giovedì 10 novembre 2011

Nicaragua e Guatemala:Uomini Contro la Violenza

L'AHCV (Asociaciòn Hombres Contra la Violencia)

L’Associazione è stata formalmente costituita il 20 maggio del 2000 su iniziativa del gruppo uomini di Managua, attivo dal 1993 (l’anno in cui è nato anche il nostro gruppo...). Una settantina di gruppi-uomini sono attivi in quasi tutte le regioni del Nicaragua, impegnati a:
- Promuovere nuove forme di relazioni tra uomini e donne
- Prevenire e ridurre la violenza di genere e di generazione
- Stimolare processi di cambiamento delle forme di pensiero, delle attitudini, dei valori e dei comportamenti machisti degli uomini in Nicaragua
- Promuovere spazi educativi e di riflessione sulle modalità di esercizio del potere tra uomini e sul cambiamento personale verso pratiche di uguaglianza in tutte le relazioni
- Incidere sulle politiche pubbliche per orientarle all’uguaglianza di diritti, opportunità e responsabilità per donne e uomini di ogni età e condizione sociale
Le loro iniziative specifiche possono essere così riassunte:
- Organizzano campagne di riflessione e sensibilizzazione nelle regioni dove c’é più violenza (anche se il Nicaragua – ci hanno detto – è il Paese centramericano dove c’è meno violenza...)
- Curano tre “reti” per fasce d’età: bambini fino agli 11 anni; adolescenti e giovani dai 12 ai 23; adulti; sia nelle campagne che nelle città
- A loro fa riferimento anche una rete di gay
- Promuovono il consolidamento di una Rete Centramericana e del Caribe di uomini contro la violenza: il 23 novembre prossimo questa rete si incontrerà in un convegno a cui Julio mi ha invitato a partecipare via skype
- Cercano di far maturare la responsabilità maschile nella prevenzione della violenza di genere e dell’AIDS, in particolare promuovendo e diffondendo i diritti sessuali e riproduttivi di donne e giovani.

I diritti umani

I “diritti umani” sono come una parola d’ordine universale, che abbiamo letto dappertutto e sentito ripetere spesso, tanto in Nicaragua quanto in Guatemala. E, tra la documentazione che abbiamo portato con noi, sono molti gli opuscoli che ne parlano. A leggerli sembrerebbe che le Istituzioni quasi non pensino ad altro, mentre la realtà è profondamente diversa. Riprenderò l’argomento parlando del Guatemala.
La rete nicaraguense degli uomini contro la violenza insiste nell’iniziativa per “promuovere l’organizzazione di gruppi di uomini che si impegnino, in reti locali, in pratiche di nonviolenza verso le donne, di uguaglianza tra i generi e di giustizia sociale basata sui diritti umani”. Una foto li ritrae mentre reggono un enorme striscione, durante una manifestazione pubblica, in difesa dei diritti umani.

Uomini di verità o la verità sugli uomini

E’ il titolo di una “Guida alla riflessione con gruppi di uomini in tema di Genere e Mascolinità” (se qualcuno/a volesse consultarla, Julio me ne ha regalato una copia), realizzata in sinergia tra l’AHCV e un’agenzia di cooperazione internazionale dell’Irlanda del Nord.
E’ costituita da “30 sessioni di riflessione divise in 5 cicli, indirizzate in primo luogo a uomini adolescenti, giovani e adulti che non hanno mai avuto contatti con la tematica di genere e mascolinità. (...) Per gruppi che hanno già avuto contatti con la tematica è possibile selezionare sessioni specifiche di particolare interesse, dal momento che ogni sessione costituisce una unità completa in sé”.
I 5 cicli sono così articolati:
1. Disimparare il machismo (5 sessioni)
2. Mascolinità, potere e violenza (7 sessioni)
3. La sessualità maschile (12 sessioni)
4. Imparare a essere padri (3 sessioni)
5. La comunicazione interpersonale (3 sessioni)
In alcune sessioni del terzo ciclo è raccomandata la presenza di donne specialiste sui temi della sessualità umana. Ovviamente se il gruppo è preventivamente d’accordo; e con questa motivazione: “L’accompagnamento da parte di donne è importante per dare stimoli al processo di riflessione tra uomini e per assicurare che il risultato delle varie sessioni porti a una maggior qualità di vita delle donne.
Non prendere in considerazione il punto di vista femminile intorno al cambiamento maschile può comportare il rischio che un gruppo di uomini, con le migliori intenzioni del mondo, cada nella complicità e, invece di mettere in discussione il machismo, finisca per giustificarlo. L’accompagnamento da parte di donne organizzate è un fattore decisivo per il successo del processo di riflessione tra uomini”.

Noi uomini abbiamo una responsabilità di fronte all’aborto

“Nella nostra qualità di fratelli, padri, fidanzati, mariti e amici di donne che in qualche momento hanno avuto o potrebbero avere necessità di un aborto terapeutico per salvaguardare la propria vita e la propria salute, rifiutiamo la pretesa di penalizzare l’aborto terapeutico. Pensiamo che l’aborto terapeutico non sia un delitto, bensì un mezzo necessario per salvare la vita della donna e salvaguardare la sua salute. Si tratta di un diritto della donna a mettere al primo posto la propria salute e il proprio benessere.
Noi uomini non abbiamo nessun diritto di obbligare le donne a mettere a rischio la vita per continuare una gravidanza che può portarle alla morte. Con la penalizzazione dell’aborto terapeutico si condanna a uno o due anni di carcere la donna che l’abbia subito, ma non si dice che cosa fare agli uomini corresponsabili di un aborto. Se l’aborto terapeutico viene penalizzato, allora anche gli uomini dovrebbero venir incarcerati. Infatti siamo cause dirette di molti aborti quando ci comportiamo nei seguenti modi:
- Far pressione od obbligare le donne a relazioni sessuali
- Rifiutare l’uso del preservativo o di altro metodo anticoncezionale maschile o impedire che la nostra compagne utilizzi un metodo anticoncezionale, come le pillole
- Esercitare violenza fisica, sessuale o psicologica contro la nostra compagna
- Negare la nostra responsabilità nelle gravidanze
- Non adempiere ai nostri obblighi legali e morali di corrispondere gli “alimenti” a figli e figlie
- Non adempiere al nostro dovere morale di essere padri responsabili
- Fare pressione e minacciare la nostra compagna affinché abortisca. Le donne devono avere l’ultima parola.

Storicamente le istituzioni sociali e religiose hanno voluto regolamentare la vita sessuale e riproduttiva delle donne. I portavoce e i principali leader di queste istituzioni sono stati e continuano ad essere gli uomini. Si tratta quindi di una imposizione di norme nella vita delle donne da parte di noi uomini.
Ma sono le donne quelle che vivono nel loro corpo l’esperienza della gravidanza e dell’aborto, e questo dà loro un’autorità speciale per avere l’ultima parola nel merito. L’aborto è un tema molto complesso e delicato e, quindi, crediamo che i sentimenti e le preoccupazioni delle donne debbano essere il fattore fondamentale, perché è nel loro corpo che avviene la gravidanza. L’uomo che mette incinta una donna, come risultato di una relazione sessuale condivisa, gioca anche un ruolo importante e ha delle responsabilità di fronte a questa gravidanza.
L’autoritarismo morale è un’altra manifestazione del machismo. Non si dovrebbe imporre una particolare visione morale in relazione al tema della riproduzione e dell’aborto. Siamo di fronte a uno dei temi etici più controversi a livello mondiale. Non esiste un unico modo di porsi di fronte alla gravidanza e all’aborto da un punto di vista morale. Alcune persone pensano che fin dalle prime settimane di gravidanza già viva un essere umano nel ventre della madre. Noi, con altre persone, crediamo che quello che c’è sia un embrione, che porterà alla formazione di un essere umano, e che, se durante questo processo di gestazione si arriva a mettere in pericolo la vita della donna incinta, sia un obbligo morale dare la priorità alla salute integrale e alla vita della donna.
Sappiamo che su questo tema non c’è consenso nella società. Per questo chiediamo che non si penalizzi l’aborto terapeutico e rifiutiamo l’autoritarismo morale fondamentalista che oggi vuole condannare le donne al carcere e alla morte”.
(documento del GU di Managua, a pag. 87 della “Guida” – traduzione mia)

In Guatemala

Dicevo della grande quantità di materiale che abbiamo visto circolare sui “diritti umani”. A Città di Guatemala abbiamo incontrato anche un’associazione di donne femministe e altre che si occupano di mantenere viva la consapevolezza intorno alla democrazia e alla memoria delle sofferenze causate dalle varie dittature. Purtroppo la corruzione continua a impedire che le elezioni politiche, come quelle recenti, portino a significativi cambiamenti istituzionali.
Con due uomini ho soprattutto parlato di violenza, a Città di Guatemala: Gérard Lutte, anima del movimento dei giovani e delle giovani di strada (Mojoca), e José Domingo, avvocato di un comitato che sostiene un movimento di contadini/e.
Lutte ha esordito dicendo che in Guatemala ogni anno circa 3000 donne vengono uccise per mano maschile. Ci sono iniziative organizzate, come la “Casa 8 marzo” del Mojoca e altre, che cercano di metterle al sicuro, convincendole a lasciare la strada. “Speriamo –ha concluso – che le donne comincino a non educare più i figli al machismo...”.
L’efficacia del “metodo Mojoca” sta nel fatto che anche gli uomini che vivono sui marciapiedi vengono invitati a cambiare vita, lasciando la strada ed entrando nella “Casa de los amigos”. Noi li abbiamo incontrati e ascoltati: tutti sognano di vincere definitivamente la tentazione delle droghe, di lavorare o studiare e di poter accedere finalmente a una vita “normale”, fatta di relazioni serene con una compagna e con figli e figlie.
Domingo ci diceva rassegnato che la violenza maschile è una cultura diffusa e che è molto complicato contrastarla, anche se c’è una legge dello Stato in proposito. Quale efficacia possa avere quella legge ce lo dice l’elezione recente a presidente della repubblica di un uomo famoso per essere stato un torturatore ai tempi della dittatura. Anche un fratello di Domingo è stato ucciso, cinque anni fa, presumibilmente per motivi politici.
Sia in Nicaragua che in Guatemala gli amici e le amiche ci consigliavano di non uscire dopo il tramonto, se non con taxisti fidati...
Anche in Guatemala l’associazione AHCV ha qualche contatto con uomini, ma è significativo che quell’associazione femminista, incontrata nel Parque Central, non fosse a conoscenza di alcun gruppo e di alcuna iniziativa maschile contro la violenza alle donne.
Ho anche saputo, però, da un’altra signora, che in Guatemala opera la “Liga Guatemalteca de la Higiene Mental”, una ong che si occupa della violenza nelle scuole, aiutando i bambini a “confrontarsi” con i propri padri.
Sono sicuro che quegli splendidi ragazzi del Mojoca stanno imparando a stare nelle relazioni con rispetto e nonviolenza... ma so anche, per esperienza diretta, che, se non c’è capacità di riflessione, il rischio di vivere la sessualità come puro esercizio di sfogo e potere, invece che come pratica, piacevolissima, di relazione, è sempre in agguato. Sotto ogni cielo.

Infine... quante “giornate”!

Dal Guatemala abbiamo portato anche opuscoli e volantini che documentano una notevole attenzione ai problemi causati alle donne dalla cultura patriarcale e dal machismo così diffuso. L’elenco delle “giornate dedicate” si allunga:
- 8 marzo, giornata internazionale della donna
- 11 maggio, giornata nazionale delle levatrici
- 28 maggio, giornata mondiale per la salute delle donne
- 25 luglio, giornata internazionale delle donne afrocaraibiche e afrodiscendenti
- 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza alle donne.
Ma non basta, evidentemente, aumentare le giornate “dedicate” alla commemorazione, alla memoria, alla celebrazione. Bisogna che quello di cui facciamo memoria diventi pratica quotidiana nella vita di ciascuno e ciascuna. O finisce come con l’Eucarestia nella tradizione cattolica: invece di imparare a “fare come Gesù”, che ha spezzato la sua vita mettendola a servizio di chi lo incontrava, la si è trasformata in oggetto di culto e strumento di controllo sulle coscienze, attraverso un’assurda e dettagliatissima lista di regole. E il mondo continua ad andare alla deriva...
Scrive su un segnalibro l’ “Alleanza Femminista Centroamericana per la Trasformazione della Cultura Patriarcale”:
“Esse ci hanno ereditato il diritto al voto... essi ci impediscono di prendere decisioni a favore dei nostri diritti (...). Mettiamo in discussione il modello di democrazia esistente, che subordina, rende invisibili e limita la partecipazione e la decisione delle donne (...)”.
E su un pieghevole del “Centro di Documentazione dell’Associazione Tierra Viva”:
“I libri mi hanno insegnato a pensare e il pensiero mi ha reso libera (...).
Il Guatemala è un paese con alti indici di analfabetismo e scarso accesso all’informazione. L’accesso alla conoscenza non è un diritto, ma un privilegio. Soprattutto per le donne (...).
La cultura patriarcale mantiene le donne in un sistema di subordinazione e oppressione, dove non siamo visibili come soggette di diritti e doveri, che ci permettano di avanzare nei cambiamenti che sono necessari per una società giusta ed egualitaria (...)”.

Scelta lesbica

Un’altra fuggevole riflessione di Gérard Lutte diceva dell’aumento del lesbismo a causa del machismo violento. E sui muri della capitale abbiamo letto molte scritte di questo tenore: lesbianas en rebeldìa (lesbiche ribelli) – lesbianas indigenas – lesbianas negras indigenas ...
Ogni scelta di ribellione e di liberazione dall’oppressione patriarcale è anche frutto del desiderio di felicità. Auguro a ogni donna e a ogni uomo del Guatemala di cercare e trovare la felicità anche nelle relazioni tra di loro, tra uomini e donne.
Dedico questo numero di Uomini in Cammino, con tutti i suoi limiti nella scelta dei testi e di traduzione, ad Alexander Muñoz, assassinato martedì 27 settembre; e ai ragazzi e alle ragazze del Mo.Jo.Ca in Guatemala, forti testimoni del loro desiderio di vita e di felicità.

Beppe Pavan
www.uominincammino.it
www.maschileplurale.it

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