La protesta nata sui social network dilaga. I ragazzi occupano piazze e strade per dire basta ad una politica troppo lontana dai cittadini
Scritto per peacereporter.net da Madrid
da Valeria Tundo
La Spagna è scesa in piazza per manifestare il proprio mal contento. Come spesso accade, è la crisi economica a svegliare la popolazione dal torpore e farla "indignare", verbo chiave per capire la protesta di questi giorni che è ormai conosciuta come quella de los indignados (degli indignati). Ed è così che nasce il "Toma la calle - 15/05/11", poi ribattezzato 15 M in Italia. Una manifestazione promossa alla vigilia delle elezioni amministrative dai gruppi "No les votes" (Non li votare) e "Democracia real ya" (Democrazia vera adesso) sui principali social network e che attraverso il tam tam mediatico è andata acquisendo proporzioni sempre più grandi.Nessuno si aspettava il successo poi avuto; non i promotori, né tantomeno le autorità locali. Ma è un fatto che il movimento, che avrebbe dovuto esser circoscritto al centro nevralgico di Madrid, nella Plaza de Sol - ora nota ai manifestanti come Plaza de Sol-ucion (Piazza della soluzione) - si è diffuso a macchia d'olio, tracimando in più di 40 città e arrivando a coinvolgere persino le ambasciate spagnole nel resto d'Europa.
Ed eccoli lì, giovani e meno giovani, famiglie con bambini e pensionati, tutti uniti da un profondo malessere. Stufi del forte bipolarismo e, più in generale, di un sistema che non lascia spazio alla formazione di nuove forze politiche e che favorisce esclusivamente i due partiti maggioritari, Psoe (Partido Socialista Obrero Espanol, socialisti) e Pp (Partido Popular, conservatori), stanchi della corruzione diffusa, e dell'abuso di potere ad opera del sistema bancario. Rosa Llurba, 42 anni, aveva la voce che le tremava dall'emozione: "Ci hanno mentito a lungo, ci hanno utilizzato come fossimo marionette e non persone, e ci hanno tolto la dignità ... ma stiamo iniziando a recuperarla".
Sono accampati nelle principali piazze da domenica sera e vorrebbero resistere sino al 22, giorno delle votazioni. Organizzati, organizzatissimi. Ripetendo a mo' di mantra "No nos vamos" (non ce ne andiamo) e "No tenemos casa, nos quedamos en la plaza" (non abbiamo casa, restiamo in piazza), distribuiscono garofani e margherite agli agenti di polizia che circondano il perimetro nel caso volessero evacuare la zona. Se ne stanno lì sotto la pioggia incessante, improvvisando un riparo con ombrelli e teloni di plastica, e non si lamentano né si scoraggiano. Una rivolta civile, educata, ma non per questo meno sentita; un'altra faccia della Spagna a cui il resto del mondo è abituato.
Nessun gruppo politico dietro alla protesta, come qualcuno ha insinuato. Soltanto il desiderio di risvegliare le coscienze ed aprire gli occhi a chi non vuole o fa finta di non vedere. Roberto Bruna, 28 anni, è chiaro: " Chi ha aderito non spera di ottenere nulla in concreto. Vuole semplicemente esprimere il proprio disappunto verso il sistema politico attuale e i politici che lo costituiscono. Gli spagnoli si sentono estranei a questo teatro in cui recitano, e sono stanchi di essere semplici spettatori di un'opera in cui i loro applausi contano sempre meno". Dello stesso avviso Francisco: "Sono un taxista, ho un figlio disoccupato di 28 anni che vive con la sua compagna. Tre anni fa comprò casa, pensando che fosse un investimento oculato. Ora si ritrova con un'ipoteca da pagare per i prossimi cinquanta anni... una condanna a morte, altro che investimento. Devono continuare a lottare perché tutto questo cambi".
Ed "indignata" è anche Andrea, che su uno dei forum in cui si raccoglie la protesta, racconta la sua storia e la sua rabbia: "Ho 27 anni ed al quinto mese di gravidanza mi hanno licenziato dalla scuola materna dove lavoravo come maestra perché sarei diventata madre. E' scandaloso!". Un clima analogo si respira a Valencia. Alla domanda di rito "E tu perché sei qui?", Luis risponde secco: "Perché come tanti spagnoli ora mi sono svegliato. Ho smesso di pensare che manifestare non serva, e mi sono reso conto che alla fine dei giochi non ho nulla da perderci facendolo. Vengo da una famiglia socialista, e, di fatto, alcuni dei miei parenti militano tuttora nel partito. A suo tempo ho addirittura votato Pp quando pensavo fosse una valida alternativa; soltanto adesso mi sono reso conto, come gli altri, del resto, che è tutta una bugia, che votare un partito o l'altro è fondamentalmente la stessa cosa. Avremmo dovuto ribellarci parecchio tempo fa, prima della crisi, quando ci fu il boom immobiliare e passammo da appartamenti di 25 mila euro con ipoteca per 20 anni ad appartamenti di 250 mila con ipoteca quarantennale. Perlomeno adesso ho recuperato la speranza nei miei compatrioti...".
Disincantati, dunque, ma combattivi e decisi gli spagnoli che in questi giorni stanno occupando le strade. Ed anche se le autorità già minacciano lo sgombero e utilizzano il terrorismo psicologico per spaventare gli animi più deboli attraverso il reato di "delitto elettorale", la rivolta sembra inarrestabile. Che gli spagnoli riescano finalmente a passare dal "Yes We Camp" al "Yes We Can"?
Fonte www.peacereporter.net
giovedì 19 maggio 2011
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