venerdì 30 dicembre 2011
Il governo Monti non arrivera' al 2013.Scritto il 30 dicembre 2011.
Il governo Monti non arrivera' al 2013.............
Il governo Monti si basa su bugie che non reggeranno nell' anno 2012.
Sara' difficile dimostrare con esattezza queste bugie, sara' impossibile negare pero',una volta avvenuta, la caduta nel 2012 di questo governo.........
E' falso che l' Italia fallira' se non saranno fatte le cosiddette "riforme".........
Le liberalizzazioni, privatizzazioni, l' attacco ai diritti dei lavoratori, non avranno comunque effetti immediati. Anche nel caso fossero veramente utili al paese...........
Accetteranno coloro che saranno colpiti da questi provvedimenti di non affermare con forza questa verita'? Ne dubito............
Nella confusione, nel disorientamento generale, nelle falsita' affermate con forza dai media, e' difficile capire come stanno veramente le cose.......
Ma ho l' impressione che il fallimento di questa operazione "GOVERNO MONTI", imposta da Francia e Germania per scaricare su Berlusconi e l' Italia le difficolta' dell' Unione Europea, diventera' evidente a molte persone, anche tra coloro che solitamente accettano in modo passivo le verita' dei media.........
A dieci anni dall' entrata in vigore dell' euro e' in crisi l' impalcatura generale dell' Unione Europea, una istituzione nuova creata da nazioni diverse e basata addirittura su una sola corrente di pensiero economico: il neoliberismo...........
Questa struttura ha portato alla crisi, ed ora si vuole colpire alcuni convincendoli che le cause che hanno prodotto la crisi devono essere i rimedi di questa ?.........
Ci stanno provando, per ora con difficolta', io credo che saranno travolti.............
30 dicembre 2011.
domenica 25 dicembre 2011
M.Correggia-I bambini non sono tutti uguali
I bambini non sono tutti uguali. Amina è nata in Niger pochi anni fa e pesa cento e più volte meno di Daniel, suo coetaneo del Lazio, Italia. Nel senso che un abitante nigerino in media ha una responsabilità di gas serra pari a 0,06 tonnellate, un italiano, invece, di oltre otto tonnellate (dati Onu a questo link). Le emissioni pro capite sono il riflesso di un'enorme sproporzione nel consumo collettivo e individuale di materiali, risorse naturali, energia, derrate. Per mantenere Amina non c'è bisogno di alcuna guerra per le risorse. Per mantenere Daniel - perfino in tempo di crisi - sì.
I bambini non sono tutti uguali. Ad esempio le poche volte che la Nato accetta di risarcire una famiglia afgana per congiunti periti nei bombardamenti, si arriva al massimo a 2.000 dollari a morto. Quanto "vale" un pupo statunitense?
I bambini non sono tutti uguali. Soprattutto nelle guerre occidentali condotte con l'alcaselzer delle ragioni umanitarie. Utilissimi, gli amati children, quando si tratta di denunciare le minacce mortali e le violenze del nemico politico di turno.
Ignorati, però, i children, quando sono dalla parte sbagliata rispetto alla lama. La parte che riceve i colpi dell'intervento umanitario. In quel caso sono assimilati ai nemici. O al più, sono tollerabili danni collaterali.
Strumentalizzati a fini bellici
Nel 1990, alla vigilia della guerra contro l'Iraq, fu utilissima la "testimonianza" al Congresso Usa della quindicenne Nayrah, "volontaria all'ospedale di Kuwait City": singhiozzando disse che i soldati iracheni, arrivando da invasori, avevano strappato i neonati dalle incubatrici lasciando che morissero per terra. Quest'atrocità assoluta ma falsa ebbe grande eco e fu ripetuta molte volte. A guerra felicemente innescata, risultò la ragazza era la figlia dell'ambasciatore del Kuwait negli Usa e che la frottola era stata ideata dall'agenzia di public relations Hill and Knowlton la quale per curare l'immagine dell'emirato aveva strappato il contratto più alto fino ad allora nella storia delle relazioni pubbliche. Soldi ben spesi; il mondo corse a proteggere il povero emiro degli Al Sabah e la dinastia petromonarchica fu liberata e salvata.
(Come spiega il giornalista investigativo Michel Collon nel libro Libye, Otan et médiamensonges (sett. 2011), la Nato sul "fronte mediatico libico" ha avuto i consigli di due agenzie statunitensi di Pr molto valide: la Harbour e la Patton Boggs).
Altre incubatrici hanno coronato venti anni di strumentalizzazione bellica dei bambini. Stavolta è la Siria: le "milizie di Assad" avrebbero distrutto il generatore dell'ospedale di Hama con otto bebè prematuri morti nelle incubatrici. Si è presto visto che le immagini di neonati ammucchiati e apparentemente rossi di asfissia si riferivano a un ospedale di Alessandria d'Egitto e che per fortuna i bebè - benché in sovraffollamento - erano vivi.
In mezzo, fra le prime incubatrici e le ultime, gli occidentali e i loro alleati hanno sbandierato la protezione a mano armata di: bambini del Kosovo vittime dei cattivi serbi, bambini afghani vittime dei talebani, bambini libici vittime dei "mercenari di Gheddafi" (per citare dei bambini palestinesi).
Piccole vittime ignorate a milioni
Iraq, guerra del 1991 e successivo embargo e successiva guerra del 2003.
Un'ecatombe. Chi morì nel rifugio di Al Almerya e in una delle tante fosse comuni (le case di civili azzerate dalle bombe). Chi diventò orfano (decine di migliaia i soldati iracheni uccisi anche mentre si ritiravano). Chi nacque deforme e/o morì per l'inquinamento da uranio impoverito.
Chi morì per le durissime sanzioni internazionali. Grazie alla "comunità internazionale", la mortalità infantile in Iraq era infatti balzata dal 56 per mille del 1990 al 131 per mille nel 1999 ; un bambino su cinque era malnutrito (dati Unicef). Nel 1996 il programma Sixty Minutes intervistò l'ambasciatrice Usa all'Onu Madeleine Albright: "Pare che siano morti di embargo 500mila bambini iracheni. E' più di Hiroshima. E' un prezzo giusto da pagare?"; risposta della Madeleine: "E' una scelta davvero dura ma sì, pensiamo di sì". E a proposito di neonati: molti ne morirono per mancanza di ossigeno, la cui importazione era vietata dall'Onu per il possibile uso bellico.
Nel 1999 si tacque il fatto che i bambini kosovari e le loro famiglie erano scappati in massa proprio all'arrivo delle bombe Nato a loro difesa (che fecero vittime fra serbi e kosovari senza discriminazioni).
Nel 2001 iniziò la guerra in Afghanistan che da dieci anni annienta interi villaggi (anche in Pakistan) e i suoi abitanti, finora decine di migliaia secondo i tristi body counts. Senza pace è impossibile ogni minimo miglioramento delle condizioni di vita di un paese miserrimo (ed ecco le morti per stenti e malattie).
Nel 2003, bis di bombe occidentali sull'Iraq con un numero incalcolabile di morti bambini, e poi il vaso di Pandora della successiva occupazione anglosassone corredata di: "errori collaterali"; assedio alla città ribelle di Falluja (ottobre 2004) con armi al fosforo bianco stile Dresda, 4mila morti; stragi kamikaze che non finiscono mai.
Nel 2011, in Libia, gli otto mesi di bombe e missili hanno danneggiato piccole vittime a centinaia di migliaia. Sì! Così tante, se si calcola tutto. Se si calcolano i morti e i feriti sotto le bombe dell'operazione "Protettore unificato" della Nato e dei suoi alleati locali; i quali ultimi hanno già fatto sapere di non avere intenzione di chiedere alla Nato si indagare, nemmeno nei casi conclamati, perché gli effetti collaterali sono normali ("Nato urged to probe civilians killed in Libya war", Reuters, 16 dicembre 2011). Se si calcolano gli orfani dei combattenti.
Se si calcolano le vittime dell'assedio Cnt/Nato a Sirte (molto peggiore di quello governativo a Misurata). Se si calcolano le decine di migliaia di famiglie sfollate e costrette a vivere in alloggi di fortuna perché hanno avuto la casa distrutta, e tutte le case di Sirte lo sono. Se si calcolano le migliaia di famiglie di libici neri cacciati - pulizia etnica - dalla loro cittadina di Tawergha (gli armati di Misurata impediscono loro di tornare). Se si calcola la perdita di reddito per le famiglie dei moltissimi lavoratori migranti costretti alla fuga. Se si calcoleranno le vittime dell'uranio impoverito, ingrediente dei proiettili missilati dai Cruise.
In "cambio", quali bambini ha protetto la missione libica? L'ipotetico massacro di civili era stato sventolato sulla base di notizie rivelatesi false.
E quanti dei bambini che secondo fonti non verificabili sono morti in Siria, sono il frutto delle ingerenze esterne che armando il cosiddetto esercito siriano libero allontanano le possibilità di negoziato fra le parti, previo cessate il fuoco?
Incontri: Omar, Sretchco, Najimullah, Ali, Noor
Bassora (Iraq) 1993. Omar aveva la stessa età dell'embargo, due anni e alcuni mesi. Nel piccolo viso mediorientale sgranava uno sguardo vellutato. Vivo e di normale peso, era una consolazione guardarlo dopo le immagini di scheletrini moribondi da embargo, negli ospedali. Sarà sopravvissuto all'embargo e alla successiva guerra, visti i tanti bambini morti per decreto internazionale? E sarà andato a scuola? Nei durissimi anni dell'embargo, a frequentare le aule malconce era poco più del 60% dei piccoli in età scolare; le spese per l'istruzione erano scese a un decimo in dieci anni. E avrà mangiato a sufficienza Omar? E si sarà ammalato di radioattività? Nell'area di Bassora soprattutto, i proiettili a uranio 238 usati nel 1991 hanno triplicato i casi di malattie come la leucemia, le malformazioni infantili, tumori.
Belgrado, 1999. Sretchco, o un nome così. Piccolissimo bimbo serbo, nato di sette mesi durante l'attacco Nato. A spegnerlo sarebbe bastato un soffio, l'interruzione di corrente prolungata e un guasto al generatore; succede, in guerra.
Agam (Afghanistan), 2001. Cullato dalla madre ventenne, Najimullah era nato da pochi giorni, già orfano. Una bomba "contro Bin Laden" aveva centrato dodici uomini fra i quali suo padre mentre riposandosi bevevano scin ciai, the verde (Marinella Correggia, "Gli orfani di Tora Bora", il manifesto, 27 dicembre 2001). Nel villaggio un uomo, Durkan, sotto altre bombe aveva perso moglie e i cinque figli: "Non sappiamo più nulla di lui, era come impazzito, poi è sparito". Come starà, peraltro, il pastorello Hanin che a undici anni, nel 1999, una delegazione della Campagna italiana per la messa al bando delle mine raccolse fra Herat e Kandahar mentre correva alla ricerca di aiuto con la mano in poltiglia, appena lacerata da una granata (Marinella Correggia, reportage "Lo sminatore di Ghazni", in Ho visto, edizioni e/o 2003)?
Baghdad 2003. Ali Ismail Eedan. Unico superstite della sua famiglia vittima di un bombardamento, le braccia ridotte a moncherini che incredulo cercava di agitare; divenuto un caso internazionale (l'unico) fu poi portato a Londra per avere almeno le protesi. Riparazione del danno.
Tripoli, fine luglio 2011. Noor, bambinetta color caffelatte dai capelli ricci, viveva nella città orientale di Tobruk con cinque fratelli, la madre e il padre poliziotto; temendo azioni da parte degli insorti, avevano fatto fagotto verso la capitale o verso Zliten, come molti altri. Da mesi Noor doveva accontentarsi di un container metallico.
Sempre a Tripoli, a una nonna non rimanevano che le foto dei suoi due nipotini, e dei loro genitori. Tutti schiacciati sotto le macerie della loro casa nella zona di Arrada Suq Al Juma. Il 19 giugno 2011.
fonte www.cadoinpiedi.it
I bambini non sono tutti uguali. Ad esempio le poche volte che la Nato accetta di risarcire una famiglia afgana per congiunti periti nei bombardamenti, si arriva al massimo a 2.000 dollari a morto. Quanto "vale" un pupo statunitense?
I bambini non sono tutti uguali. Soprattutto nelle guerre occidentali condotte con l'alcaselzer delle ragioni umanitarie. Utilissimi, gli amati children, quando si tratta di denunciare le minacce mortali e le violenze del nemico politico di turno.
Ignorati, però, i children, quando sono dalla parte sbagliata rispetto alla lama. La parte che riceve i colpi dell'intervento umanitario. In quel caso sono assimilati ai nemici. O al più, sono tollerabili danni collaterali.
Strumentalizzati a fini bellici
Nel 1990, alla vigilia della guerra contro l'Iraq, fu utilissima la "testimonianza" al Congresso Usa della quindicenne Nayrah, "volontaria all'ospedale di Kuwait City": singhiozzando disse che i soldati iracheni, arrivando da invasori, avevano strappato i neonati dalle incubatrici lasciando che morissero per terra. Quest'atrocità assoluta ma falsa ebbe grande eco e fu ripetuta molte volte. A guerra felicemente innescata, risultò la ragazza era la figlia dell'ambasciatore del Kuwait negli Usa e che la frottola era stata ideata dall'agenzia di public relations Hill and Knowlton la quale per curare l'immagine dell'emirato aveva strappato il contratto più alto fino ad allora nella storia delle relazioni pubbliche. Soldi ben spesi; il mondo corse a proteggere il povero emiro degli Al Sabah e la dinastia petromonarchica fu liberata e salvata.
(Come spiega il giornalista investigativo Michel Collon nel libro Libye, Otan et médiamensonges (sett. 2011), la Nato sul "fronte mediatico libico" ha avuto i consigli di due agenzie statunitensi di Pr molto valide: la Harbour e la Patton Boggs).
Altre incubatrici hanno coronato venti anni di strumentalizzazione bellica dei bambini. Stavolta è la Siria: le "milizie di Assad" avrebbero distrutto il generatore dell'ospedale di Hama con otto bebè prematuri morti nelle incubatrici. Si è presto visto che le immagini di neonati ammucchiati e apparentemente rossi di asfissia si riferivano a un ospedale di Alessandria d'Egitto e che per fortuna i bebè - benché in sovraffollamento - erano vivi.
In mezzo, fra le prime incubatrici e le ultime, gli occidentali e i loro alleati hanno sbandierato la protezione a mano armata di: bambini del Kosovo vittime dei cattivi serbi, bambini afghani vittime dei talebani, bambini libici vittime dei "mercenari di Gheddafi" (per citare dei bambini palestinesi).
Piccole vittime ignorate a milioni
Iraq, guerra del 1991 e successivo embargo e successiva guerra del 2003.
Un'ecatombe. Chi morì nel rifugio di Al Almerya e in una delle tante fosse comuni (le case di civili azzerate dalle bombe). Chi diventò orfano (decine di migliaia i soldati iracheni uccisi anche mentre si ritiravano). Chi nacque deforme e/o morì per l'inquinamento da uranio impoverito.
Chi morì per le durissime sanzioni internazionali. Grazie alla "comunità internazionale", la mortalità infantile in Iraq era infatti balzata dal 56 per mille del 1990 al 131 per mille nel 1999 ; un bambino su cinque era malnutrito (dati Unicef). Nel 1996 il programma Sixty Minutes intervistò l'ambasciatrice Usa all'Onu Madeleine Albright: "Pare che siano morti di embargo 500mila bambini iracheni. E' più di Hiroshima. E' un prezzo giusto da pagare?"; risposta della Madeleine: "E' una scelta davvero dura ma sì, pensiamo di sì". E a proposito di neonati: molti ne morirono per mancanza di ossigeno, la cui importazione era vietata dall'Onu per il possibile uso bellico.
Nel 1999 si tacque il fatto che i bambini kosovari e le loro famiglie erano scappati in massa proprio all'arrivo delle bombe Nato a loro difesa (che fecero vittime fra serbi e kosovari senza discriminazioni).
Nel 2001 iniziò la guerra in Afghanistan che da dieci anni annienta interi villaggi (anche in Pakistan) e i suoi abitanti, finora decine di migliaia secondo i tristi body counts. Senza pace è impossibile ogni minimo miglioramento delle condizioni di vita di un paese miserrimo (ed ecco le morti per stenti e malattie).
Nel 2003, bis di bombe occidentali sull'Iraq con un numero incalcolabile di morti bambini, e poi il vaso di Pandora della successiva occupazione anglosassone corredata di: "errori collaterali"; assedio alla città ribelle di Falluja (ottobre 2004) con armi al fosforo bianco stile Dresda, 4mila morti; stragi kamikaze che non finiscono mai.
Nel 2011, in Libia, gli otto mesi di bombe e missili hanno danneggiato piccole vittime a centinaia di migliaia. Sì! Così tante, se si calcola tutto. Se si calcolano i morti e i feriti sotto le bombe dell'operazione "Protettore unificato" della Nato e dei suoi alleati locali; i quali ultimi hanno già fatto sapere di non avere intenzione di chiedere alla Nato si indagare, nemmeno nei casi conclamati, perché gli effetti collaterali sono normali ("Nato urged to probe civilians killed in Libya war", Reuters, 16 dicembre 2011). Se si calcolano gli orfani dei combattenti.
Se si calcolano le vittime dell'assedio Cnt/Nato a Sirte (molto peggiore di quello governativo a Misurata). Se si calcolano le decine di migliaia di famiglie sfollate e costrette a vivere in alloggi di fortuna perché hanno avuto la casa distrutta, e tutte le case di Sirte lo sono. Se si calcolano le migliaia di famiglie di libici neri cacciati - pulizia etnica - dalla loro cittadina di Tawergha (gli armati di Misurata impediscono loro di tornare). Se si calcola la perdita di reddito per le famiglie dei moltissimi lavoratori migranti costretti alla fuga. Se si calcoleranno le vittime dell'uranio impoverito, ingrediente dei proiettili missilati dai Cruise.
In "cambio", quali bambini ha protetto la missione libica? L'ipotetico massacro di civili era stato sventolato sulla base di notizie rivelatesi false.
E quanti dei bambini che secondo fonti non verificabili sono morti in Siria, sono il frutto delle ingerenze esterne che armando il cosiddetto esercito siriano libero allontanano le possibilità di negoziato fra le parti, previo cessate il fuoco?
Incontri: Omar, Sretchco, Najimullah, Ali, Noor
Bassora (Iraq) 1993. Omar aveva la stessa età dell'embargo, due anni e alcuni mesi. Nel piccolo viso mediorientale sgranava uno sguardo vellutato. Vivo e di normale peso, era una consolazione guardarlo dopo le immagini di scheletrini moribondi da embargo, negli ospedali. Sarà sopravvissuto all'embargo e alla successiva guerra, visti i tanti bambini morti per decreto internazionale? E sarà andato a scuola? Nei durissimi anni dell'embargo, a frequentare le aule malconce era poco più del 60% dei piccoli in età scolare; le spese per l'istruzione erano scese a un decimo in dieci anni. E avrà mangiato a sufficienza Omar? E si sarà ammalato di radioattività? Nell'area di Bassora soprattutto, i proiettili a uranio 238 usati nel 1991 hanno triplicato i casi di malattie come la leucemia, le malformazioni infantili, tumori.
Belgrado, 1999. Sretchco, o un nome così. Piccolissimo bimbo serbo, nato di sette mesi durante l'attacco Nato. A spegnerlo sarebbe bastato un soffio, l'interruzione di corrente prolungata e un guasto al generatore; succede, in guerra.
Agam (Afghanistan), 2001. Cullato dalla madre ventenne, Najimullah era nato da pochi giorni, già orfano. Una bomba "contro Bin Laden" aveva centrato dodici uomini fra i quali suo padre mentre riposandosi bevevano scin ciai, the verde (Marinella Correggia, "Gli orfani di Tora Bora", il manifesto, 27 dicembre 2001). Nel villaggio un uomo, Durkan, sotto altre bombe aveva perso moglie e i cinque figli: "Non sappiamo più nulla di lui, era come impazzito, poi è sparito". Come starà, peraltro, il pastorello Hanin che a undici anni, nel 1999, una delegazione della Campagna italiana per la messa al bando delle mine raccolse fra Herat e Kandahar mentre correva alla ricerca di aiuto con la mano in poltiglia, appena lacerata da una granata (Marinella Correggia, reportage "Lo sminatore di Ghazni", in Ho visto, edizioni e/o 2003)?
Baghdad 2003. Ali Ismail Eedan. Unico superstite della sua famiglia vittima di un bombardamento, le braccia ridotte a moncherini che incredulo cercava di agitare; divenuto un caso internazionale (l'unico) fu poi portato a Londra per avere almeno le protesi. Riparazione del danno.
Tripoli, fine luglio 2011. Noor, bambinetta color caffelatte dai capelli ricci, viveva nella città orientale di Tobruk con cinque fratelli, la madre e il padre poliziotto; temendo azioni da parte degli insorti, avevano fatto fagotto verso la capitale o verso Zliten, come molti altri. Da mesi Noor doveva accontentarsi di un container metallico.
Sempre a Tripoli, a una nonna non rimanevano che le foto dei suoi due nipotini, e dei loro genitori. Tutti schiacciati sotto le macerie della loro casa nella zona di Arrada Suq Al Juma. Il 19 giugno 2011.
fonte www.cadoinpiedi.it
giovedì 22 dicembre 2011
Coordinamento StopRazzismo-17 Dicembre,una straordinaria risposta solidale e popolare al razzismo assassino
17 dicembre a Firenze
Una straordinaria risposta solidale e popolare al razzismo assassino
La manifestazione nazionale del 17 dicembre ha avuto un risultato decisamente straordinario. Più di ventimila persone hanno detto no al razzismo fascista e criminale che ha tolto la vita ai nostri fratelli senegalesi Mor e Modou. Straordinaria è stata la presenza numerosa e combattiva di tanti fratelli e sorelle immigrati senegalesi, ma anche di tanti altri provenienti da altri paesi di cui una gran parte organizzati con l’Associazione antirazzista 3 febbraio.
Una manifestazione popolare solidale e interetnica che ha dimostrato la forza e il protagonismo di tante persone per affermare la difesa della vita, di volerla difendere e migliorare assieme conto ogni tipo di razzismo dando voce e sentimento alla solidarietà umana.
Negli striscioni, nei cartelli, negli slogan, nei discorsi di molti protagonisti hanno riecheggiato i contenuti dell’appello assunto e proposto dalle principali forze del Coordinamento nazionale stoprazzismo e sottoscritto da diverse personalità, realtà, associazioni, comitati solidali antirazzisti, forze sindacali e politiche. E’ stato un successo dell’antirazzismo radicale che ha permesso di unire tanta gente comune attorno a questi contenuti:
UNITA' PER FERMARE IL RAZZISMO CRIMINALE-NO AL RAZZISMO IN TUTTE LE SUE FORME-ACCOGLIENZA,LIBERA CIRCOLAZIONE PER TUTTI SENZA CONDIZIONI
Unità per fermare il razzismo criminale - No al razzismo in tutte le sue forme - Basta repressione verso i nostri fratelli - Accoglienza, libera circolazione e soggiorno per tutti gli immigrati senza condizioni.
E’ decisivo considerare che proprio in ragione di questo appello promosso dall’Associazione antirazzista 3 febbraio, Socialismo rivoluzionario, CIB-Unicobas, Partito Umanista, dai Comitati solidali e antirazzisti e dalle altre realtà di Stoprazzismo, la manifestazione a Firenze ha potuto avere un importante carattere nazionale unitario con un protagonismo popolare solidale che richiamava la manifestazione del 17 ottobre 2009.
Sono state proprio queste realtà a rappresentare la parte più reattiva, combattiva e numerosa della manifestazione che i media non hanno potuto oscurare e che i tentativi politici e istituzionali non sono riusciti ad impedire.
In tre giorni siamo riusciti a costruire una grande mobilitazione nazionale che dà forza e fiducia a tutti i fratelli e sorelle immigrate e a tutte le persone solidali e antirazziste, e quindi a tutti noi. Un risultato che ci dice anche del riconoscimento e dell’importanza di rilanciare la costruzione del Coordinamento Stoprazzismo.
Dare continuità al 17 dicembre significa unirsi attorno alle esigenze fondamentali e alla dignità umana dei fratelli e sorelle immigrate a partire dalle migliaia di profughi ai quali è negata l’accoglienza. Significa convergere con la mobilitazione nazionale per il prossimo 14 gennaio promossa dai profughi e sostenuta dall’Associazione 3 febbraio per ottenere il permesso di soggiorno umanitario e l’accoglienza per tutti.
Prepariamoci a riprendere e ad espandere l’iniziativa contro ogni forma di razzismo dando continuità al fiume di solidarietà umana del 17 dicembre.
Michele Santamaria
del Coordinamento Stoprazzismo
Una straordinaria risposta solidale e popolare al razzismo assassino
La manifestazione nazionale del 17 dicembre ha avuto un risultato decisamente straordinario. Più di ventimila persone hanno detto no al razzismo fascista e criminale che ha tolto la vita ai nostri fratelli senegalesi Mor e Modou. Straordinaria è stata la presenza numerosa e combattiva di tanti fratelli e sorelle immigrati senegalesi, ma anche di tanti altri provenienti da altri paesi di cui una gran parte organizzati con l’Associazione antirazzista 3 febbraio.
Una manifestazione popolare solidale e interetnica che ha dimostrato la forza e il protagonismo di tante persone per affermare la difesa della vita, di volerla difendere e migliorare assieme conto ogni tipo di razzismo dando voce e sentimento alla solidarietà umana.
Negli striscioni, nei cartelli, negli slogan, nei discorsi di molti protagonisti hanno riecheggiato i contenuti dell’appello assunto e proposto dalle principali forze del Coordinamento nazionale stoprazzismo e sottoscritto da diverse personalità, realtà, associazioni, comitati solidali antirazzisti, forze sindacali e politiche. E’ stato un successo dell’antirazzismo radicale che ha permesso di unire tanta gente comune attorno a questi contenuti:
UNITA' PER FERMARE IL RAZZISMO CRIMINALE-NO AL RAZZISMO IN TUTTE LE SUE FORME-ACCOGLIENZA,LIBERA CIRCOLAZIONE PER TUTTI SENZA CONDIZIONI
Unità per fermare il razzismo criminale - No al razzismo in tutte le sue forme - Basta repressione verso i nostri fratelli - Accoglienza, libera circolazione e soggiorno per tutti gli immigrati senza condizioni.
E’ decisivo considerare che proprio in ragione di questo appello promosso dall’Associazione antirazzista 3 febbraio, Socialismo rivoluzionario, CIB-Unicobas, Partito Umanista, dai Comitati solidali e antirazzisti e dalle altre realtà di Stoprazzismo, la manifestazione a Firenze ha potuto avere un importante carattere nazionale unitario con un protagonismo popolare solidale che richiamava la manifestazione del 17 ottobre 2009.
Sono state proprio queste realtà a rappresentare la parte più reattiva, combattiva e numerosa della manifestazione che i media non hanno potuto oscurare e che i tentativi politici e istituzionali non sono riusciti ad impedire.
In tre giorni siamo riusciti a costruire una grande mobilitazione nazionale che dà forza e fiducia a tutti i fratelli e sorelle immigrate e a tutte le persone solidali e antirazziste, e quindi a tutti noi. Un risultato che ci dice anche del riconoscimento e dell’importanza di rilanciare la costruzione del Coordinamento Stoprazzismo.
Dare continuità al 17 dicembre significa unirsi attorno alle esigenze fondamentali e alla dignità umana dei fratelli e sorelle immigrate a partire dalle migliaia di profughi ai quali è negata l’accoglienza. Significa convergere con la mobilitazione nazionale per il prossimo 14 gennaio promossa dai profughi e sostenuta dall’Associazione 3 febbraio per ottenere il permesso di soggiorno umanitario e l’accoglienza per tutti.
Prepariamoci a riprendere e ad espandere l’iniziativa contro ogni forma di razzismo dando continuità al fiume di solidarietà umana del 17 dicembre.
Michele Santamaria
del Coordinamento Stoprazzismo
mercoledì 21 dicembre 2011
Intervista del quotidiano L'Avvisatore Marittimo a Marco Palombo, Presidente dell' Associazione Italia Africa
L’AVVISATORE MARITTIMO
Giovedi’ 15 dicembre 2011
Quotidiano indipendente di informazione marittime e di politica economica
SPECIALE AFRICA
PARLA MARCO PALOMBO, PRESIDENTE DELL’ ASSOCIAZIONE ITALIA-AFRICA
Impariamo a credere nell’ Africa
Prospettive? In Algeria, Tunisia e Marocco la ripresa sara’ piu’ veloce
Far conoscere e favorire la diffusione delle energierinnovabili, in particolare quelle solari, nel continente africano, educare all’ uso delle risorse naturali del pianeta e promuovere una cultura di pacifica collaborazione tra le realta’ piu’ industrializzate e quelle in via di sviluppo. Sono questi i principali obiettivi dell’ Associazione Internazionale Italia Africa, creata a Roma il 30 novembre 2010 dall’ attuale presidente Marco Palombo e attiva soprattutto in Africa con progetti gia’ avviati in Senegal e Nigeria.
Dott. Palombo si poteva forse prevedere quanto e’ successo in Nord Africa in questi ultimi mesi ?
Direi di si, perche’ in molti casi, come quello libico, la situazione era arrivata al limite del collasso. E poi dall’ Italia ci siamo sempre fatti un’ idea sbagliata delle popolazioni che soprattutto negli ultimi anni, anche per l’ uso dei nuovi mezzi di comunicazione, hanno raggiunto nella media un buon livello culturale. La nostra colpa, quella dell’ Italia cosi’ come del resto dell’ Europa, e’ stata quella di non avere visto per tempo una situazione che era destinata ad esplodere. Oggi la fase piu’ critica si sta vivendo in Libia dove con la guerra e’ stato distrutto quasi tutto, quella migliore invece e’ forse in Marocco.
Quando potranno riprendere con regolarita’ gli scambi commerciali verso questi paesi ?
Questo e’ molto difficile dirlo non solo perche’ la situazione politica di questi territori e’ in continuo divenire ma anche perche’ ci sono circostanze differenti in tutto il Nord Africa. Indubbiamente ci sono stati e ci saranno grandissimi problemi soprattutto per le piccole e medie imprese che piu’ di altre avranno difficolta’ a riprendersi dalle perdite che hanno avuto in questi mesi di mancato lavoro. Per quanto riguarda la Libia, ad esempio, c’e’ un momento di grandissima difficolta’ perche’ tutto dovra’ essere ricostruito dopo che e’ stato distrutto dalla violenza dei bombardamenti. Diversa e’ invece la situazione in Algeria, Tunisia e Marocco dove si potra’ avere una ripresa piu’ veloce.
E i rapporti con l’ Italia ? D’ ora in avanti miglioreranno rispetto a prima ?
Le relazioni future non potranno che subire un netto miglioramento ma questo avverra’ solamente dopo un momento di comprensibile assestamento. Questi paesi hanno deciso di intraprendere una difficile strada verso regimi democratici che di certo non sortira’ un effetto immediato. Ci vorranno mesi, forse anni ma sicuramente la via intrapresa e’ quella giusta.
L’Italia ha sempre lavorato con i paesi nordafricani adesso e’ arrivato il momento di dialogare con il continente
Perche’ l’ Italia, rispetto ad altri, dovrebbe rappresentare un canale privilegiato nei rapporti con l’ Africa ?
Prima di tutto per la sua posizione geografica. E poi perche’ il nostro passato coloniale, per quanto non sia stata una parentesi edificante, ha avuto un periodo di vita molto limitato. Durante tutto il periodo della Prima Repubblica, l’ Italia ha sempre avuto un rapporto autonomo con tutto il mondo arabo e questo ha favorito l’ instaurarsi di ottimi rapporti. Adesso e’ arrivato il momento di fare molto di piu’ e non solo con tutto il Nord Africa ma con l’ intero continente. Si potrebbero aprire dei vantaggi enormi, da entrambe le parti, basta pensare alle risorse naturali che ci sono in questi territori e che non sempre vengono valorizzate. Mi riferisco anche alla zona subsahariana , un’ area estramamente povera ma con grandi potenzialita’ che non sono state mai sfruttate. A Brazzaville, in Congo, e’ stata costruita una nuova struttura portuale sul fiume per l’ esportazione d’ avorio e di caucciu’ , ci sono allo studio altri progetti e questo potrebbe rappresentare un primo incentivo verso una crescita economica. Non servono grandi investimenti ma scelte intelligenti e mirate, basterebbe davvero poco.
Perche’ un operatore italiano dovrebbe decidere di investire in Africa e non altrove ?
La difficolta’ maggiore, guardando l’ intero continente, e’ sicuramente quella di entrare in contatto con una mentalita’ molto differente dalla nostra e spesso di avere a che fare con governi che soprattutto prima erano deboli e corrotti. Poi in molte aree c’e’ il problema dell’ energia elettrica, spesso discontinua e che non favorisce una corretta produzione industriale. Ma sono terre che hanno ricchezze enormi , abbondanza di materie prima, con una popolazione che cresce anno dopo anno e non vuole piu’ vivere in una condizione di poverta’ e arretratezza. La manodopera costa molto poco , ancora meno rispetto all’ est Europa. Solo in Africa ci sono queste possibilita’ di sviluppo, margini di miglioramento enorme che si possono solo immaginare.
L’Associazione Internazionale Italia Africa e’ nata da poco piu’ di un anno , attualmente di quali progetti vi state occupando ?
Per il momento in Italia siamo attivi nel Lazio, a Roma e presto lo saremo anche in Toscana con un nostro ufficio distaccato . il nostro primo obiettivo e’ quello di portare la cultura dell’ energia rinnovabile in Africa e proprio su questo argomento stiamo lavorando per aprire una scuola in Nigeria, dove formare tecnici ed esperti che possano poi restare e lavorare nel territorio.
Giovedi’ 15 dicembre 2011
Quotidiano indipendente di informazione marittime e di politica economica
SPECIALE AFRICA
PARLA MARCO PALOMBO, PRESIDENTE DELL’ ASSOCIAZIONE ITALIA-AFRICA
Impariamo a credere nell’ Africa
Prospettive? In Algeria, Tunisia e Marocco la ripresa sara’ piu’ veloce
Far conoscere e favorire la diffusione delle energierinnovabili, in particolare quelle solari, nel continente africano, educare all’ uso delle risorse naturali del pianeta e promuovere una cultura di pacifica collaborazione tra le realta’ piu’ industrializzate e quelle in via di sviluppo. Sono questi i principali obiettivi dell’ Associazione Internazionale Italia Africa, creata a Roma il 30 novembre 2010 dall’ attuale presidente Marco Palombo e attiva soprattutto in Africa con progetti gia’ avviati in Senegal e Nigeria.
Dott. Palombo si poteva forse prevedere quanto e’ successo in Nord Africa in questi ultimi mesi ?
Direi di si, perche’ in molti casi, come quello libico, la situazione era arrivata al limite del collasso. E poi dall’ Italia ci siamo sempre fatti un’ idea sbagliata delle popolazioni che soprattutto negli ultimi anni, anche per l’ uso dei nuovi mezzi di comunicazione, hanno raggiunto nella media un buon livello culturale. La nostra colpa, quella dell’ Italia cosi’ come del resto dell’ Europa, e’ stata quella di non avere visto per tempo una situazione che era destinata ad esplodere. Oggi la fase piu’ critica si sta vivendo in Libia dove con la guerra e’ stato distrutto quasi tutto, quella migliore invece e’ forse in Marocco.
Quando potranno riprendere con regolarita’ gli scambi commerciali verso questi paesi ?
Questo e’ molto difficile dirlo non solo perche’ la situazione politica di questi territori e’ in continuo divenire ma anche perche’ ci sono circostanze differenti in tutto il Nord Africa. Indubbiamente ci sono stati e ci saranno grandissimi problemi soprattutto per le piccole e medie imprese che piu’ di altre avranno difficolta’ a riprendersi dalle perdite che hanno avuto in questi mesi di mancato lavoro. Per quanto riguarda la Libia, ad esempio, c’e’ un momento di grandissima difficolta’ perche’ tutto dovra’ essere ricostruito dopo che e’ stato distrutto dalla violenza dei bombardamenti. Diversa e’ invece la situazione in Algeria, Tunisia e Marocco dove si potra’ avere una ripresa piu’ veloce.
E i rapporti con l’ Italia ? D’ ora in avanti miglioreranno rispetto a prima ?
Le relazioni future non potranno che subire un netto miglioramento ma questo avverra’ solamente dopo un momento di comprensibile assestamento. Questi paesi hanno deciso di intraprendere una difficile strada verso regimi democratici che di certo non sortira’ un effetto immediato. Ci vorranno mesi, forse anni ma sicuramente la via intrapresa e’ quella giusta.
L’Italia ha sempre lavorato con i paesi nordafricani adesso e’ arrivato il momento di dialogare con il continente
Perche’ l’ Italia, rispetto ad altri, dovrebbe rappresentare un canale privilegiato nei rapporti con l’ Africa ?
Prima di tutto per la sua posizione geografica. E poi perche’ il nostro passato coloniale, per quanto non sia stata una parentesi edificante, ha avuto un periodo di vita molto limitato. Durante tutto il periodo della Prima Repubblica, l’ Italia ha sempre avuto un rapporto autonomo con tutto il mondo arabo e questo ha favorito l’ instaurarsi di ottimi rapporti. Adesso e’ arrivato il momento di fare molto di piu’ e non solo con tutto il Nord Africa ma con l’ intero continente. Si potrebbero aprire dei vantaggi enormi, da entrambe le parti, basta pensare alle risorse naturali che ci sono in questi territori e che non sempre vengono valorizzate. Mi riferisco anche alla zona subsahariana , un’ area estramamente povera ma con grandi potenzialita’ che non sono state mai sfruttate. A Brazzaville, in Congo, e’ stata costruita una nuova struttura portuale sul fiume per l’ esportazione d’ avorio e di caucciu’ , ci sono allo studio altri progetti e questo potrebbe rappresentare un primo incentivo verso una crescita economica. Non servono grandi investimenti ma scelte intelligenti e mirate, basterebbe davvero poco.
Perche’ un operatore italiano dovrebbe decidere di investire in Africa e non altrove ?
La difficolta’ maggiore, guardando l’ intero continente, e’ sicuramente quella di entrare in contatto con una mentalita’ molto differente dalla nostra e spesso di avere a che fare con governi che soprattutto prima erano deboli e corrotti. Poi in molte aree c’e’ il problema dell’ energia elettrica, spesso discontinua e che non favorisce una corretta produzione industriale. Ma sono terre che hanno ricchezze enormi , abbondanza di materie prima, con una popolazione che cresce anno dopo anno e non vuole piu’ vivere in una condizione di poverta’ e arretratezza. La manodopera costa molto poco , ancora meno rispetto all’ est Europa. Solo in Africa ci sono queste possibilita’ di sviluppo, margini di miglioramento enorme che si possono solo immaginare.
L’Associazione Internazionale Italia Africa e’ nata da poco piu’ di un anno , attualmente di quali progetti vi state occupando ?
Per il momento in Italia siamo attivi nel Lazio, a Roma e presto lo saremo anche in Toscana con un nostro ufficio distaccato . il nostro primo obiettivo e’ quello di portare la cultura dell’ energia rinnovabile in Africa e proprio su questo argomento stiamo lavorando per aprire una scuola in Nigeria, dove formare tecnici ed esperti che possano poi restare e lavorare nel territorio.
lunedì 12 dicembre 2011
Intervento di Maurizio Musolino del PdCI sulla lettera aperta di Sinistra Critica a Peacelink a proposito della petizione Siria, No War
Carissimi compagni/e, la discussione che si sta sviluppando in questa mail-list è sicuramente ricca di interesse e dimostra al di là delle posizioni di Sinistra critica (a mio avviso strumentali, in quanto partono da ben altra logica) una grande necessità di chiarirsi e di approfondire. Il mondo che abbiamo davanti è sicuramente complesso, ma questa complessità – che deve essere indagata e studiata – non deve mai darci l'alibi per equilibrismi poco comprensibili e utili.
Vengo alla Siria.
In Siria c'è necessità di maggiore democrazia? Sicuramente sì, e a dirlo sono anche molte delle stesse forze a partire dai comunisti che sostengono il presidente Assad. C'è necessità di pluralismo? Certo, e proprio il presidente si è fin dalle prime settimane dimostrato disponibile ad avviare un processo plurale e di multipartitismo. Queste cose sono sufficienti? Per alcuni si, per altri meno. Sicuramente i tempi e le lentezze, estreme, non hanno aiutato i sostenitori di Assad. Ma credo che per tutti non giustificano guerre e intromissioni straniere alla sovranità siriana, se così non è allora ho sbagliato luogo di discussione. Chi in questi anni è stato in Siria avrà sicuramente potuto vedere tantissimi problemi ma non può non aver notato il dinamismo e la volontà di crescita che questo paese sprigionava. E questo in una situazione estremamente difficile, a causa di un embargo internazionale voluto dagli Usa che impediva nei fatti un reale rinnovamento. Un embargo nello stesso tempo criminale nemico del popolo siriano e complice di quanti tifavano per il più assoluto immobilismo. Possiamo infine tacere che la Siria rappresenta ad oggi l'unico stato laico della regione e fra le poche eccezioni di paesi non allineate all'unipolarismo Usa, base delle politiche imperialiste e neo coloniali? Io non ci riesco proprio.
Noi con il documento uscito nei giorni scorsi abbiamo (lasciando ognuno di noi a casa una parte del proprio desideranda – ad esempio la parte che auspica osservatori stranieri la trovo offensiva della sovranità della Siria e ambigua e preludio ad esperienze non sempre positive- quando qualcuno proporrà osservatori che in Israele, a Tel Aviv, vigilino sulla democrazia di quel paese cambio idea) fatto uno sforzo per denunciare il tentativo di trascinare la guerra anche in Siria. Una guerra che nulla ha di democratico e che invece rappresenta la punta più alta delle politiche imperialiste e neocoloniali dell'Occidente. Non avevamo la pretesa di parlare dell'universo mondo.
Chi lo ha firmato sapeva bene cosa firmava, nei limiti e nel opportunità che questo offriva. Che senso ha oggi stravolgere il testo per trasformarlo, non in un appello dalla parte del popolo (cosa complessa da definire) bensì in un appello contro Assad e in favore di quanti in Siria rappresentano gli interessi Occidentali. E' un caso l'incontro del neoministro degli Esteri italiano con il rappresentante del consiglio provvisorio?(che tristi ricordi richiama...) Sarebbe lungo scrivere di come stanno entrando le armi in Siria, da quali confini, da parte di chi, e verso chi. Mi auguro di avere possibilità di farlo a voce in qualche comune occasione.
Per finire riassumo la mia posizione. No a cambiare l'appello già lanciato. Si ad un dialogo e ad un approfondimento su quanto avviene in Siria, senza atteggiamenti messianici di chi ritiene di essere sempre dalla parte giusta. Una discussione che possa quindi aiutarci tutti a capire e soprattutto dalla quale sii possa uscire con iniziative concrete per impedire un nuovo dramma come quello della Libia.
Grazie per la pazienza
ciao
Vengo alla Siria.
In Siria c'è necessità di maggiore democrazia? Sicuramente sì, e a dirlo sono anche molte delle stesse forze a partire dai comunisti che sostengono il presidente Assad. C'è necessità di pluralismo? Certo, e proprio il presidente si è fin dalle prime settimane dimostrato disponibile ad avviare un processo plurale e di multipartitismo. Queste cose sono sufficienti? Per alcuni si, per altri meno. Sicuramente i tempi e le lentezze, estreme, non hanno aiutato i sostenitori di Assad. Ma credo che per tutti non giustificano guerre e intromissioni straniere alla sovranità siriana, se così non è allora ho sbagliato luogo di discussione. Chi in questi anni è stato in Siria avrà sicuramente potuto vedere tantissimi problemi ma non può non aver notato il dinamismo e la volontà di crescita che questo paese sprigionava. E questo in una situazione estremamente difficile, a causa di un embargo internazionale voluto dagli Usa che impediva nei fatti un reale rinnovamento. Un embargo nello stesso tempo criminale nemico del popolo siriano e complice di quanti tifavano per il più assoluto immobilismo. Possiamo infine tacere che la Siria rappresenta ad oggi l'unico stato laico della regione e fra le poche eccezioni di paesi non allineate all'unipolarismo Usa, base delle politiche imperialiste e neo coloniali? Io non ci riesco proprio.
Noi con il documento uscito nei giorni scorsi abbiamo (lasciando ognuno di noi a casa una parte del proprio desideranda – ad esempio la parte che auspica osservatori stranieri la trovo offensiva della sovranità della Siria e ambigua e preludio ad esperienze non sempre positive- quando qualcuno proporrà osservatori che in Israele, a Tel Aviv, vigilino sulla democrazia di quel paese cambio idea) fatto uno sforzo per denunciare il tentativo di trascinare la guerra anche in Siria. Una guerra che nulla ha di democratico e che invece rappresenta la punta più alta delle politiche imperialiste e neocoloniali dell'Occidente. Non avevamo la pretesa di parlare dell'universo mondo.
Chi lo ha firmato sapeva bene cosa firmava, nei limiti e nel opportunità che questo offriva. Che senso ha oggi stravolgere il testo per trasformarlo, non in un appello dalla parte del popolo (cosa complessa da definire) bensì in un appello contro Assad e in favore di quanti in Siria rappresentano gli interessi Occidentali. E' un caso l'incontro del neoministro degli Esteri italiano con il rappresentante del consiglio provvisorio?(che tristi ricordi richiama...) Sarebbe lungo scrivere di come stanno entrando le armi in Siria, da quali confini, da parte di chi, e verso chi. Mi auguro di avere possibilità di farlo a voce in qualche comune occasione.
Per finire riassumo la mia posizione. No a cambiare l'appello già lanciato. Si ad un dialogo e ad un approfondimento su quanto avviene in Siria, senza atteggiamenti messianici di chi ritiene di essere sempre dalla parte giusta. Una discussione che possa quindi aiutarci tutti a capire e soprattutto dalla quale sii possa uscire con iniziative concrete per impedire un nuovo dramma come quello della Libia.
Grazie per la pazienza
ciao
Manifesto Nonviolento-campagna promossa da Peacelink
Campagna: Manifesto Nonviolento,promossa dall'Associazione Peacelink
Campagna di pressione sui parlamentari per fermare le spese militari finalizzate alla guerra e all'acquisto dei cacciabombardieri F-35.
MANIFESTO NONVIOLENTO
Noi sottoscritti, singoli e associazioni,
CHIEDIAMO al governo di attuare il risanamento del bilancio statale a partire dal taglio drastico delle spese militari.
DICHIARIAMO CHE
- votare a favore di missioni militari volte a partecipare ad azioni di guerra all’estero viola l’articolo 11 della Costituzione
- non sosterremo politicamente con il voto i partiti che in Parlamento voteranno a favore dei finanziamenti per tali missioni o per l’acquisto di cacciabombardieri F-35, ovvero i partiti che si dichiareranno favorevoli alle suddette iniziative, se non rappresentati in Parlamento.
L' adesione e' possibile sia a singoli sia ad associazioni
Queste le prime Associazioni che hanno firmato il Manifesto:
Peacelink; Ecoistituto del Veneto Alex Langer; Stelle cadenti – Artisti per la pace; Donne per la Solidarietà – Scuola d’Azione per lo Sviluppo Sostenibile onlus; Roma Social Forum; Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus; Centro Studi Umanisti Ti con Zero; Mondo Senza Guerre e Senza Violenza; Emergency ONG onlus; Circolo Vegetariano VV.TT; Rete Bioregionale Italiana; Freedom Flotilla Italia; Centro Pace comune Bolzano; Redazione di www.mamma.am;Associazione Popoli Minacciati; Associazione per la pace; Movimenti Civici; Redazione di www.ildialogo.org; Operazione Colomba - Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII; Associazione Kronos Milano; Un Ponte per...; Collettivo Nonviolento Uomo Ambiente Bassa Reggiana; Centro Studi Sereno Regis; Rete degli Ebrei Contro l’Occupazione; IPRI - Corpi Civili di Pace; ReOrient; Comunità San Benedetto; Casa della Pace e della Nonviolenza; Redazione di Pressenza Italia; Rete NoWAR; Movimento Nonviolento; WILPF - Italia; Peacereporter; Redazione di www.unimondo.org; Nigrizia; Redazione di Left - Avvenimenti.
Campagna di pressione sui parlamentari per fermare le spese militari finalizzate alla guerra e all'acquisto dei cacciabombardieri F-35.
MANIFESTO NONVIOLENTO
Noi sottoscritti, singoli e associazioni,
CHIEDIAMO al governo di attuare il risanamento del bilancio statale a partire dal taglio drastico delle spese militari.
DICHIARIAMO CHE
- votare a favore di missioni militari volte a partecipare ad azioni di guerra all’estero viola l’articolo 11 della Costituzione
- non sosterremo politicamente con il voto i partiti che in Parlamento voteranno a favore dei finanziamenti per tali missioni o per l’acquisto di cacciabombardieri F-35, ovvero i partiti che si dichiareranno favorevoli alle suddette iniziative, se non rappresentati in Parlamento.
L' adesione e' possibile sia a singoli sia ad associazioni
Queste le prime Associazioni che hanno firmato il Manifesto:
Peacelink; Ecoistituto del Veneto Alex Langer; Stelle cadenti – Artisti per la pace; Donne per la Solidarietà – Scuola d’Azione per lo Sviluppo Sostenibile onlus; Roma Social Forum; Medicina Democratica – Movimento di lotta per la salute onlus; Centro Studi Umanisti Ti con Zero; Mondo Senza Guerre e Senza Violenza; Emergency ONG onlus; Circolo Vegetariano VV.TT; Rete Bioregionale Italiana; Freedom Flotilla Italia; Centro Pace comune Bolzano; Redazione di www.mamma.am;Associazione Popoli Minacciati; Associazione per la pace; Movimenti Civici; Redazione di www.ildialogo.org; Operazione Colomba - Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII; Associazione Kronos Milano; Un Ponte per...; Collettivo Nonviolento Uomo Ambiente Bassa Reggiana; Centro Studi Sereno Regis; Rete degli Ebrei Contro l’Occupazione; IPRI - Corpi Civili di Pace; ReOrient; Comunità San Benedetto; Casa della Pace e della Nonviolenza; Redazione di Pressenza Italia; Rete NoWAR; Movimento Nonviolento; WILPF - Italia; Peacereporter; Redazione di www.unimondo.org; Nigrizia; Redazione di Left - Avvenimenti.
Lettera aperta di Sinistra Critica a Peacelink a proposito della petizione Siria,No War
Carissime/i amiche e amici di Peacelink,
abbiamo ricevuto da diverse persone che stimiamo la richiesta di firmare l’appello da voi proposto contro qualsiasi intervento militare in Siria. Abbiamo deciso – singolarmente e come organizzazione politica – di non aderire al vostro appello e vogliamo brevemente spiegarvene i motivi.
Naturalmente siamo contrari a qualsiasi intervento straniero in Siria, così come lo eravamo contro quello in Libia (lo dimostrano i nostri comunicati già dallo scorso febbraio e marzo e le manifestazioni che abbiamo contribuito a organizzare il 20 marzo a Milano e il 2 aprile in diverse città), pur condividendo le ragioni di chi nel febbraio si era ribellato al regime di Gheddafi.
Non condividiamo invece in alcun modo le motivazioni che sostenete nella petizione e soprattutto riteniamo sbagliato e inefficace rispetto lo stesso obiettivo che si prefigge l’appello tacere della repressione che il regime siriano compie da sempre e in particolare in questi ultimi mesi contro la rivolta popolare. E questo è il secondo motivo di disaccordo: il vostro appello sottolinea decisamente il carattere “etrerodiretto” e “autoproclamato” della rivolta siriana: non siamo assolutamente d’accordo.
La rivolta popolare in Siria è iniziata mesi fa in molte città siriane con la richiesta di libertà, dignità e democrazia. A queste richieste – giuste e condivisibili – il regime di Bashar El Assad ha risposto con la repressione violenta: non ci interessa il conteggio dei morti, ma questi ci sono stati come dimostrano migliaia di filmati autoprodotti (per questo dimostrazione del “complotto”?); così come sono certi gli arresti – ammessi poi dallo stesso regime quando ha scarcerato migliaia di prigionieri che negava di avere; così come sicuri sono gli omicidi, i pestaggi, gli arresti di giornalisti, vignettisti, oppositori....
Le ragioni della rivolta non possono essere nascoste dagli obiettivi di alcuni soggetti politici – interni ed esterni – che vogliono approfittarne per una loro propria agenda.
Non vogliamo farla lunga. Pensiamo che un appello contro qualsiasi intervento straniero in Siria che non parta dalla solidarietà – umana, politica e attiva – alla rivolta siriana e che non veda nella caduta del regime di Assad e in una maggiore partecipazione popolare alla vita politica siriana l’obiettivo di una sinistra pacifista degna di questo nome non sia capace nemmeno di opporsi all’intervento straniero.
Non possono essere considerazioni “geopolitiche” a guidare la nostra opposizione alla guerra – come se il popolo siriano dovesse essere la vittima sacrificale delle alleanze regionali e dello scontro (reale) tra il protagonismo filoimperialista dei paesi reazionari arabi (Arabia Saudita, Qatar ecc...) e l’alleanza intorno all’Iran, vero obiettivo dello scontro.
Per difendere le popolazioni della regione dalle politiche imperialiste non possiamo in alcun modo diminuire la nostra solidarietà a chi si oppone, in Iran, Siria – come in Palestina, in Egitto, in Bahrein.
Saremo comunque vigili e attenti di fronte a qualsiasi escalation voluto dalla Nato e dai suoi alleati nella regione e non mancheremo di manifestare con voi contro la minaccia o la prospettiva di interventi militari esterni.
Vorremmo che anche voi foste con noi insieme alle comunità siriane che manifestano anche in Italia – spesso sole, come avviene per le altre comunità arabe in questi mesi in Italia – per la libertà del popolo siriano.
Flavia D’Angeli, Piero Maestri e Franco Turigliatto – portavoce Sinistra Critica
abbiamo ricevuto da diverse persone che stimiamo la richiesta di firmare l’appello da voi proposto contro qualsiasi intervento militare in Siria. Abbiamo deciso – singolarmente e come organizzazione politica – di non aderire al vostro appello e vogliamo brevemente spiegarvene i motivi.
Naturalmente siamo contrari a qualsiasi intervento straniero in Siria, così come lo eravamo contro quello in Libia (lo dimostrano i nostri comunicati già dallo scorso febbraio e marzo e le manifestazioni che abbiamo contribuito a organizzare il 20 marzo a Milano e il 2 aprile in diverse città), pur condividendo le ragioni di chi nel febbraio si era ribellato al regime di Gheddafi.
Non condividiamo invece in alcun modo le motivazioni che sostenete nella petizione e soprattutto riteniamo sbagliato e inefficace rispetto lo stesso obiettivo che si prefigge l’appello tacere della repressione che il regime siriano compie da sempre e in particolare in questi ultimi mesi contro la rivolta popolare. E questo è il secondo motivo di disaccordo: il vostro appello sottolinea decisamente il carattere “etrerodiretto” e “autoproclamato” della rivolta siriana: non siamo assolutamente d’accordo.
La rivolta popolare in Siria è iniziata mesi fa in molte città siriane con la richiesta di libertà, dignità e democrazia. A queste richieste – giuste e condivisibili – il regime di Bashar El Assad ha risposto con la repressione violenta: non ci interessa il conteggio dei morti, ma questi ci sono stati come dimostrano migliaia di filmati autoprodotti (per questo dimostrazione del “complotto”?); così come sono certi gli arresti – ammessi poi dallo stesso regime quando ha scarcerato migliaia di prigionieri che negava di avere; così come sicuri sono gli omicidi, i pestaggi, gli arresti di giornalisti, vignettisti, oppositori....
Le ragioni della rivolta non possono essere nascoste dagli obiettivi di alcuni soggetti politici – interni ed esterni – che vogliono approfittarne per una loro propria agenda.
Non vogliamo farla lunga. Pensiamo che un appello contro qualsiasi intervento straniero in Siria che non parta dalla solidarietà – umana, politica e attiva – alla rivolta siriana e che non veda nella caduta del regime di Assad e in una maggiore partecipazione popolare alla vita politica siriana l’obiettivo di una sinistra pacifista degna di questo nome non sia capace nemmeno di opporsi all’intervento straniero.
Non possono essere considerazioni “geopolitiche” a guidare la nostra opposizione alla guerra – come se il popolo siriano dovesse essere la vittima sacrificale delle alleanze regionali e dello scontro (reale) tra il protagonismo filoimperialista dei paesi reazionari arabi (Arabia Saudita, Qatar ecc...) e l’alleanza intorno all’Iran, vero obiettivo dello scontro.
Per difendere le popolazioni della regione dalle politiche imperialiste non possiamo in alcun modo diminuire la nostra solidarietà a chi si oppone, in Iran, Siria – come in Palestina, in Egitto, in Bahrein.
Saremo comunque vigili e attenti di fronte a qualsiasi escalation voluto dalla Nato e dai suoi alleati nella regione e non mancheremo di manifestare con voi contro la minaccia o la prospettiva di interventi militari esterni.
Vorremmo che anche voi foste con noi insieme alle comunità siriane che manifestano anche in Italia – spesso sole, come avviene per le altre comunità arabe in questi mesi in Italia – per la libertà del popolo siriano.
Flavia D’Angeli, Piero Maestri e Franco Turigliatto – portavoce Sinistra Critica
giovedì 8 dicembre 2011
Appello all' IDV perche' presenti emendamenti alla manovra per tagli agli impegni militari
Appello all' IDV perche' presenti emendamenti alla manovra per tagli agli impegni militari.
L'Italia dei Valori e' l' unico gruppo in Parlamento che talvolta ha parlato di riduzione di spese per armi e di missioni militari all' estero. Nelle prossime settimane alla Camera dei Deputati e al Senato si discutera' del Decreto approvato domenica 27 novembre dal Consiglio dei Ministri e sara' possibile presentare proposte diverse. Poi gli emendamenti potrebbero non essere votati se fosse messa la fiducia al provvedimento.
I passaggi tecnici precisi sono da vedere, ma nella sostanza le cose dovrebbero andare in questo modo.
Ognuno di noi ha posizioni diverse, per esempio sulla alleanza Nato o alcuni interventi all' estero, ma presentare richieste tutti insieme sarebbe utile. Dimostrerebbe che ci sono altre possibilita' per correggere i conti pubblici, non ci sono solo strade obbligate e che in tanti vorremmo diminuire le spese militari.
I contenuti delle proposte da presentare potrebbero ricalcare queste richieste formulate da SeL che non ha deputati eletti e non puo' proporle al voto delle aule.
Queste sono le proposte di SeL:
-Riduzione degli organici delle forze armate a 120mila unità e integrazione dentro la cornice europea e delle Nazioni Unite.
Gettito previsto 3 miliardi di euro.
-Blocco dei contratti per la realizzazione di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter, 4 sommergibili Fremm, dei cacciabombardieri F35 e delle due fregate Orizzonte.
Gettito previsto 783 milioni di euro.
-Ritiro delle truppe dall’Afghanistan e da tutte quelle missioni internazionali che non abbiano la copertura delle Nazioni Unite.
Gettito previsto 616 milioni di euro.
Credo che su queste posizioni si possa aggregare una ampia area di opinione pubblica.
L' appello che Alex Zanotelli ha lanciato su questo tema con il sito www.ildialogo.org ha raggiunto quasi 17.000 adesioni e l' area che condivide queste richieste e' vastissima.
Io segnalo questa mia idea. Se altre persone o altri ambienti condividono qualcosa di quanto ho scritto, abbiamo qualche giorno e settimana di tempo per definirla meglio e portarla avanti.
Marcopa
L'Italia dei Valori e' l' unico gruppo in Parlamento che talvolta ha parlato di riduzione di spese per armi e di missioni militari all' estero. Nelle prossime settimane alla Camera dei Deputati e al Senato si discutera' del Decreto approvato domenica 27 novembre dal Consiglio dei Ministri e sara' possibile presentare proposte diverse. Poi gli emendamenti potrebbero non essere votati se fosse messa la fiducia al provvedimento.
I passaggi tecnici precisi sono da vedere, ma nella sostanza le cose dovrebbero andare in questo modo.
Ognuno di noi ha posizioni diverse, per esempio sulla alleanza Nato o alcuni interventi all' estero, ma presentare richieste tutti insieme sarebbe utile. Dimostrerebbe che ci sono altre possibilita' per correggere i conti pubblici, non ci sono solo strade obbligate e che in tanti vorremmo diminuire le spese militari.
I contenuti delle proposte da presentare potrebbero ricalcare queste richieste formulate da SeL che non ha deputati eletti e non puo' proporle al voto delle aule.
Queste sono le proposte di SeL:
-Riduzione degli organici delle forze armate a 120mila unità e integrazione dentro la cornice europea e delle Nazioni Unite.
Gettito previsto 3 miliardi di euro.
-Blocco dei contratti per la realizzazione di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter, 4 sommergibili Fremm, dei cacciabombardieri F35 e delle due fregate Orizzonte.
Gettito previsto 783 milioni di euro.
-Ritiro delle truppe dall’Afghanistan e da tutte quelle missioni internazionali che non abbiano la copertura delle Nazioni Unite.
Gettito previsto 616 milioni di euro.
Credo che su queste posizioni si possa aggregare una ampia area di opinione pubblica.
L' appello che Alex Zanotelli ha lanciato su questo tema con il sito www.ildialogo.org ha raggiunto quasi 17.000 adesioni e l' area che condivide queste richieste e' vastissima.
Io segnalo questa mia idea. Se altre persone o altri ambienti condividono qualcosa di quanto ho scritto, abbiamo qualche giorno e settimana di tempo per definirla meglio e portarla avanti.
Marcopa
mercoledì 7 dicembre 2011
Roma,Sgomberata palazzina abitata da senegalesi perche' insicura,ma la sicurezza e' la strada ?-dall' Associazione 3 Febbraio
Comunicato A3F
SOLIDALI CON I FRATELLI di VIA CAMPOBASSO (PIGNETO)
DIRITTO alla CASA e DIGNITA’ per TUTTI e TUTTE!
Roma, da questa mattina è in corso lo sgombero della palazzina n18 di via Campobasso nel quartiere del Pigneto.
Il palazzo abitato, da decenni, da senegalesi, è stato sgomberato perché insicuro.
Decine di persone sono per la strada davanti alle proprie case e non sanno se e quando potranno rientrare.
Le forze dell’ordine stanno presidiando la palazzina per impedirne l’accesso.
Le sacrosante richieste, dei fratelli senegalesi, di capire cosa succederà alla loro casa e quindi al luogo dove vivono, riposano, mangiano, si curano, pregano, leggono, tengono le proprie cose e ricordi, ricevono le persone care etc. cadono nel vuoto di fronte al cinismo dell’amministrazione comunale che non guarda e pensa a loro come ad esseri umani!!!
Se è vero che il Comune si è mosso per la sicurezza degli inquilini di via Campobasso come può gettarli in mezzo ad una strada?
Forse il Comune non sa che molte di queste persone hanno dato vita ad un Comitato Solidale Antirazzista, sono impegnate da anni a costruire solidarietà nel quartiere e sono state protagoniste di iniziative coraggiose per affrontare seriamente il degrado e il razzismo.
Invitiamo il Comune a non accrescere il degrado, a non crare ulteriore insicurezza e ad incontrare gli inquilini per cercare una soluzione dignitosa a tutti e tutte!
Siamo solidali con le persone sgomberate, sosteniamo la loro richiesta di alloggi dignitosi nel caso non sia possibile rientrare in quelli di Via Campobasso.
Invitiamo tutte le persone solidali a diffondere la notizia, ad unirsi e a recarsi in via Campobasso per organizzare la solidarietà con l’Associazione ‘3 febbraio’ e i Comitati Solidali Antirazzisti.
ASSOCIAZIONE ANTIRAZZISTA E INTERETNICA ‘3 FEBBRAIO’ - Roma
www.a3f.org
SOLIDALI CON I FRATELLI di VIA CAMPOBASSO (PIGNETO)
DIRITTO alla CASA e DIGNITA’ per TUTTI e TUTTE!
Roma, da questa mattina è in corso lo sgombero della palazzina n18 di via Campobasso nel quartiere del Pigneto.
Il palazzo abitato, da decenni, da senegalesi, è stato sgomberato perché insicuro.
Decine di persone sono per la strada davanti alle proprie case e non sanno se e quando potranno rientrare.
Le forze dell’ordine stanno presidiando la palazzina per impedirne l’accesso.
Le sacrosante richieste, dei fratelli senegalesi, di capire cosa succederà alla loro casa e quindi al luogo dove vivono, riposano, mangiano, si curano, pregano, leggono, tengono le proprie cose e ricordi, ricevono le persone care etc. cadono nel vuoto di fronte al cinismo dell’amministrazione comunale che non guarda e pensa a loro come ad esseri umani!!!
Se è vero che il Comune si è mosso per la sicurezza degli inquilini di via Campobasso come può gettarli in mezzo ad una strada?
Forse il Comune non sa che molte di queste persone hanno dato vita ad un Comitato Solidale Antirazzista, sono impegnate da anni a costruire solidarietà nel quartiere e sono state protagoniste di iniziative coraggiose per affrontare seriamente il degrado e il razzismo.
Invitiamo il Comune a non accrescere il degrado, a non crare ulteriore insicurezza e ad incontrare gli inquilini per cercare una soluzione dignitosa a tutti e tutte!
Siamo solidali con le persone sgomberate, sosteniamo la loro richiesta di alloggi dignitosi nel caso non sia possibile rientrare in quelli di Via Campobasso.
Invitiamo tutte le persone solidali a diffondere la notizia, ad unirsi e a recarsi in via Campobasso per organizzare la solidarietà con l’Associazione ‘3 febbraio’ e i Comitati Solidali Antirazzisti.
ASSOCIAZIONE ANTIRAZZISTA E INTERETNICA ‘3 FEBBRAIO’ - Roma
www.a3f.org
martedì 6 dicembre 2011
Roma,10 dicembre,presidio Rete No War
GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI UMANI
Roma
Sabato 10 dicembre 2011
dalle 16.00 alle 19.00
Piazza della Chiesa Nuova
Lato Corso Vittorio Emanuele
(vicino lungotevere)
Presidio della Rete No War
Con una mostra su diritti umani,
guerre e alternative alle guerre
Roma
Sabato 10 dicembre 2011
dalle 16.00 alle 19.00
Piazza della Chiesa Nuova
Lato Corso Vittorio Emanuele
(vicino lungotevere)
Presidio della Rete No War
Con una mostra su diritti umani,
guerre e alternative alle guerre
domenica 4 dicembre 2011
Syrie- Appel urgent pour mettre fin à l'intervention militaire étranger en Syrie et rètablir les droits humains et le respect de la lègalitè
Syrie NO WAR
Appel urgent pour mettre fin à l'intervention militaire étrangère en Syrie et rétablir les droits humains et le respect de la légalité.
Nous, soussignés organisations humanitaires ( ONG) pour les droits humains, vous exhortons à mobiliser les Nations Unies et la communauté internationale à prendre des mesures immédiates pour faire cesser toute intervention militaire étrangère contre la Syrie, et au contraire, d'agir de bonne foi pour une honnete médiation. Il est essentiel d’agir rapidement. Nous demandons d'agir de bonne foi pour rejoindre une vraie médiation pacifiques.
Au cours des derniers mois, nous avons observé une augmentation constante des campagnes de presse qui présentent seulement une vision partielle et pas vérifiée ce qui passe en Syrie. La même chose s'est produite aussi dans le cadre des préparatifs à l'intervention étrangère en Libye.
Nous savons qu'il ya des affrontements violents entre les troupes gouvernementales et les insurgés armés de l'auto-proclamé " Armée Libérée Syrienne " avec des bases en Turquie, près de la frontière syrienne. Et nous savons que ces conflits provoquent une énorme nombre de morts parmi les civils, qui sont toujours les premières victimes de n’importe quel conflit. Il semble donc clair que les deux côtés armées ont des responsabilités.
Mais un'ingérence militaire étrangère n'est pas une bonne façon de protéger les droits civils et humains.
NOUS affirmons avec force que:
1) le projet de «intervention militaire humanitaire» en Syrie est la pire des solutions et il ne peut pas revendiquer aucune légitimité, car on ne peut pas obtenir la protection des droits humaines par un'intervention armée;
2) En effet, l'histoire récente montre que, les résultats inévitables de l'intervention armée étrangère, sont des violations massives des droits, comme en Libye;
3) La contrebande d'armes dans une zone de conflit alimente seulement une guerre «civile» et ce doit être arrêtée;
4) On ne peut pas autoriser que une scénario libyenne prende place en Syrie aussi, c'est à dire une «no-fly zone" qui se transforme en une intervention militaire directe suivie par des massacres et des violations massives des droits.
Nous exhortons donc la COMMUNAUTÉ INTERNATIONALE pour favoriser:
1. Un cessez le feu sur les deux côtés et une médiation neutre entre les parties: nous rappelons que la proposition faite par certains pays d'Amérique latine à partir du groupe Alba semble être accueilli aussi par l'opposition non-armée
2. Des mesures pour arrêter l'ingérence militaire et politique étrangère en Syrie visant à déstabiliser le pays (et éventuellement toute la région);
3. Restauration de la Syrie dans le bloc régional;
4. Fin des sanctions actuelles qui portent atteinte à des civils;
5. Une mission internationale d'enquête par les pays et les organisations neutres pour établir la vérité sur les conditions de vie en Syrie;
6. Une enquête menée par les observateurs internationaux neutres sur les accusations et sur les nouvelles rapports en provenance de Syrie et qui, à présent, il n'a pas été possible de vérifier.
Per firmare la petizione www.peacelink.it
Appel urgent pour mettre fin à l'intervention militaire étrangère en Syrie et rétablir les droits humains et le respect de la légalité.
Nous, soussignés organisations humanitaires ( ONG) pour les droits humains, vous exhortons à mobiliser les Nations Unies et la communauté internationale à prendre des mesures immédiates pour faire cesser toute intervention militaire étrangère contre la Syrie, et au contraire, d'agir de bonne foi pour une honnete médiation. Il est essentiel d’agir rapidement. Nous demandons d'agir de bonne foi pour rejoindre une vraie médiation pacifiques.
Au cours des derniers mois, nous avons observé une augmentation constante des campagnes de presse qui présentent seulement une vision partielle et pas vérifiée ce qui passe en Syrie. La même chose s'est produite aussi dans le cadre des préparatifs à l'intervention étrangère en Libye.
Nous savons qu'il ya des affrontements violents entre les troupes gouvernementales et les insurgés armés de l'auto-proclamé " Armée Libérée Syrienne " avec des bases en Turquie, près de la frontière syrienne. Et nous savons que ces conflits provoquent une énorme nombre de morts parmi les civils, qui sont toujours les premières victimes de n’importe quel conflit. Il semble donc clair que les deux côtés armées ont des responsabilités.
Mais un'ingérence militaire étrangère n'est pas une bonne façon de protéger les droits civils et humains.
NOUS affirmons avec force que:
1) le projet de «intervention militaire humanitaire» en Syrie est la pire des solutions et il ne peut pas revendiquer aucune légitimité, car on ne peut pas obtenir la protection des droits humaines par un'intervention armée;
2) En effet, l'histoire récente montre que, les résultats inévitables de l'intervention armée étrangère, sont des violations massives des droits, comme en Libye;
3) La contrebande d'armes dans une zone de conflit alimente seulement une guerre «civile» et ce doit être arrêtée;
4) On ne peut pas autoriser que une scénario libyenne prende place en Syrie aussi, c'est à dire une «no-fly zone" qui se transforme en une intervention militaire directe suivie par des massacres et des violations massives des droits.
Nous exhortons donc la COMMUNAUTÉ INTERNATIONALE pour favoriser:
1. Un cessez le feu sur les deux côtés et une médiation neutre entre les parties: nous rappelons que la proposition faite par certains pays d'Amérique latine à partir du groupe Alba semble être accueilli aussi par l'opposition non-armée
2. Des mesures pour arrêter l'ingérence militaire et politique étrangère en Syrie visant à déstabiliser le pays (et éventuellement toute la région);
3. Restauration de la Syrie dans le bloc régional;
4. Fin des sanctions actuelles qui portent atteinte à des civils;
5. Une mission internationale d'enquête par les pays et les organisations neutres pour établir la vérité sur les conditions de vie en Syrie;
6. Une enquête menée par les observateurs internationaux neutres sur les accusations et sur les nouvelles rapports en provenance de Syrie et qui, à présent, il n'a pas été possible de vérifier.
Per firmare la petizione www.peacelink.it
Etichette:
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