venerdì 21 gennaio 2011

Egitto, la protesta cova sotto la cenere

di Azzurra Meringolo *

L’odore del gelsomino sta arrivando anche in Egitto. La società civile lavora per organizzare una grande manifestazione di strada prevista per il 25 gennaio.

I tunisini non solo i soli a essere stanchi delle loro condizioni di vita. Aumento dei prezzi, disoccupazione, povertà e oppressione sono problemi che attanagliano numerosi paesi della regione araba dove è possibile che, grazie a un effetto domino, la rivoluzione si propaghi, magari in forme diverse, da pese a paese. Negli ultimi cinque giorni sono stati almeno quattro gli algerini che hanno emulato il gesto di Mohamed Bouazzi, lo studente tunisino che il 17 dicembre scorso si é dato fuoco innescando le proteste che hanno portato alla caduta del presidente Ben Ali, e ieri è morto il primo giovane egiziano, un venticinquenne che si era dato fuoco sul tetto della sua abitazione di Alessandria per protestare contro l’impossibilità di trovare un lavoro.

Ahmed Hashim al Sayyed non è stato il primo egiziano a emulare il gesto di Mohamed Bouazzi, giá lunedì mattina il proprietario di un piccolo ristorante di foul –economica pietanza egiziana- nella regione di Qantara si era presentato davanti alla camera bassa del parlamento egiziano per protestare contro la chiusura del suo locale e quando gli é stata negata la possibilità di entrare si è cosparso di carburante per poi darsi fuoco. In mattinata poi anche un avvocato quarantanovenne ha cercato di darsi fuoco nelle vicinanze del parlamento per protestare contro le sue misere condizioni di vita.


L’odore del gelsomino sta arrivando anche in Egitto e mentre la società civile lavora per organizzare una manifestazione di strada prevista per il 25 gennaio, molti temono che anche un piccolo fiammifero possa innescare la rivolta che, una volta iniziata, sarebbe difficile da contenere. Sono molti gli egiziani che, stanchi di essere umiliati e soffocati dal regime, sperano che anche per l’eterno faraone sia iniziato il conto alla rovescia, ma, pur ammirando i vicini tunisini, molti sperano che nel loro paese il cambiamento avvenga in maniera più pacifica. I principali leader dei movimenti di opposizioni sperano che a rovesciare il regime sia un processo di riforma che scongiuri lo scoppio di una violenza difficilmente controllabile. A pensarla così è non solo Ibrahim Eissa, il più critico giornalista nei confronti del regime, ma anche Mohammed El Baradei, ex segretario generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e possibile sfidante del raís egiziano alle prossime lezioni presidenziali, che in un messaggio twetter ha chiesto al regime egiziano di permettere una transizione di potere pacifica. “La violenza tunisina è stata una risposta alla repressione –conclude El Baradei- il regime dovrebbe capire che solo attraverso un cambiamento pacifico si potranno evitare dolorose ripercussioni.” A fare eco a queste parole sono anche i vertici della fratellanza musulmana che non sperano in una rivoluzione violenta, ma in un processo di riforma costruttivo che non distrugga le istituzioni esistenti, ma le ridoni il significato del quale il regime le ha private.

Al servizio della stabilità interna, da ormai una settimana i quotidiani leali al presidente si stanno impegnando per mantenere tranquille le acque, negando il rischio di ogni possibile effetto domino e annunciando le varie iniziative che, frettolosamente, sta prendendo il presidente Hosni Mubarak per migliorare le loro condizioni di vita. Oltre a sperare che la popolazione possa credere ancora una volta a quanto il regime racconta, il governo, visibilmente spaventato, sta cercando di mettere le mani avanti per evitare che si riproponga al Cairo quanto accaduto a Tunisi. Nel fine settimana alcuni membri del partito Nazional Democratico del presidente Hosni Mubarak si sarebbero incontrati con rappresentanti dei sindacati dei lavoratori per implementare piani preventivi in grado di evitare lo scoppio di proteste di massa. Insieme al primo ministro Ahmed Nazif avrebbero convenuto che nell’immediato non ci sarebbe stato alcun aumento delle tasse e dei prezzi di beni di prima necessità.

Secondo quanto dichiarato da Al Jazeera giá sabato scorso il presidente Hosni Mubarak avrebbe avuto un incontro a porte chiuse con i membri del Consiglio Nazionale di Difesa per decidere di implementare una serie di misure preventive per evitare nell’immediato ogni minimo gesto che possa provocare i cittadini e scongiurare quindi una presa delle strade.

A parlare oggi è stato anche Hossam Zaki, portavoce del ministro degli esteri, che ha dichiarato che “la situazione presente in Tunisia prima del rovesciamento del presidente Ben Ali non è paragonabile a quella di altri paesi arabi ”, Egitto in primis. Anche se Tunisia e Cairo sono paesi diversi, con società differenti, i problemi che attanagliano il Cairo sono gli stessi che strangolavano Tunisi. Il tasso di disoccupazione è alle stelle, la corruzione è sempre più diffusa, la divisione tra ricchi e poveri sempre più profonda e l’opposizione continua a denunciare di essere vittima di una crescente repressione.

Per mantenere saldo il controllo nelle sue mani, negli ultimi decenni il regime egiziano ha fatto sempre più ricorso alla forza per sopprimere ogni voce stonata e, secondo alcuni analisti, la popolazione egiziana è ora terribilmente impaurita dalla polizia. Tutto ciò li tratterrebbe dallo scendere in piazza. Il regime però, stretto alleato dell’Occidente che ha fino ad ora apprezzato la sua capacità di mantenere la stabilità interna e contenere l’ascesa dell’islam politico, sembra ora in difficoltà, schizofrenico e incapace di mantenere la situazione sotto controllo. Forse sono i segni della stanchezza di un regime vecchio e stagnante che ha sempre avuto in pugno il controllo della situazione e che, impaurito, non sa neanche che aereo prendere qualora anche il Cairo fosse invaso dall’odore del gelsomino.

* (Fonte: Nena News)
da www.contropiano.org

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