Indignati europei contro la dittatura finanziaria e per democrazia effettiva nell' Unione Europea.
Gli 80 miliardi di questa manovra "tremontiana", per il rientro dal deficit entro il 2014, non sono niente rispetto al conto che ci viene chiesto, a partire dal 2014, dalla UE, per il debito pubblico, in virtù del Patto Euro Plus. (Deficit e debito sono due realtà collegate ma distinte).
E' un "salasso" già deciso, di cui gran parte della stessa sinistra radicale non sa nulla (o fa finta di non sapere).
Dal dossier del governo italiano (alla URL: http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/decreto_sviluppo/europlus.html), in merito a quest'ultimo, possiamo apprendere che:
"Il Patto euro plus è stato approvato – nel corso del consiglio europeo del 24-25 marzo 2011 - dai capi di Stato o di governo della zona euro e cui hanno aderito Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania".
Possiamo anche scaricare, dal medesimo sito, oltre al dossier, le conclusioni ufficiali della riunione da cui si evince che la UE ci presenta un conto da 900 miliardi di euro circa che dobbiamo pagare, all'inizio, in rate di 45 miliardi di euro annui.
Il debito pubblico italiano di oltre 1.800 miliardi di euro è pari, oggi, al 119% del PIL. Dobbiamo rientrare, in pochi anni, non è stato ben definito, al 60% del PIL, quindi da 1.800 a 900 miliardi circa, avviando un processo di taglio - dell'entità del debito - del 5% annuo della differenza tra lo stato presente e l'obiettivo da raggiungere. Sempre che il PIL italiano, grazie ad una possibile recessione, che può essere innescata anche dai suddetti tagli (oltre che dalla congiuntura internazionale), non precipiti!
Per non farla lunga, in rapporto alla situazione sopra descritta, che è un fatto, non una opinione, al momento sono propenso ad avanzare le seguenti, schematiche, tesi:
1- il debito pubblico, "noi popolo", non lo paghiamo, neanche alla maniera "equa e solidale" che ci propone, che so, "Sbilanciamoci". Questo perché è stato creato ed accumulato in maniera truffaldina e soprattutto - a livello europeo - per salvare la finanza internazionale (Luciano Gallino su Repubblica del 26 giugno 2011 ha ricordato che la UE ha contribuito con 3.000 miliardi di euro alla salvezza delle banche).
A livello italiano abbiamo da mettere sotto accusa i meccanismi della corruzione istituzionale, nell'intreccio politica-affarismo, messo in evidenza ad esempio dal libro "Soldi rubati" di Nunzia Penelope.
Affermare questa posizione - a mio avviso - non comporta automaticamente che vogliamo si proclami immediatamente la bancarotta dello Stato italiano (che Guido Viale dà, anche con l'editoriale di oggi sul "manifesto", ad esempio, per inevitabile: tanto vale anticiparla...).
2- Il debito pubblico va riconsiderato nella sua reale entità. Quello che, "noi popolo", decidiamo di riconoscere va fatto pagare a chi lo ha provocato. Qui possiamo seguire l'esempio islandese: la galera per i banchieri che si sottraggono alle dovute riparazioni.
Alle banche non facciamo beneficenza, così come loro non ne fanno a noi: gli aiuti concessi dallo Stato vanno trasformati in quote di proprietà pubblica.
Del resto era nei programmi della Resistenza europea, ricorda Stephane Hessel, in "Indignatevi!", "la nazionalizzazione delle grandi banche".
3- La politica istituzionale, quella dello Stato democratico, deve ripristinare il suo controllo su finanza e multinazionali. Lo spiega - udite, udite! - il "borghese" Guido Rossi in prima pagina sul "Sole 24 Ore" di oggi. L'editoriale porta il titolo: "Identikit della speculazione: solo le regole possono domarla". Cito qualche passo: "Le sregolate scelte dei mercati, dettate esclusivamente dalla passione del guadagno monetario, non possono più essere un modello interpretativo di una vita collettiva, ispirtata a quei principi di solidarietà e di eguaglianza che le democrazie occidentali hanno ereditato dal secolo dei Lumi... (Dobbiamo) ripristinare con chiarezza la fondamentale distinzione per la sopravvivenza delle democrazie e dell'Europa fra ciò che deve essere pubblico e ciò che deve essere privato, fra il diritto e l'economia".
4- Non basta quindi l'azione "lillipuziana"dal basso e la resistenza delle comunità territoriali. Occorre, sollecitato e controllato dalla cittadinanza attiva, l'intervento di poteri pubblici in una dimensione adeguata al "nemico" con il quale hanno da confrontarsi. Le "regole" alla finanza globale possono essere imposte solo, per cominciare, da una entità pubblica di dimensioni almeno europee.
Per questo non dobbiamo mettere in discussione l'adesione alla UE (qualcuno a sinistra lo sta facendo!) ma puntare ad una "democrazia effettiva" nella UE.
Questo comporta rivedere l'odierna funzione autonoma e tecnocratica della BCE, nonché trasformare il patto di stabilità monetaria, a fondamento di questa Europa, in un più generale patto di cittadinanza europea.
5- Non basta quindi dire NO, noi la crisi non la paghiamo. Usciamo dalla crisi solo con la conversione ecologica dell'economia (che include l'obiettivo del 100% energia rinnovabile). A dire solo di no si finisce perdenti come i protestatari greci. Bruciare bancomat può essere un ottimo sfogo per minoranze popolari anche consistenti. Il problema è che bisogna rassicurare un intero popolo, nella sua maggioranza, sul fatto che si ha la ricetta per mantenere un tenore di vita decente (pur scontando un lavoro su un diverso immaginario della ricchezza, anche questo grandissimo problema).
6- Dobbiamo quindi muoverci, lo scrive oggi Guido Viale, come "indignati europei": ma nel senso non di movimenti settoriali e territoriali (che magari si coordinano per un "mutuo soccorso" di volta in volta per vertenza particolari vissute come esemplari); bensì come unico "popolo indignato" impegnato in una lotta comune.
Quale lotta? Far pagare la crisi alla finanza che l'ha provocata, uscire da essa con un nuovo modello economico, con al centro diritti, beni pubblici e comuni. Democrazia effettiva ("reale" dicono gli spagnoli) ed economia ecologica per l'Europa!
In conlusione. Tra non molto anche le piazze italiane si riempiranno di tende con centinaia di migliaia di accampati, come già sta avvenendo in diversi Paese europei, e come presto accadrà in tutta Europa.
Ritengo non si possa affrontare questa esplosione sociale in arrivo (che è di autodifesa rispetto alla "Vita" che chiede la vampiresca "Borsa") senza un salto di qualità politico ed organizzativo, in Italia, ma non solo, dei vari "popoli" con i quali siamo oggi abituati a lavorare (pace, energia, acqua, NO-TAV, sindacato NO-Marchionne, eccetera).
Ad avere capito che stiamo arrivando ad una stretta storica finora non siamo purtroppo tanti. L'ho constatato all'assemblea dell'acqua pubblica a Roma.
In questo "crinale apocalittico della Storia" dovremo abbandonare la logica delle campagne specifiche di valore prefigurante. Dobbiamo pensare globalmente, agire globalmente, riportare ad un piano generale la lotta locale e settoriale.
Per fare un esempio, una tassa sulle transazioni finanziarie oggi è la stessa Commissione Europea a proporla.
Anche se venisse attuata, essa non avrebbe senso se non all'interno di una profonda riforma della governance UE, affinché non diventi un ulteriore strumento al consolidamento della "dittatura finanziaria" che si va sempre più affermando.
Non credo che a Genova verranno delle risposte alla problematica che ho solo sommariamente accennato.
Alfonso Navarra – 17 luglio 2011
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