sabato 19 maggio 2012

3) ONU, NATO, USA visti da Kumarappa, economista gandhiano/3


L’APPROCCIO GANDHIANO ALLA PACE – E CHE FARE CONTRO LA GUERRA IN COREA
(riassunto di un discorso tenuto da Kumarappa al Congresso mondiale per la pace, Vienna, 13 dicembre 1952)

Siamo qui per esplorare tutti i modi e le strade per raggiungere la pace nel mondo. Vorrei dunque illustrarvi i metodi che portò avanti in India il Mahatma Gandhi, la sua analisi dei conflitti fra le nazioni, e sulle soluzioni possibili. La filosofia della nonviolenza e della verità di Gandhiji affonda le sue radici nel modo di vita portato avanti per migliaia di anni dagli indù. Per capire la via gandhiana alla pace occorre tener conto di questo antico background.

Gli indù sostenevano che la verità è Dio e che “dharma” è lo scopo dell’esistenza dell’essere umano. Ogni creatura- senziente e non senziente – ha il proprio dharma. Questo della creatura umana è esprimersi in pace. “Dharma” non è religione né dovere, come spesso il termine viene tradotto: queste sono espressioni del dharma.

Ma non lo esauriscono di certo. Così come la natura vera della pianta della rosa è quella di produrre fiori ed emanare profumo, così la produzione di pace dovrebbe essere la vera esistenza umana. Possiamo dire che fiorire è il vero dharma della rosa e la pace è il vero dharma dell’essere umano. Qualunque cosa produca conflitto è “adharma”.

La filosofia moderna della vita ha trasformato l’uomo in un animale economico. Ha trasformato in produzione di beni il dharma. Questo è degradare la missione umana nella vita. Possiamo dire che il dharma della macchina è produrre beni. Ma l’essere umano è qualcosa di più nobile. La vita non consiste nell’abbondanza delle cose che abbiamo. L’essere umano non vive di solo pane e ancor meno di cose non volute rese necessarie dalle pressioni artificiali del commercio e della pubblicità. In questo modo l’essere umano è decaduto dal suo dharma e ha portato conflitto nel mondo dell’umanità introducendo valori e priorità falsi. Se vogliamo ristabilire la pace dobbiamo riorientare le nostre vite. Quel che è essenziale deve precedere il resto. Nel ristabilire il dharma si trova la speranza della pace mondiale.

Il dharma del forte è la protezione del debole. La potentissima America che fa guerra alla piccola Corea è adharma. Appartiene al regno animale. Il dharma della tigre può essere quello di uccidere, ma tale non è quello dell’uomo. Eppure il virus è entrato nella vita umana e ha prodotto il fenomeno delle nazioni in guerra con le altre, e il seppellimento della personalità umana sotto una montagna di beni di consumo. Questo alla fine porta la persona a cercare di far esplodere la montagna, con un’incessante produzione di strumenti di distruzione. Per una persona razionale la produzione della bomba atomica sembrerebbe il non plus ultra della follia di mezza estate, e che dire delle bombe a idrogeno e batteriologiche? L’essere umano è sceso dal suo dharma e si è avventurato nella giungla della violenza. Perciò è necessario ristabilire i valori utili allo sviluppo umano e alla piena espressione della personalità. In questo consisteva la ricerca di Gandhiji per la verità e la via della nonviolenza.

La malattia di cui il mondo soffre oggi ha cause soprattutto economiche. Abbiamo dimenticato il fine dell’essere umano nella vita e corriamo dietro quello che non ha valore.

Quali rimedi? Il dharma porta alla pace; qualunque atto sia adharma porta alla violenza. I conflitti globali non sono incidenti isolati. Sono il culmine di innumerevoli piccoli atti compiuti ogni giorno da persone semplici in modo innocente. Benché la responsabilità delle guerre ricada principalmente su alcuni leader, le cause reali possono essere ritrovate nei nostri atti quotidiani. Per esempio, gli abitanti delle città comprano il latte senza chiedersi se il vitello sia stato nutrito o se i bambini dell’allevatore abbiano avuto la loro porzione. Quando il latte che compriamo non è un surplus ma è stato portato via dalla bocca dei vitelli e dei bambini, i nostri atti sono adharmici e creiamo violenza che, quando si accumula, sfocia poi in catastrofi. Ecco perché un rimedio a questo caso di cose è una più stretta relazione fra produttore, distributore e consumatore. Ciò implica il decentramento produttivo e l’obiettivo dell’autosufficienza. Ecco il suggerimento di Gandhi per mettere al bando le cause delle guerre.

Oggi, sul lato della produzione, domina quella di massa su vasta scala con metodi standardizzati, basata su materie prime ottenute dall’altro capo del mondo da persone in condizioni di sottosviluppo. Questo è adharma. Anche la distribuzione non risponde a bisogni naturali ma è stimolata in tutti i modi dai venditori che portano alla moltiplicazione dei bisogni. Questo è adharma e porta alla violenza.

L’attuale modello di consumo non ha rapporto con i bisogni reali del consumatore, né è fondato su delle priorità. E’ congegnato a vantaggio del produttore e del distributore su larga scala.

Occorrono esplosioni periodiche per ricondurre il sistema sui binari. E questo porta alle guerre.

Finché gli interessi capitalistici e imperialistici persistono e la produzione segue metodi centralizzati e standardizzati, le guerre faranno parte integrale della vita umana e non basteranno petizioni e proteste a regalare una pace durevole.

Certo gli interessi egoistici hanno timore della diffusione, che si sta verificando, del senso di giustizia sociale. Gli interessi americani cercano di bloccare la crescente consapevolezza delle masse. L’America cerca di arginare il risveglio con un’aggressiva politica estera, a partire da Corea, Cina, Burma, India, Iraq, Giordania, fino alla Germania dell’Ovest. A questo fine gli Stati Uniti smuovono mari e monti per mettere piede in tutti quei paesi con mezzi leciti e illeciti, con le guerre, la finanza, con i cosiddetti aiuti e via dicendo. Stiamo attenti a questi pericoli.

Allora, qual è il rimedio? Sono le cause a suggerirlo. Abbiamo già visto che Gandhiji ha suggerito l’autosufficienza e il decentramento produttivo. La Russiasta cercando di arrivare a produrre all’interno delle proprie frontiere la maggior parte di quanto necessario a soddisfare il proprio fabbisogno. E’ una mossa salutare. Anche se continua a sostenere metodi centralizzati di produzione, quelli che sono anche alla base dei conflitti. Ogni nazione dovrebbe produrre per conto proprio quanto basta a soddisfare i bisogni fondamentali – cibo, abbigliamento, alloggio. Il commercio estero dovrebbe limitarsi ai beni superflui: le nazioni non fanno guerra per questi. (*)

Non c’erano guerre globali prima della rivoluzione industriale che introdusse i metodi centralizzati di produzione e provocò lo spostamento da metodi di produzione naturali a metodi che prelevano dalle riserve esauribili.

Si dovette allora percorrere il mondo per trovare le materie prime necessarie e portarle attraverso gli oceani fino alle manifatture. Dopo la fabbricazione, i prodotti finiti dovevano essere rispediti in vendita ai quattro angoli del mondo. Questo sistema, ovviamente, portò a una situazione nella quale i proprietari delle fabbriche e delle macchine avevano bisogno di controllare da vicino le fonti delle materie prime e regolamentare i mercati di sbocco, tenendo anche libere le rotte oceaniche per assicurare il traffico delle merci. Tutto ciò richiedeva un esercito, una marina e un’aviazione per controllare le vite di altri popoli e nazioni e guidarle nella direzione adatta a soddisfare le necessità dei proprietari delle industrie e delle loro ramificazioni mondiali.

E’ diventato necessario per le nazioni potenti mandare eserciti, marina e aviazione lontano migliaia di miglia dalla loro naturale sfera di competenza, per intimidire le nazioni sottosviluppate e ridurle in servaggio. Il controllo delle nazioni per l’interesse di alcune potenti è la prima causa di attrito a livello internazionale. Dobbiamo rimuoverne la causa: le nazioni dovrebbero produrre da sé l’essenziale e ridurre il più possibile il commercio internazionale. E parallelamente dovrebbero ritirarsi dai mari d’Oriente. Se non si mettono in essere questi metodi drastici, sarà vana l’attesa di una società mondiale nonviolenta. Fra i nostri slogan ci deve essere “l’Ovest lasci l’Asia” (The West Quit Asia).

La violenza ha preso un posto centrale nell’organizzazione economica. Per mantenerlo deve essere glorificata e deificata. Ma il mestiere dell’uccidere in guerra è stato trasformato in una professione onorevole. L’esercito è nobilitato, la marina diventa un’aristocrazia e l’aviazione diventa l’acme della specializzazione professionale! (**) Con questi standard ben inculcati nelle giovani menti, anno dopo anno, è stato possibile reclutare milioni di ragazzi e perfino ragazze. E le nazioni hanno fatto guerra ad altre nazioni, e l’odio e il sospetto vengono coltivati per alimentare il fuoco del conflitto.

Adesso l’America, con la sua enorme offerta di petrolio, che adesso si sta riducendo, inizia a guardare a Est per procurarselo. Il modello americano porta direttamente a conflitti internazionali su tutta la linea e il suo interesse finale è finanziario. Se il nostro scopo è la permanenza, dovremmo aderire a metodi che siano anch’essi dharmici. Gandhiji ha indicato la via della “non-violenta non-cooperazione” con l’aggressore, il che ha portato al lancio del Movimento Sathyagraha.

Nel campo economico questo implica un boicottaggio di tutte le transazioni commerciali con l’aggressore e il suo isolamento dal resto della società umana.

Se vogliamo applicare delle sanzioni efficaci, tutti i paesi dovrebbero smettere di importare beni statunitensi. L’India, ad esempio, è invasa da prodotti americani di tutti i tipi: automobili, petrolio, aggeggi elettrici, penne, farmaci, cosmetici e via dicendo. In questa conferenza sono rappresentate 70 nazioni. Se tutte si decidessero a un’iniziativa comune di questo tipo, le autorità americane presto sarebbero indotte a cessare l’aggressione. Invece, una minaccia da parte di altri eserciti sarebbe solo una sfida capace di portare a una ulteriore escalation negli armamenti. Un’altra opportunità di arricchimento per fabbricanti di armi e “mercanti di morte”. Le nazioni si disarmeranno da sé se si riuscirà a farle entrare in un’economia di “servizio materno”. Non c’è bisogno della Lega delle Nazioni o simili. L’importante è isolare il fattore che produce la violenza, cioè il nostro metodo di vivere oggi e il modello attuale di organizzazione economica. Dovremo passare da un’economia centrata sul diritto a una motivata dal dovere, passare dall’egoismo all’amore per il prossimo. Dobbiamo raggiungere l’autocontrollo e bandire violenza e falsità.

La non-collaborazione che proponiamo, basata sull’autosufficienza e sullo Swadeshi, promuove la pace nel mondo e rientra nel raggio di azione di ciascuno e di tutti. Non dobbiamo sentirci senza potere nei confronti dei potenti della Terra. Ciascuno può contribuire. E’ un grande privilegio e una responsabilità. Richiede infatti autocontrollo e spirito di sacrificio per la causa della pace. Siamo pronti a farcene carico?

L’eliminazione della guerra deve iniziare dalla tavola. Iniziamo dalle nostre vite quotidiane e la violenza accumulata che esplode nella guerra comincerà a scemare.

Tutte queste considerazioni sono fondate sull’assunto che ogni nazione cooperi con il resto del mondo per arrivare a standard spirituali e morali elevati. L’educazione dell’infanzia deve essere tale da far crescere una nazione robusta, che dipenderà dalla forza di carattere piuttosto che dagli armamenti per mantenere la pace. Solo relazioni di questo tipo, fondate sulla collaborazione, sulla comprensione e sulla buona volontà ci porteranno a una pace duratura.

In questo mondo non ci può essere sfruttamento del forte sul debole, oppressione del mondo iperorganizzato su quello impoverito, dominio del potente sul piccolo.

(*) Nel 1946, su The Aryan Path, Kumarappa scriveva in proposito: Il fattore comune alle diverse organizzazioni politiche, si tratti del comunismo sovietico, del nazismo tedesco, del fascismo italiano, dell’imperialismo politico inglese, dell’imperialismo finanziario americano o dell’imperialismo industriale giapponese, mi sembra risieda nei metodi centralizzati di produzione, con o senza profitto privato, con i correlati problemi di approvvigionamento delle materie prime e di sbocchi di mercato.

(**) Su The Aryan Path, nel 1946 Kumarappa esortava a “non usare parole soft per definire quell’omicidio di massa che è la guerra. Facciamo sapere ai giovani che quando si arruolano negli eserciti, in realtà entrano a far parte di una banda di assassini e briganti internazionali. Non possiamo sviare così il nobile patriottismo, l’entusiasmo e l’energia dei giovani. Eleviamo la consapevolezza morale e riduciamo le considerazioni monetarie e i valori materiali. Solo così possiamo essere dei pacifisti pratici, che lavorano verso un tempo nel quale la gioventù non dovrà più imparare a fare la guerra. Così tramuteremo questo mondo bellico in uno di pace e riscatteremo la civiltà dalla barbarie.

E in The Economy of Permanence, nel 1945 Kumarappa scriveva: “Ogni due generazioni i giovani sono mandati a sprecare i loro talenti sui campi di battaglia, un periodico macello di innocenti. Gli effetti devastanti di una propaganda che glorifica la violenza si vedono nel fatto di madri che sacrificano le vite dei loro figli con orgoglio, di mogli che spingono i mariti in guerra. E’ naturale questo augurarsi il sacrificio del beneamato sull’altare del Furto internazionale? No, è il frutto dell’intossicazione delle menti indotte così a una scala di falsi valori della violenza e della distruzione, dai quali normalmente le persone fuggirebbero”.

Fonte  http://www.sibialiria.org/

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