21/10/2011
Libia, una missione da 192 milioni di euro
Gheddafi è morto ma la guerra durerà ancora molto. E i soldi continuano a scorre per finanziare le operazioni militari. L'opinione di Francesco Vignarca e Paolo Busoni
Dopo 246 giorni di guerra, Gheddafi è caduto. Ad affondarlo sono stati soprattutto i colpi dei raid aerei della Nato: 26mila bombardamenti nel giro dei sette mesi di operazioni militari. Per l'Italia, l'impegno in Libia è costato 192 milioni di euro, divisi in due tranche: una prima da 134 milioni, in cui si sono disposti sul campo 1.970 uomini; la seconda, riferita al trimestre giugno-settembre, da 58 milioni di euro.
In Parlamento, però, non si discute del rifinanziamento della missione militare da luglio. Colpa dei malumori leghisti, che avrebbero potuto mettere il governo in minoranza nel momento della votazione in aula. "L'esercito - spiega Francesco Vignarca di Rete disarmo -è schierato senza il consenso del Parlamento. Le missioni militari sono votate per un certo periodo, non possono essere approvate indefinitamente". In sostanza, l'esercito italiano spara senza il consenso del Parlamento.
Ma la vera notizia di oggi, secondo Francesco Vignarca, è la riapertura del polo di costruzione di elicotteri della Agusta Westland, in Libia. "Finmeccanica - ha detto il 21 ottobre il ministro Franco Frattini, interpellato a margine del Forum Confindustria-Bdi - ha già riaperto il suo stabilimento. C'e' un laboratorio di costruzione degli elicotteri che ha ripreso a funzionare normalmente". Liatec è il nome dell'azienda, controllata per il 50 percento dalla Libyan Company for Aviation Industry , una società per azioni del Paese nordafricano, per il 25 percento da Finmeccanica e per il restante 25 percento da Agusta. Quindi, il ricavato della società va equamente diviso tra le due sponde del Mediterraneo. "È l'unica joint venture alla pari con un Paese acquirente - dichiara Vignarca - . Questo lascia intendere la forza contrattuale del vecchio regime. E continuerà anche con il Cnt perché non sono molte le aziende che fabbricano elicotteri. Ciò che verrà messo in discussione sarà il nostro primato sulle esportazioni, finora incontrastato".
Nonostante gli affari, le operazioni militari non si interromperanno in tempi brevi. È questa l'opinione di Paolo Busoni, collaboratore di Emergency ed esperto in operazioni militari. "Ritengo - afferma - che ci saranno almeno ricognizioni aeree e qualche raid isolato, che verrà tenuto nascosto". La guerra, oggi, "si fa con le informazioni". Si chiama "situation awarness": anche senza la presenza fisica, si mantiene costante il flusso notizie per avere sempre tutto sotto controllo e non perdere il vantaggio acquisito con l'intervento militare. Anche in questo caso, il primo Paese della lista è la Francia di Sarkò.
Chi mette le mani sulla Libia, infatti, difficilmente lascia la preda così in fretta. E chi ci rimetterà, secondo Busoni, sarà di nuovo l'Italia, che rischia di trovarsi poco attrezzata anche per affrontare questa fase ‘post conflitto armato': "Non so se la politica avrà l'intelligenza per dare una risposta adeguata. In Italia si spera sempre nei soliti meccanismi di corruttela e di amicizia con cui si reggevano i rapporti con il regime di Gheddafi". Ma in questa corsa al consenso dei ribelli libici, l'Italia partirà sempre svantaggiata: la prima a premere il grilletto e a sostenere la rivolta è stata la Francia di Nicholas Sarkozy.
Secondo Busoni, la nuova Libia non avrà la stessa fisionomia di quella vecchia. "Credo che il Paese si frammenterà", dice. Il Paese ormai è stracolmo di armi "soprattutto leggere, facili da usare": un contesto ideale per far scatenare una "guerra tra bande". Tra queste armi, forse, ci sono anche 7.500 pistole, 1.900 carabine e 1.800 fucili che sembra siano finiti nelle mani del settore di Pubblica Sicurezza del Comitato Popolare Generale (l'istituzione di Governo Libica), a fine 2009. Nei documenti italini che testimoniano la vendita, però, la destinazione finale è celata sotto il segreto di Stato. La partita vale 8,1 milioni di euro: salpata da La Spezia, si sa solo che si è fermata a Malta per uno scalo tecnico, poi più nulla. Un misterioso affare su cui ha indagato Altreconomia e attorno a cui s'annidano ancora molti dubbi solo perché l'Italia non ha l'obbligo di tracciare il traffico degli armamenti leggeri.
"Chi è inquadrato militarmente - prosegue Busoni- è fortemente islamista e si è preparato in Afghanistan o con Hamas", a differenza del resto del governo provvisorio, fuoriuscito dalle gerarchie dell'ex Jamahiriya. D'altronde, come ha ricordato il generale Fabio Mini, in questi ultimi anni non si è conclusa nessuna guerra. La fine di Gheddafi, quindi, rischia di essere solo un punto di svolta in un conflitto molto più lungo.
Lorenzo Bagnoli
Fonte www.peacereport.net
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