utilizzazione fosse per tutti, “fra se’ confederati” diceva il Leopardi, si e’ persa la tensione di trovare il punto della trasformazione della natura al servizio di tutti, come singoli: chi da’ la morte, non puo’ rimproverare la natura di preparare la nostra morte. Questo collaudo e’ necessario, perche’ tutte le volte che gli individui si accontentassero di ottenere qualche cosa nell’ ambito della natura, dello Stato, dell’ impresa, perderebbero l’ acquistato se travolti dalla guerra.

Se nello Stato la lotta contro il potere assoluto ha ottenuto il regime parlamentare, tuttavia e’ rimasta la guerra ad impedire un ulteriore sviluppo democratico. Se nell’ impresa i lavoratori sono riusciti a progredire e persino ad imporre la socializzazione, poi la guerra, e la sua preparazione, li ha messi alla merce’ di un potere autoritario, tutt’altro che omnicratico.

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