A Lampedusa il governo ha creato strumentalmente una situazione esplosiva; quello che poteva essere un transito di poche migliaia di persone, del tutto prevedibile in una fase di rivolgimenti politici nel Mediterraneo, è stata volutamente trasformata in qualcosa di diverso. E' bastato impedire il deflusso dei migranti, concentrati e imprigionati su un'isola piccolissima, per creare un'emergenza umanitaria da gestire secondo le linee della politica razzista del governo: da un lato la prospettiva di rimpatri forzosi, dall'altro la deportazione verso le cosiddette “strutture di accoglienza”, una di queste a Coltano, vere e proprie tendopoli lager che si vanno ad aggiungere ai famigerati CIE.
Si continua con la solita logica governativa che sta dietro tutti i provvedimenti sull’immigrazione, dai centri di identificazione e espulsione al decreto sicurezza: repressione, negazione dei diritti, privazione della libertà, discriminazione razzista. Le persone fuggono da situazioni spesso drammatiche, ma una volta arrivati da questa parte del Mediterraneo sono considerati clandestini,illegali, destinati ad essere rinchiusi in CIE o in tendopoli, pronti ad essere identificati per decidere nel frattempo che fare di loro: espellerli per rispedirli da dove sono arrivati oppure riconoscere loro lo status temporaneo di profugo, oppure destinarli allo sfruttamento, renderli funzionali alle esigenze dell'economia di mercato dell’occidente "democratico".
Proprio per queste ragioni, oggi più che mai, di fronte alle politiche razziste dei governi c’è bisogno di combattere contemporaneamente sia l’instabilità della cittadinanza che quella del lavoro. E ' inammissibile che l'essere privo di documenti, soprattutto in una situazione internazionale come questa, dia luogo allo status di clandestino. E' inammissibile che la clandestinità sia un reato. E' inammissibile che, in una situazione di crisi, la perdita del lavoro si traduca in perdita dei diritti fondamentali, che si diventi clandestino e quindi carcerabile. E' inammissibile che ci siano meccanismi come il permesso di soggiorno a tempo vincolato al contratto di lavoro.
Ed è inammissibile che, in una situazione straordinaria, l'Italia gestisca i flussi migratori con la repressione e la carcerazione, esasperando migranti e popolazioni locali; ricordiamo che la Tunisia in questo periodo è riuscita a gestire 160.000 profughi in fuga dalla Libia in modo assai diverso da quello del governo italiano.
C'è necessita di assicurare assistenza sociale e sanitaria ai migranti, ma qualunque sistemazione non deve precludere in alcun modo la libertà personale e il diritto dei migranti di muoversi e circolare. Rifiutiamo la divisione tra profughi e presunti clandestini; non c'è differenza tra chi scappa da una guerra e chi scappa da una situazione di miseria determinata spesso da politiche economiche imposte dai paesi occidentali e concordate con i tiranni locali. Tutti hanno diritto alla libertà di circolazione.
Rifiutiamo ancora una volta l'esistenza di strutture di detenzione,siano esse tendopoli o CIE, ma rifiutiamo anche l'ennesima riproposizione, da parte degli amministratori locali, di CIE “dal volto umano”, piccoli, diffusi sul territorio, ma sempre concepiti come strutture carcerarie funzionali alla politica razzista del governo. Ora come non mai è doveroso ribadire: nessun CIE né qui né altrove, nessuna tendopoli lager, nessuno spazio al razzismo, libertà per tutti e per tutte. Solidarietà internazionalista
Assemblea contro i Centri di Espulsione - Livorno
Fonte www.senzasoste.it
giovedì 31 marzo 2011
mercoledì 30 marzo 2011
Fotovoltaico, la Fiom sul decreto rinnovabili
Decreto sulle fonti rinnovabili
Comunicato Fiom
28 / 3 / 2011
In tutto il Paese si stanno moltiplicando le iniziative a sostegno della richiesta di modificare radicalmente il Decreto che ha bloccato gli incentivi tariffari, oggi in essere, necessari per lo sviluppodelle energie rinnovabili.Tali norme prevedono che solo gli impianti fotovoltaici allacciati alla rete entro il 31 maggio potrannobeneficiare delle tariffe agevolate, nell’attesa che entro il 30 aprile venga approvato un nuovo decretocon le nuove tariffe.
Tutto questo ha generato un’ incertezza tale che di fatto sta bloccando l’interocomparto, si registrano in questi giorni annullamenti di ordini e comunicazioni dagli istituti bancari dimessa in discussione dei finanziamenti e richieste di cassa integrazione o di riduzione del personale,per i dipendenti dell’intera filiera.Una scelta, sbagliata ed insensata, che rischia di bloccare un intero settore, tra i pochi oggi in crescita,che dà lavoro a circa 150.000 persone in Italia, tra lavoratori diretti ed indiretti.Un settore essenziale per contribuire all’approvvigionamento energetico complessivo per ridurre ladipendenza del nostro paese dai combustibili fossili. In una situazione ancor più critica dove, ancheper effetto delle catastrofi mondiali di questi giorni (Giappone e Nord Africa) i programmi energeticibasati su fonti fossili e nucleari hanno mostrato tutta la loro fragilità per costi, tempi e pericolosità.
Per questo è necessario un nuovo modello energetico e di sviluppo, occorre ripensare un pianoenergetico nazionale complessivo (quindi non solo per i consumi elettrici) che metta al centro l’usorazionale e appropriato di tutte le risorse, a partire da quelle energetiche, privilegiando le fonti pulitee rinnovabili.Questo significa intervenire in ogni settore (della produzione, della distribuzione, dei consumi...) per la massima efficienza energetica, significa innovazione nei cicli produttivi, significa intervenire sullepolitiche industriali, sulla progettazione del ciclo di vita dei prodotti (progettazione, produzione,distribuzione, uso e poi smaltimento e riciclo), significa intervenire sugli impatti ambientali, sulleemissioni, sull’organizzazione della mobilità e della logistica. In sostanza significa cambiare ilparadigma dello sviluppo in tutti gli ambiti, nella organizzazione della produzione, dei consumi, dellavita sociale. Anche di questo siamo interessati, come Organizzazioni Sindacali, a confrontarci con ilGoverno e con le nostre controparti imprenditoriali. Più in specifico, per tornare al Decreto in questione, dopo aver sentito le posizioni di tutte le parti in causa, il Governo, per iniziativa dei Ministri Romani e Prestigiacomo, si è riservato di riformulare unaproposta già a partire da questa settimana.
Riprecisiamo quindi le nostre proposte, che convergono in larga misura anche con quelle di altre associazioni sociali, ambientali e imprenditoriali, mentre non condividiamo la posizione espressa ufficialmente da Confindustria, che sostanzialmente acconsente al ridimensionamento drastico degli incintevi proposto dal decreto. Riteniamo questa posizione miope, non solo per lo sviluppo delle filiere industriali legate alle fonti rinnovabili, ma anche perché non coglie le opportunità di innovazione che potrebbero venire al complesso del sistema produttivo di questo paese.
Per quanto ci riguarda, non è in discussione la necessità di colpire nel modo più fermo speculazioni eabusi che si sono verificati nella gestione attuale e di procedere ad una graduale e progressivariduzione degli incentivi per le fonti rinnovabili, ma questa deve essere fatta con la gradualità e latempistica necessaria per dare certezze alla programmazione delle scelte produttive e degliinvestimenti nel settore.
A questo proposito ricordiamo che una misura di drastica riduzione degli incentivi è stata fatta nel2009 in Spagna, con l’effetto di ridimensionare l’intera filiera della produzione del fotovoltaico in quelpaese.Per questo devono essere riconfermati i termini già stabiliti nel decreto del Ministero dello SviluppoEconomico il 6 agosto 2010, della fine 2013, cancellando qualsiasi tipo di retroattività nella riduzionedegli incentivi.
Successivamente va calibrata la rimodulazione degli incentivi, anche in relazione allo sviluppo dellamaggiore efficienza e riduzione dei costi degli impianti. Per esempio mutuando il modello tedesco, che adotta un sistema flessibile basato su un "corridoio" disviluppo prestabilito, con un meccanismo di adeguamento automatico della “degressione” delletariffe in funzione del volume di mercato. Se il mercato si sviluppa più del previsto, la riduzione dellatariffa diventa più forte ancora.
Se invece il mercato rimane al di sotto del volume programmato, allora la tariffa viene ridotta meno.In ogni caso, i riferimenti di sviluppo prestabiliti per le potenze incentivabili vanno differenziati pertipologia di impianti a seconda della dimensione, della collocazione (a terra o sui tetti) in modo daprivilegiare gli impianti di taglia medio piccola e integrati nel tessuto urbano e industriale. Contemporaneamente, già nel decreto, il Governo dovrebbe mettere in atto azioni per promuovereun maggiore sviluppo e qualificazione della filiera industriale italiana del settore delle rinnovabili, cheavrebbe l’effetto duplice di aumentare una base produttiva e occupazionale italiana e contribuire aduna riduzione dei costi finali per gli impianti da Fonti Rinnovabili, che giustificherebbe una ulterioreriduzione degli incentivi. Infine, per uno sviluppo stabile del fotovoltaico e dell’eolico, sono assolutamente necessari interventie investimenti (in questo caso in capo a Terna) per integrare questi impianti nelle reti di trasmissionee distribuzione.
Tale integrazione, in particolare nelle regioni del sud con grande potenzialità diproduzione e reti spesso inadeguate e sovraccariche, potrà avvenire con la trasformazione delle retiesistenti in “sistemi intelligenti” (le cosiddette “smart grid”), in grado di accogliere l’energia nonprogrammabile e conciliare i sistemi tradizionali di generazione centralizzati con quelli distribuiti, tipicidelle fonti rinnovabili.
FIOM NAZIONALE
Roma, 28 marzo 2011
Fonte www.globalproject.info
Comunicato Fiom
28 / 3 / 2011
In tutto il Paese si stanno moltiplicando le iniziative a sostegno della richiesta di modificare radicalmente il Decreto che ha bloccato gli incentivi tariffari, oggi in essere, necessari per lo sviluppodelle energie rinnovabili.Tali norme prevedono che solo gli impianti fotovoltaici allacciati alla rete entro il 31 maggio potrannobeneficiare delle tariffe agevolate, nell’attesa che entro il 30 aprile venga approvato un nuovo decretocon le nuove tariffe.
Tutto questo ha generato un’ incertezza tale che di fatto sta bloccando l’interocomparto, si registrano in questi giorni annullamenti di ordini e comunicazioni dagli istituti bancari dimessa in discussione dei finanziamenti e richieste di cassa integrazione o di riduzione del personale,per i dipendenti dell’intera filiera.Una scelta, sbagliata ed insensata, che rischia di bloccare un intero settore, tra i pochi oggi in crescita,che dà lavoro a circa 150.000 persone in Italia, tra lavoratori diretti ed indiretti.Un settore essenziale per contribuire all’approvvigionamento energetico complessivo per ridurre ladipendenza del nostro paese dai combustibili fossili. In una situazione ancor più critica dove, ancheper effetto delle catastrofi mondiali di questi giorni (Giappone e Nord Africa) i programmi energeticibasati su fonti fossili e nucleari hanno mostrato tutta la loro fragilità per costi, tempi e pericolosità.
Per questo è necessario un nuovo modello energetico e di sviluppo, occorre ripensare un pianoenergetico nazionale complessivo (quindi non solo per i consumi elettrici) che metta al centro l’usorazionale e appropriato di tutte le risorse, a partire da quelle energetiche, privilegiando le fonti pulitee rinnovabili.Questo significa intervenire in ogni settore (della produzione, della distribuzione, dei consumi...) per la massima efficienza energetica, significa innovazione nei cicli produttivi, significa intervenire sullepolitiche industriali, sulla progettazione del ciclo di vita dei prodotti (progettazione, produzione,distribuzione, uso e poi smaltimento e riciclo), significa intervenire sugli impatti ambientali, sulleemissioni, sull’organizzazione della mobilità e della logistica. In sostanza significa cambiare ilparadigma dello sviluppo in tutti gli ambiti, nella organizzazione della produzione, dei consumi, dellavita sociale. Anche di questo siamo interessati, come Organizzazioni Sindacali, a confrontarci con ilGoverno e con le nostre controparti imprenditoriali. Più in specifico, per tornare al Decreto in questione, dopo aver sentito le posizioni di tutte le parti in causa, il Governo, per iniziativa dei Ministri Romani e Prestigiacomo, si è riservato di riformulare unaproposta già a partire da questa settimana.
Riprecisiamo quindi le nostre proposte, che convergono in larga misura anche con quelle di altre associazioni sociali, ambientali e imprenditoriali, mentre non condividiamo la posizione espressa ufficialmente da Confindustria, che sostanzialmente acconsente al ridimensionamento drastico degli incintevi proposto dal decreto. Riteniamo questa posizione miope, non solo per lo sviluppo delle filiere industriali legate alle fonti rinnovabili, ma anche perché non coglie le opportunità di innovazione che potrebbero venire al complesso del sistema produttivo di questo paese.
Per quanto ci riguarda, non è in discussione la necessità di colpire nel modo più fermo speculazioni eabusi che si sono verificati nella gestione attuale e di procedere ad una graduale e progressivariduzione degli incentivi per le fonti rinnovabili, ma questa deve essere fatta con la gradualità e latempistica necessaria per dare certezze alla programmazione delle scelte produttive e degliinvestimenti nel settore.
A questo proposito ricordiamo che una misura di drastica riduzione degli incentivi è stata fatta nel2009 in Spagna, con l’effetto di ridimensionare l’intera filiera della produzione del fotovoltaico in quelpaese.Per questo devono essere riconfermati i termini già stabiliti nel decreto del Ministero dello SviluppoEconomico il 6 agosto 2010, della fine 2013, cancellando qualsiasi tipo di retroattività nella riduzionedegli incentivi.
Successivamente va calibrata la rimodulazione degli incentivi, anche in relazione allo sviluppo dellamaggiore efficienza e riduzione dei costi degli impianti. Per esempio mutuando il modello tedesco, che adotta un sistema flessibile basato su un "corridoio" disviluppo prestabilito, con un meccanismo di adeguamento automatico della “degressione” delletariffe in funzione del volume di mercato. Se il mercato si sviluppa più del previsto, la riduzione dellatariffa diventa più forte ancora.
Se invece il mercato rimane al di sotto del volume programmato, allora la tariffa viene ridotta meno.In ogni caso, i riferimenti di sviluppo prestabiliti per le potenze incentivabili vanno differenziati pertipologia di impianti a seconda della dimensione, della collocazione (a terra o sui tetti) in modo daprivilegiare gli impianti di taglia medio piccola e integrati nel tessuto urbano e industriale. Contemporaneamente, già nel decreto, il Governo dovrebbe mettere in atto azioni per promuovereun maggiore sviluppo e qualificazione della filiera industriale italiana del settore delle rinnovabili, cheavrebbe l’effetto duplice di aumentare una base produttiva e occupazionale italiana e contribuire aduna riduzione dei costi finali per gli impianti da Fonti Rinnovabili, che giustificherebbe una ulterioreriduzione degli incentivi. Infine, per uno sviluppo stabile del fotovoltaico e dell’eolico, sono assolutamente necessari interventie investimenti (in questo caso in capo a Terna) per integrare questi impianti nelle reti di trasmissionee distribuzione.
Tale integrazione, in particolare nelle regioni del sud con grande potenzialità diproduzione e reti spesso inadeguate e sovraccariche, potrà avvenire con la trasformazione delle retiesistenti in “sistemi intelligenti” (le cosiddette “smart grid”), in grado di accogliere l’energia nonprogrammabile e conciliare i sistemi tradizionali di generazione centralizzati con quelli distribuiti, tipicidelle fonti rinnovabili.
FIOM NAZIONALE
Roma, 28 marzo 2011
Fonte www.globalproject.info
lunedì 28 marzo 2011
Algèrie: des journalistes font un sit-in 28/03/2011
Mar 28th, 2011 by AfricaTimes.
Des dizaines de journalistes algériens du secteur public ont organisé dimanche un sit-in au siège de la radio nationale pour dénoncer leurs conditions de travail, selon des journalistes sur place.
Ils ont notamment critiqué les 25% d’augmentation salariale (moins de 50 euros pour les chanceux) accordé par la direction de la radio qui emploie 4. 000 personnes sur l’ensemble du territoire.
“C’est une humiliation pour nous. Tous les autres secteurs de la fonction publique ont bénéficié de revalorisations dépassant les 50%, pourquoi pas nous?”, s’est plaint l’un d’entre eux, cité par le quotidien El-Watan.
Ils veulent aussi que le rappel lié à cette hausse prenne effet à partir de janvier 2008 et non juin 2010, a indiqué l’un d’eux à l’AFP, souhaitant conserver l’anonymat par crainte de “représailles”.
Certains confrères ont appelé à un autre mouvement pour jeudi 31, mais la suggestion n’a pas remporté l’adhésion de tous, a-t-il indiqué.
Le sit-in n’a fait l’objet d’aucune information dans la presse officielle.
Samedi, des journalistes du public et du privé s’étaient rassemblés à Alger pour réclamer “un statut particulier du journaliste” et avaient demandé au gouvernement un statut particulier de la profession avec un débat officiel.
Ils revendiquaient également une amélioration de leurs conditions de travail.
Les journalistes ont prévu une grève générale le 3 mai, journée mondiale de la liberté de la presse.
La presse écrite compte une centaine de titres nationaux (publics et privés). Les médias audio-visuels restent sous le monopole de l’Etat, qui n’envisage pas de les ouvrir au privé.
Depuis les émeutes contre la vie chère de janvier qui ont fait cinq morts et plus de 800 blessés, l’Algérie fait face à des grèves en série.
Le président Abdelaziz Bouteflika a annoncé le 19 mars des réformes globales y compris politiques mais sa promesse n’a pas apparemment réussi à calmer le bouillonnement de la rue, influencée par les révolutions arabes.
Afp.
Fonte www.africa-times-news.com
Des dizaines de journalistes algériens du secteur public ont organisé dimanche un sit-in au siège de la radio nationale pour dénoncer leurs conditions de travail, selon des journalistes sur place.
Ils ont notamment critiqué les 25% d’augmentation salariale (moins de 50 euros pour les chanceux) accordé par la direction de la radio qui emploie 4. 000 personnes sur l’ensemble du territoire.
“C’est une humiliation pour nous. Tous les autres secteurs de la fonction publique ont bénéficié de revalorisations dépassant les 50%, pourquoi pas nous?”, s’est plaint l’un d’entre eux, cité par le quotidien El-Watan.
Ils veulent aussi que le rappel lié à cette hausse prenne effet à partir de janvier 2008 et non juin 2010, a indiqué l’un d’eux à l’AFP, souhaitant conserver l’anonymat par crainte de “représailles”.
Certains confrères ont appelé à un autre mouvement pour jeudi 31, mais la suggestion n’a pas remporté l’adhésion de tous, a-t-il indiqué.
Le sit-in n’a fait l’objet d’aucune information dans la presse officielle.
Samedi, des journalistes du public et du privé s’étaient rassemblés à Alger pour réclamer “un statut particulier du journaliste” et avaient demandé au gouvernement un statut particulier de la profession avec un débat officiel.
Ils revendiquaient également une amélioration de leurs conditions de travail.
Les journalistes ont prévu une grève générale le 3 mai, journée mondiale de la liberté de la presse.
La presse écrite compte une centaine de titres nationaux (publics et privés). Les médias audio-visuels restent sous le monopole de l’Etat, qui n’envisage pas de les ouvrir au privé.
Depuis les émeutes contre la vie chère de janvier qui ont fait cinq morts et plus de 800 blessés, l’Algérie fait face à des grèves en série.
Le président Abdelaziz Bouteflika a annoncé le 19 mars des réformes globales y compris politiques mais sa promesse n’a pas apparemment réussi à calmer le bouillonnement de la rue, influencée par les révolutions arabes.
Afp.
Fonte www.africa-times-news.com
Occorrono metodi migliori per scegliere gli incentivi al fotovoltaico. Una proposta
Questa proposta e' stata pubblicata , leggermente modificata, nella rubrica delle lettere del quotidiano IlSole24Ore, giovedi' 24 marzo 2011.
I prossimi dieci anni del fotovoltaico italiano dovrebbero essere decisi entro venti giorni, nel frattempo il settore e' paralizzato, non lavora e qualcuno proprio non ha reddito.
Venti giorni che vedono l' Italia in guerra, in un momento cruciale per il nucleare con un conflitto tra posizioni diverse il cui esito sara' decisivo anche per il futuro prossimo del fotovoltaico (nel futuro piu' lontanto invece l' energia solare sara' in ogni caso l' energia prevalente). Penso che una scelta cosi' importante non vada fatta in modo affrettato e siano indispensabili metodi e tempi giusti. La fretta e la non trasparenza servono per imporre soluzioni utili ad altri interessi.
Qualcuno ha proposto che l' attuale legge (votata a luglio 2010, valida fino a dicembre 2013 con incentivi a scalare) rimanga in vigore fino al 31 dicembre 2011 e che nel frattempo si decida con metodi e tempi adeguati le nuove regole mentre pero' il settore lavora, non sta fermo.
Sarebbe opportuno che tutti, nei loro diversi ruoli, si impegnassero per questo e l' informazione riservasse a questa importante vicenda un po' di spazio e attenzione.
Marco Palombo e Edwin Aligwo
Associazione Internazionale Italia-Africa
Roma
I prossimi dieci anni del fotovoltaico italiano dovrebbero essere decisi entro venti giorni, nel frattempo il settore e' paralizzato, non lavora e qualcuno proprio non ha reddito.
Venti giorni che vedono l' Italia in guerra, in un momento cruciale per il nucleare con un conflitto tra posizioni diverse il cui esito sara' decisivo anche per il futuro prossimo del fotovoltaico (nel futuro piu' lontanto invece l' energia solare sara' in ogni caso l' energia prevalente). Penso che una scelta cosi' importante non vada fatta in modo affrettato e siano indispensabili metodi e tempi giusti. La fretta e la non trasparenza servono per imporre soluzioni utili ad altri interessi.
Qualcuno ha proposto che l' attuale legge (votata a luglio 2010, valida fino a dicembre 2013 con incentivi a scalare) rimanga in vigore fino al 31 dicembre 2011 e che nel frattempo si decida con metodi e tempi adeguati le nuove regole mentre pero' il settore lavora, non sta fermo.
Sarebbe opportuno che tutti, nei loro diversi ruoli, si impegnassero per questo e l' informazione riservasse a questa importante vicenda un po' di spazio e attenzione.
Marco Palombo e Edwin Aligwo
Associazione Internazionale Italia-Africa
Roma
domenica 27 marzo 2011
Libia - Giappone, un azione nonviolenta contro la guerra e il nucleare
Libia e Giappone, militare e nucleare, sono due facce della stessa moneta.
Si fa la guerra, contro l'umanità e contro la natura, per il potere energetico, per lo sviluppo infinito dei consumi. Quello che sta accadendo, in Giappone come in Libia, è un segnale di allarme che dobbiamo cogliere. Tutti dicono che le cose vanno sempre peggio, che così non si può andare avanti. Ci vuole un cambiamento.
Pace tra le persone e con la natura, di questo ha bisogno il mondo.
Noi del Movimento Nonviolento vogliamo iniziare con un'assunzione di responsabilità. Mettiamo in campo un'iniziativa simbolica, ma concreta.
Un digiuno del cibo e della parola, un'azione semplice ma incisiva – se non altro su noi stessi - per riflettere sulla necessità di rifiutare la violenza per scegliere la strada della nonviolenza.
Rinunciare a mangiare è anche un modo per condividere le tante sofferenza e la fame che porta la guerra. Rimanere in silenzio è anche un modo per evidenziare quanta violenza c'è nella parole di menzogna (la prima vittima della guerra è la verità): "operazione umanitaria" per nascondere che è una guerra; "nucleare sicuro e pulito" per nascondere i rischi e i costi dell'energia atomica.
Iniziamo con un digiuno collettivo di 48 ore, sapendo che la nonviolenza è contagiosa e altre azioni nonviolente seguiranno nei giorni successivi. Vogliamo con questo dare l'avvio ad un modo nuovo di "stare in piazza" e di concepire la politica.
Sappiamo bene che la guerra non si ferma con i digiuni. Vogliamo però richiamare l'attenzione sulla necessità di prevenire la prossima, contrastando eserciti e armi che la renderanno possibile, e lavorando per costruire gli strumenti utili per veri interventi umanitari di pace.
Domenica e lunedì 27 e 28 marzo, in molte città d'Italia (Verona, Trento, Venezia, Ferrara, Livorno, Genova, Brescia, Torino, ecc.) gli amici e le amiche della nonviolenza staranno senza cibo e senza parole per:
- opporsi alla guerra (e alla sua preparazione)
- opporsi al nucleare (votare SI' al referendum)
- sostenere i Corpi Civili di Pace (veri strumenti di intervento umanitario)
- sostenere le energie rinnovabili (sole, vento, acqua sono doni gratuiti della natura)
- proporre una seria riflessione sulla nonviolenza, che è la forza della verità.
Movimento Nonviolento
via Spagna, 8 – 37123 Verona
Tel. 045 8009803
Chi desidera partecipare e proseguire questa azione nonviolenta, singolarmente o in gruppo, nei modi e nei tempi che vorrà, lo può comunicare a:
azionenonviolenta@sis.it
i nominativi e il calendario saranno diffusi tramite il nostro sito www.nonviolenti.org e nella pagina facebook del Movimento Nonviolento.
A chi pensa invece che questa proposta sia un'ingenuità, o che non serva a niente, proponiamo di provare, per un giorno solo, e capirà quanto costa fatica e quanto fa bene la nonviolenza.
--
_____________________
Movimento Nonviolento
via Spagna, 8
37123 Verona
tel. 045 8009803
Fax 045 8009212
www.nonviolenti.org
Si fa la guerra, contro l'umanità e contro la natura, per il potere energetico, per lo sviluppo infinito dei consumi. Quello che sta accadendo, in Giappone come in Libia, è un segnale di allarme che dobbiamo cogliere. Tutti dicono che le cose vanno sempre peggio, che così non si può andare avanti. Ci vuole un cambiamento.
Pace tra le persone e con la natura, di questo ha bisogno il mondo.
Noi del Movimento Nonviolento vogliamo iniziare con un'assunzione di responsabilità. Mettiamo in campo un'iniziativa simbolica, ma concreta.
Un digiuno del cibo e della parola, un'azione semplice ma incisiva – se non altro su noi stessi - per riflettere sulla necessità di rifiutare la violenza per scegliere la strada della nonviolenza.
Rinunciare a mangiare è anche un modo per condividere le tante sofferenza e la fame che porta la guerra. Rimanere in silenzio è anche un modo per evidenziare quanta violenza c'è nella parole di menzogna (la prima vittima della guerra è la verità): "operazione umanitaria" per nascondere che è una guerra; "nucleare sicuro e pulito" per nascondere i rischi e i costi dell'energia atomica.
Iniziamo con un digiuno collettivo di 48 ore, sapendo che la nonviolenza è contagiosa e altre azioni nonviolente seguiranno nei giorni successivi. Vogliamo con questo dare l'avvio ad un modo nuovo di "stare in piazza" e di concepire la politica.
Sappiamo bene che la guerra non si ferma con i digiuni. Vogliamo però richiamare l'attenzione sulla necessità di prevenire la prossima, contrastando eserciti e armi che la renderanno possibile, e lavorando per costruire gli strumenti utili per veri interventi umanitari di pace.
Domenica e lunedì 27 e 28 marzo, in molte città d'Italia (Verona, Trento, Venezia, Ferrara, Livorno, Genova, Brescia, Torino, ecc.) gli amici e le amiche della nonviolenza staranno senza cibo e senza parole per:
- opporsi alla guerra (e alla sua preparazione)
- opporsi al nucleare (votare SI' al referendum)
- sostenere i Corpi Civili di Pace (veri strumenti di intervento umanitario)
- sostenere le energie rinnovabili (sole, vento, acqua sono doni gratuiti della natura)
- proporre una seria riflessione sulla nonviolenza, che è la forza della verità.
Movimento Nonviolento
via Spagna, 8 – 37123 Verona
Tel. 045 8009803
Chi desidera partecipare e proseguire questa azione nonviolenta, singolarmente o in gruppo, nei modi e nei tempi che vorrà, lo può comunicare a:
azionenonviolenta@sis.it
i nominativi e il calendario saranno diffusi tramite il nostro sito www.nonviolenti.org e nella pagina facebook del Movimento Nonviolento.
A chi pensa invece che questa proposta sia un'ingenuità, o che non serva a niente, proponiamo di provare, per un giorno solo, e capirà quanto costa fatica e quanto fa bene la nonviolenza.
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_____________________
Movimento Nonviolento
via Spagna, 8
37123 Verona
tel. 045 8009803
Fax 045 8009212
www.nonviolenti.org
giovedì 24 marzo 2011
Lidia Menapace - Ma la guerra cos' e' ?
Ma la guerra cosa è?
E' forse un evento che risolve i conflitti? una delle tante giustificazioni delle guerre è che tra popoli stirpi classi religioni si aprono conflitti, che si avvitano su se stessi, tanto che non si può fare altro che intervenire con le armi per eliminarli: ma le guerre eliminano i confliggenti uccidendoli , il conflitto rimane, tanto che dà luogo alla ricerca di rivincita.
Se lasciamo le domande ed esaminiamo le guerre nel loro concreto svolgersi possiamo osservare che gli antichi le consideravano il rispecchiamento di litigi conflitti gare ambizioni tra dei, che avevano sulla terra i loro sostenitori ecc. Su questa idea è fondata l'Iliade omerica. Più terrena l'idea di guerra dei Romani, cioè che spettasse a Roma il dominio del mondo e che gli dei stessi alla città avessero destinato questo compito, prima giustificazione religiosa di quello che chiamiamo imperialismo. Incluse le guerre sante e le crociate. In tutto questo lunghissimo periodo le guerre furono "limitate" da diritti di ospitalità e dalla definizione del territorio in cui si svolgevano Cioè chi aveva precedenti relazioni amicali documentate da ospitalità, se si incontrava sul campo di battaglia non si scontrava, ma scambiava doni, atteggiamento che vien lodato ancora per tutto il tempo dei poemi cavallereschi, come si vede nell'Orlando Furioso: "Oh gran bontà dei cavalieiri antiqui" che al calar del sole smettono ii duello amoroso e religioso che li opponeva e dormono vicini. Invece la popolazione civile era difesa dal fatto che il perimetro della guerra era il "campo" e lì si svolgevano le battaglie appunto "campali". Oppure i Campi di Marte dove avvenivano i duelli tra Orazi e Curiazi o la Disfida di Barletta.
Questi effetti e forme durano fino all'invenzione delle armi da fuoco, che producono le grandi fanterie e gli stati assoluti con adeguata struttura organizzativa ed economica, affidando la sorte delle guerre ai grandi stati dotati appunto di tecnologie e finanze (e/o colonie).
Un ulteriore passo è quando Mussolini inventa la "guerra totalitaria" che cioè si svolge su e contro l'intero territorio del "nemico": le città diventano obiettivi dei bombardamenti e nel giornalismo italiano viene inventato il termine "coventrizzare" (dal nome di un sobborgo di Londra, Coventry, raso al suolo da un bombardamento dell'Aeronautica ,"arma fascistissima"). Del resto gli Alleati non si tirarono indietro: le nostre città furono bombardate senza limiti e da allora in qualsiasi guerra, i civili muoiono più dei militari. La guerra diventa un fatto "totale". E di incommensurabile capacità distruttiva, con le armi atomiche . Veniamo a sapere ora che gli esperimenti atomici francesi nell'arcipelago di Mururoa di svariati decenni fa stanno ancora inquinando l'oceano non lontano dalle centrali giapponesi colpite da terremoto e tsunami. A questo punto la guerra viene definita nella cultura attuale con l'acronimo M.A.D. (mutual assurance of destruction, mutua garanzia di distruzione) , cioè follia.
Ma intanto che cosa è la guerra nel diritto? La definizione classica è molto "oggettiva": "conflitto interstatale armato", succesivamente si spiega che può essere "giusta" o "ingiusta", ma non vi sono fonti giuridiche in appoggio.
Vale molto, per la professionalità di chi l'ha inventata, la definizione di von Clausewitz: "la guerra è la politica continuata con altri mezzi". E poichè la politica è l'attività che regola il consorzio umano, se la guerra la continua, deve avere lo stesso livello di potere, cioè essere il Potere. E non tollerare limiti: infatti von Clausewitz dice dall'alto della sua prestigiosa cattedra di professore della Scuola di guerra della Prussia (da cui fu rimosso poi perchè troppo "moderato") che chi parla di guerra limitata o mente o non sa che cosa dice. La guerra non tollera limiti se non la sconfitta del nemico. E oggi in più la garanzia di reciproca distruzione o, con altra definizione, di sapere che le bombe atomiche, già stoccate negli arsenali, sono in grado di distruggere 11 volte il pianeta. Questa si chiama aporia, coè stop al pensiero.
Interessanti novità avvengono alla fine della seconda guerra mondiale, quando si costituisce l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU, che in seguito modifica il suo nome in Nazioni Unite (N.U.). Nella sua Carta, dopo un breve proemio in cui i reggitori dei popoli che la lanciano affermano di aver visto le distruzioni provocate appunto dalla guerra e di voler preservare le future generazioni dal rischio che si possa ripetere tutto ciò, dichiarano che "la guerra è un crimine". Questa deve essere ritenuta la vigente definizione internazionale di guerra.
Chi lo affermò non era nè un'associazione di benefattori, nè un collegio di filosofi, nè un gruppo di tenere fanciulle: si chiamavano Truman, Churchill, De Gaulle, Stalin, Mao, cinque uomini di ferro, che ne avevano viste e fatte di ogni colore. Infatti non si limitano a fare una nobile affermazione, ma ne deducono -da statisti quali erano- che se è un crimine per tenerla sotto controllo reprimerla evitarla ecc. occorre una polizia internazionale con proprio specifico addestramento, una magistratura, un codice. Invece di tutto ciò si avviò la "guerra fredda" e le relazioni internazionali si rimisero sui vecchi binari delle definizioni ipocrite e non limpide.
Se di fronte all'attuale crisi internazionale che ci ha fatto assistere in pochi anni al disastro del petrolio nel golfo del Messico, al terremoto e tsunami in Giappone con i pericoli delle centrali, alla scoperta che l'oceano vicino alle centrali è ancora inquinato dagli esperimenti francesi di Mururoa, ai venti che stanno spingendo la nube radioattiva verso l'Europa, sta arrivando in Islanda, sarà presto sulla Francia ecc. , alle rivoluzioni magrebine, alla crisi libica (senza contare Yemen Siria ecc. che si preparano), se dunque di fronte a tutto ciò non ci mettiamo a preparare alla svelta una alternativa, ben presto non potremo più fermare la barbarie che la crisi produce. Non si può tacere, e lasciare il futuro nelle mani di governi corrotti, politici ignoranti e finanze che prosperano sulle sciagure e imprese che nascondono le condizioni degli impianti nucleari o dei pozzi sottomarini per non rimetterci nei profitti. Sarebbe da stupidi irresponsabili. E' un lusso che non possiamo permetterci: tutti e tutte noi che non abbiamo potere, nè soldi, nè mezzi di comunicazione di massa, mettiamo dunque in gioco la nostra ragione, volontà, tenacia, generosità, come facemmo quando era necessario non cedere a Hitler e a Mussolini, sennò siamo corresponsabili della barbarie presente, anche se fossimo tutti e tutte il meglio della cultura arte e bellezza: tutto si offuscherebbe, appassirebbe, marcirebbe. La crisi capitalistico-patriarcale, strutturale globale produce barbarie: noi vogliamo un altro mondo possibile: "Se non ora, quando ?"
Lidia Menapace
Fonte www.liberazione.it
E' forse un evento che risolve i conflitti? una delle tante giustificazioni delle guerre è che tra popoli stirpi classi religioni si aprono conflitti, che si avvitano su se stessi, tanto che non si può fare altro che intervenire con le armi per eliminarli: ma le guerre eliminano i confliggenti uccidendoli , il conflitto rimane, tanto che dà luogo alla ricerca di rivincita.
Se lasciamo le domande ed esaminiamo le guerre nel loro concreto svolgersi possiamo osservare che gli antichi le consideravano il rispecchiamento di litigi conflitti gare ambizioni tra dei, che avevano sulla terra i loro sostenitori ecc. Su questa idea è fondata l'Iliade omerica. Più terrena l'idea di guerra dei Romani, cioè che spettasse a Roma il dominio del mondo e che gli dei stessi alla città avessero destinato questo compito, prima giustificazione religiosa di quello che chiamiamo imperialismo. Incluse le guerre sante e le crociate. In tutto questo lunghissimo periodo le guerre furono "limitate" da diritti di ospitalità e dalla definizione del territorio in cui si svolgevano Cioè chi aveva precedenti relazioni amicali documentate da ospitalità, se si incontrava sul campo di battaglia non si scontrava, ma scambiava doni, atteggiamento che vien lodato ancora per tutto il tempo dei poemi cavallereschi, come si vede nell'Orlando Furioso: "Oh gran bontà dei cavalieiri antiqui" che al calar del sole smettono ii duello amoroso e religioso che li opponeva e dormono vicini. Invece la popolazione civile era difesa dal fatto che il perimetro della guerra era il "campo" e lì si svolgevano le battaglie appunto "campali". Oppure i Campi di Marte dove avvenivano i duelli tra Orazi e Curiazi o la Disfida di Barletta.
Questi effetti e forme durano fino all'invenzione delle armi da fuoco, che producono le grandi fanterie e gli stati assoluti con adeguata struttura organizzativa ed economica, affidando la sorte delle guerre ai grandi stati dotati appunto di tecnologie e finanze (e/o colonie).
Un ulteriore passo è quando Mussolini inventa la "guerra totalitaria" che cioè si svolge su e contro l'intero territorio del "nemico": le città diventano obiettivi dei bombardamenti e nel giornalismo italiano viene inventato il termine "coventrizzare" (dal nome di un sobborgo di Londra, Coventry, raso al suolo da un bombardamento dell'Aeronautica ,"arma fascistissima"). Del resto gli Alleati non si tirarono indietro: le nostre città furono bombardate senza limiti e da allora in qualsiasi guerra, i civili muoiono più dei militari. La guerra diventa un fatto "totale". E di incommensurabile capacità distruttiva, con le armi atomiche . Veniamo a sapere ora che gli esperimenti atomici francesi nell'arcipelago di Mururoa di svariati decenni fa stanno ancora inquinando l'oceano non lontano dalle centrali giapponesi colpite da terremoto e tsunami. A questo punto la guerra viene definita nella cultura attuale con l'acronimo M.A.D. (mutual assurance of destruction, mutua garanzia di distruzione) , cioè follia.
Ma intanto che cosa è la guerra nel diritto? La definizione classica è molto "oggettiva": "conflitto interstatale armato", succesivamente si spiega che può essere "giusta" o "ingiusta", ma non vi sono fonti giuridiche in appoggio.
Vale molto, per la professionalità di chi l'ha inventata, la definizione di von Clausewitz: "la guerra è la politica continuata con altri mezzi". E poichè la politica è l'attività che regola il consorzio umano, se la guerra la continua, deve avere lo stesso livello di potere, cioè essere il Potere. E non tollerare limiti: infatti von Clausewitz dice dall'alto della sua prestigiosa cattedra di professore della Scuola di guerra della Prussia (da cui fu rimosso poi perchè troppo "moderato") che chi parla di guerra limitata o mente o non sa che cosa dice. La guerra non tollera limiti se non la sconfitta del nemico. E oggi in più la garanzia di reciproca distruzione o, con altra definizione, di sapere che le bombe atomiche, già stoccate negli arsenali, sono in grado di distruggere 11 volte il pianeta. Questa si chiama aporia, coè stop al pensiero.
Interessanti novità avvengono alla fine della seconda guerra mondiale, quando si costituisce l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU, che in seguito modifica il suo nome in Nazioni Unite (N.U.). Nella sua Carta, dopo un breve proemio in cui i reggitori dei popoli che la lanciano affermano di aver visto le distruzioni provocate appunto dalla guerra e di voler preservare le future generazioni dal rischio che si possa ripetere tutto ciò, dichiarano che "la guerra è un crimine". Questa deve essere ritenuta la vigente definizione internazionale di guerra.
Chi lo affermò non era nè un'associazione di benefattori, nè un collegio di filosofi, nè un gruppo di tenere fanciulle: si chiamavano Truman, Churchill, De Gaulle, Stalin, Mao, cinque uomini di ferro, che ne avevano viste e fatte di ogni colore. Infatti non si limitano a fare una nobile affermazione, ma ne deducono -da statisti quali erano- che se è un crimine per tenerla sotto controllo reprimerla evitarla ecc. occorre una polizia internazionale con proprio specifico addestramento, una magistratura, un codice. Invece di tutto ciò si avviò la "guerra fredda" e le relazioni internazionali si rimisero sui vecchi binari delle definizioni ipocrite e non limpide.
Se di fronte all'attuale crisi internazionale che ci ha fatto assistere in pochi anni al disastro del petrolio nel golfo del Messico, al terremoto e tsunami in Giappone con i pericoli delle centrali, alla scoperta che l'oceano vicino alle centrali è ancora inquinato dagli esperimenti francesi di Mururoa, ai venti che stanno spingendo la nube radioattiva verso l'Europa, sta arrivando in Islanda, sarà presto sulla Francia ecc. , alle rivoluzioni magrebine, alla crisi libica (senza contare Yemen Siria ecc. che si preparano), se dunque di fronte a tutto ciò non ci mettiamo a preparare alla svelta una alternativa, ben presto non potremo più fermare la barbarie che la crisi produce. Non si può tacere, e lasciare il futuro nelle mani di governi corrotti, politici ignoranti e finanze che prosperano sulle sciagure e imprese che nascondono le condizioni degli impianti nucleari o dei pozzi sottomarini per non rimetterci nei profitti. Sarebbe da stupidi irresponsabili. E' un lusso che non possiamo permetterci: tutti e tutte noi che non abbiamo potere, nè soldi, nè mezzi di comunicazione di massa, mettiamo dunque in gioco la nostra ragione, volontà, tenacia, generosità, come facemmo quando era necessario non cedere a Hitler e a Mussolini, sennò siamo corresponsabili della barbarie presente, anche se fossimo tutti e tutte il meglio della cultura arte e bellezza: tutto si offuscherebbe, appassirebbe, marcirebbe. La crisi capitalistico-patriarcale, strutturale globale produce barbarie: noi vogliamo un altro mondo possibile: "Se non ora, quando ?"
Lidia Menapace
Fonte www.liberazione.it
Follonica contro la guerra in Libia
FOLLONICA SCENDE IN PIAZZA PER LA PACE
RIPORTIAMO L'ARTICOLO CHE ABBIAMO PORTATO ALL'ASSEMBLEA IN PIAZZA DI MERCOLEDI' 23 MARZO A FOLLONICA.
IL "COMITATO PER LA COSTITUZIONE" DI FOLLONICA, RECENTEMENTE COSTITUITOSI, HA RAGGRUPPATO FORZE POLITICHE, FORZE SINDACALI E SEMPLICI CITTADINI PER RICORDARE ANCORA UNA VOLTA CHE E' STATO NUOVAMENTE TRADITO L'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE.
CSIAM
SIAMO PURTROPPO ANCORA UNA VOLTA IN PIAZZA A GRIDARE IL NOSTRO NO ALLE GUERRE, GUERRE CHE PORTANO SOLAMENTE MORTI.
SIAMO SEMPRE STATI CONTRO IL REGIME DEL DITTATORE GHEDDAFI ED ABBIAMO SEMPRE DENUNCIATO LE CONDIZIONI DEL POPOLO LIBICO E LA SITUAZIONE DELLE CARCERI LIBICHE DOVE PASSANO I DESTINI DI COLORO CHE SCAPPANO DALLE LORO TERRE MARTORIATE DALLE GUERRE CIVILI E MILITARI E CHE CERCANO SPERANZA NEL RESTO D’EUROPA. REALTA’ DOVE E’ DIFFICILE FRUIRE ANCHE DEL PIU’ ELEMENTARE DIRITTO UMANO. E QUESTO LO SAPPIAMO ANCHE GRAZIE ALLE TESTIMONIANZE DEI 200 AMICI OSPITATI 3 ANNI FA' AL "VELIERO".
A DIFFERENZA DI QUALCHE ILLUSTRO POLITICO PERSONAGGIO, NOI OGGI NON SIAMO ADDOLORATI PER LE SORTI DEL DITTATORE; NON ABBIAMO MAI AFFERMATO CHE ERA UN UOMO DI GRANDE SAGGEZZA; NON GLI ABBIAMO MAI FATTO IL BACIAMANO E NON ABBIAMO MAI ORGANIZZATO NESSUNA SCORRAZZATA DI CAVALLI E BELLE DONNE ALL’INTERNO DEL CIRCO MASSIMO A ROMA.
CI CHIEDIAMO ANCHE SE LE AFFERMAZIONI DI D’ALEMA HANNO UNA COERENZA LOGICA. TESTUALMENTE “SIAMO INTERVENUTI PERCHE’ GHEDDAFI STAVA UCCIDENDO INGIUSTAMENTE I CIVILI CHE MANIFESTAVANO E PROTESTAVANO PER UNA LIBIA MIGLIORE. L’INTERVENTO ARMATO ERA DOVEROSO”
CI DOMANDIAMO ALLORA PERCHE’ NON E’ STATA DECRETATA, NEL GENNAIO DEL 2009, LA NO FLY ZONE SU GAZA E SUL CIELO DI PALESTINA, DOVE FURONO UCCISI IN 20 GIORNI 1400 CIVILI PALESTINESI; CI DOMANDIAMO ALLORA PERCHE’ IL GOVERNO ISRAELIANO NON E’ STATO DEPOSTO.
AL PRESIDENTE NAPOLITANO DICIAMO CHE NON CI INTERESSA SE L’OPERAZIONE IN CORSO E’ STATA AUTORIZZATA DA UNA RISOLUZIONE DELL’ONU E NON CI INTERESSA NEMMENO SAPERE COSA DICE LA CARTA DEI DIRITTI: ABBIAMO UNA BELLISSIMA COSTITUZIONE IN ITALIA E TUTTI SAPPIAMO BENISSIMO COSA DICE L’ARTICOLO 11. ANDARE IN GUERRA VUOL DIRE TRADIRLO ANCORA, DOPO IL KOSOVO, L’IRAQ E L’AFGHANISTAN.
E POI, SE LE RISOLUZIONI ONU DEVONO SEMPRE ESSERE RISPETTATE, PERCHE’ IL GOVERNO ISRAELIANO NON NE HA MAI RISPETTATA UNA DAL 1967 AD OGGI?
L’UCCISIONE DEGLI INSORTI (CHE CONDANNIAMO FERMAMENTE) DA PARTE DI GHEDDAFI E’ STATA UN OTTIMO PRETESTO PER POTER INTERVENIRE MILITARMENTE; QUESTI SIGNORI CAPI DI GOVERNO NON SAPEVANO INFATTI COME ARGINARE IL VENTO DELLA RIVOLUZIONE CHE STAVA SOFFIANDO NEL NORD AFRICA. AVEVANO BISOGNO DI SOFFOCARE LA RIBELLIONE NEL MAGHREB PER NON PERDERE IL CONTROLLO SULLA POPOLAZIONE CHE SI STAVA RIBELLANDO.
MA SOPRATTUTTO PER NON PERDERE IL CONTROLLO SUL PETROLIO LIBICO E GARANTIRE GLI INTERESSI DELLE MULTINAZIONALI PETROLIFERE, TRA CUI UNA DELLE PIU’ COINVOLTE, IN TUTTI I SENSI, E’ SICURAMENTE L’ENI.
CHIEDIAMO, COME GIA’ ACCACADUTO PURTROPPO DIVERSE VOLTE NEGLI ANNI PASSATI, DI ESPORRE LE BANDIERE DELLA PACE ALLE FINESTRE ED AI BALCONI, PER GRIDARE ANCORA UNA VOLTA IL NOSTRO NO ALLE GUERRE, IL NOSTRO NO ALLE FINTE MISSIONI UMANITARIE, IL NOSTRO NO ALLE FINTE MISSIONI DI PACE.
LE VERE MISSIONI UMANITARIE, CHE PURTROPPO NON SONO STATE NEMMENO PRESE IN CONSIDERAZIONE DAI POTENTI DEL MONDO, E’ BENE CHE VENGANO PORTATE AVANTI DA REALTA MOLTO PIU’ COMPETENTI IN MATERIA, TIPO EMERGENCY.
RIPORTIAMO L'ARTICOLO CHE ABBIAMO PORTATO ALL'ASSEMBLEA IN PIAZZA DI MERCOLEDI' 23 MARZO A FOLLONICA.
IL "COMITATO PER LA COSTITUZIONE" DI FOLLONICA, RECENTEMENTE COSTITUITOSI, HA RAGGRUPPATO FORZE POLITICHE, FORZE SINDACALI E SEMPLICI CITTADINI PER RICORDARE ANCORA UNA VOLTA CHE E' STATO NUOVAMENTE TRADITO L'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE.
CSIAM
SIAMO PURTROPPO ANCORA UNA VOLTA IN PIAZZA A GRIDARE IL NOSTRO NO ALLE GUERRE, GUERRE CHE PORTANO SOLAMENTE MORTI.
SIAMO SEMPRE STATI CONTRO IL REGIME DEL DITTATORE GHEDDAFI ED ABBIAMO SEMPRE DENUNCIATO LE CONDIZIONI DEL POPOLO LIBICO E LA SITUAZIONE DELLE CARCERI LIBICHE DOVE PASSANO I DESTINI DI COLORO CHE SCAPPANO DALLE LORO TERRE MARTORIATE DALLE GUERRE CIVILI E MILITARI E CHE CERCANO SPERANZA NEL RESTO D’EUROPA. REALTA’ DOVE E’ DIFFICILE FRUIRE ANCHE DEL PIU’ ELEMENTARE DIRITTO UMANO. E QUESTO LO SAPPIAMO ANCHE GRAZIE ALLE TESTIMONIANZE DEI 200 AMICI OSPITATI 3 ANNI FA' AL "VELIERO".
A DIFFERENZA DI QUALCHE ILLUSTRO POLITICO PERSONAGGIO, NOI OGGI NON SIAMO ADDOLORATI PER LE SORTI DEL DITTATORE; NON ABBIAMO MAI AFFERMATO CHE ERA UN UOMO DI GRANDE SAGGEZZA; NON GLI ABBIAMO MAI FATTO IL BACIAMANO E NON ABBIAMO MAI ORGANIZZATO NESSUNA SCORRAZZATA DI CAVALLI E BELLE DONNE ALL’INTERNO DEL CIRCO MASSIMO A ROMA.
CI CHIEDIAMO ANCHE SE LE AFFERMAZIONI DI D’ALEMA HANNO UNA COERENZA LOGICA. TESTUALMENTE “SIAMO INTERVENUTI PERCHE’ GHEDDAFI STAVA UCCIDENDO INGIUSTAMENTE I CIVILI CHE MANIFESTAVANO E PROTESTAVANO PER UNA LIBIA MIGLIORE. L’INTERVENTO ARMATO ERA DOVEROSO”
CI DOMANDIAMO ALLORA PERCHE’ NON E’ STATA DECRETATA, NEL GENNAIO DEL 2009, LA NO FLY ZONE SU GAZA E SUL CIELO DI PALESTINA, DOVE FURONO UCCISI IN 20 GIORNI 1400 CIVILI PALESTINESI; CI DOMANDIAMO ALLORA PERCHE’ IL GOVERNO ISRAELIANO NON E’ STATO DEPOSTO.
AL PRESIDENTE NAPOLITANO DICIAMO CHE NON CI INTERESSA SE L’OPERAZIONE IN CORSO E’ STATA AUTORIZZATA DA UNA RISOLUZIONE DELL’ONU E NON CI INTERESSA NEMMENO SAPERE COSA DICE LA CARTA DEI DIRITTI: ABBIAMO UNA BELLISSIMA COSTITUZIONE IN ITALIA E TUTTI SAPPIAMO BENISSIMO COSA DICE L’ARTICOLO 11. ANDARE IN GUERRA VUOL DIRE TRADIRLO ANCORA, DOPO IL KOSOVO, L’IRAQ E L’AFGHANISTAN.
E POI, SE LE RISOLUZIONI ONU DEVONO SEMPRE ESSERE RISPETTATE, PERCHE’ IL GOVERNO ISRAELIANO NON NE HA MAI RISPETTATA UNA DAL 1967 AD OGGI?
L’UCCISIONE DEGLI INSORTI (CHE CONDANNIAMO FERMAMENTE) DA PARTE DI GHEDDAFI E’ STATA UN OTTIMO PRETESTO PER POTER INTERVENIRE MILITARMENTE; QUESTI SIGNORI CAPI DI GOVERNO NON SAPEVANO INFATTI COME ARGINARE IL VENTO DELLA RIVOLUZIONE CHE STAVA SOFFIANDO NEL NORD AFRICA. AVEVANO BISOGNO DI SOFFOCARE LA RIBELLIONE NEL MAGHREB PER NON PERDERE IL CONTROLLO SULLA POPOLAZIONE CHE SI STAVA RIBELLANDO.
MA SOPRATTUTTO PER NON PERDERE IL CONTROLLO SUL PETROLIO LIBICO E GARANTIRE GLI INTERESSI DELLE MULTINAZIONALI PETROLIFERE, TRA CUI UNA DELLE PIU’ COINVOLTE, IN TUTTI I SENSI, E’ SICURAMENTE L’ENI.
CHIEDIAMO, COME GIA’ ACCACADUTO PURTROPPO DIVERSE VOLTE NEGLI ANNI PASSATI, DI ESPORRE LE BANDIERE DELLA PACE ALLE FINESTRE ED AI BALCONI, PER GRIDARE ANCORA UNA VOLTA IL NOSTRO NO ALLE GUERRE, IL NOSTRO NO ALLE FINTE MISSIONI UMANITARIE, IL NOSTRO NO ALLE FINTE MISSIONI DI PACE.
LE VERE MISSIONI UMANITARIE, CHE PURTROPPO NON SONO STATE NEMMENO PRESE IN CONSIDERAZIONE DAI POTENTI DEL MONDO, E’ BENE CHE VENGANO PORTATE AVANTI DA REALTA MOLTO PIU’ COMPETENTI IN MATERIA, TIPO EMERGENCY.
martedì 22 marzo 2011
Libia,rete Disarmiamoli,appello per una manifestazione nazionale
No all’intervento militare contro la Libia
No alla concessione delle basi italiane per la guerra
Appello per una manifestazione nazionale
Rete nazionale "Disarmiamoli!"
Le bombe della cosiddetta “coalizione dei volonterosi” colpiscono da giorni la Libia, le città, i porti e le infrastrutture di un paese sino a poche settimane fa alleato sicuro e fedele di chi oggi lo sta bombardando. Gran parte degli aerei partono dal nostro paese, trasformando per l’ennesima volta l’Italia in una grande portaerei di guerra.
La “No Fly Zone” è stato un vergognoso paravento per legittimare una aggressione funzionale alle mire colonialiste francesi, inglesi e statunitensi sulle immense risorse petrolifere e di gas della Libia.
Il placet dell’ONU per quella che rischia di trasformarsi in una nuova occupazione militare è passato attraverso l’uso delle solite “armi di distrazione di massa”. Sono state inventate di sana pianta notizie allarmanti e orribili per legittimare poi l’intervento “umanitario” a favore delle popolazioni civili libiche, che ora però muoiono sia nella guerra civile che sotto le bombe statunitensi, francesi, inglesi.. e italiane.
Il gruppo di paesi che guidano l’attuale avventura militare, sono andati alla guerra senza alcun accordo sul ruolo della NATO e con contrasti all’interno tra i vari governi.
In Italia il governo Berlusconi si è salvato da una crisi politica ben più grave di quelle giuridico/sessuali degli ultimi tempi grazie al sostegno del PD alla guerra, alimentando così una foga interventista vergognosa, coadiuvata dal Presidente della Repubblica attraverso un sapiente uso delle celebrazioni sul 150° dell’Unità d’Italia, funzionali a creare nel paese il clima nazionalista utile per veicolare l’ennesima “missione di guerra”.
Ancora una volta al carro degli interventisti “umanitari”si è immediatamente legata la cordata di coloro che gridarono impropriamente “forza ONU” alcuni anni fa mentre l'Iraq e l'Afghanistan erano stati invasi e bombardati.
Ma contro il bellicismo bipartisan e i velenosi appelli di sostegno alla nuova missione “di guerra umanitaria”, hanno risposto miagliai di attivisti No War scesi subito in piazza a Roma, Bologna, Pisa, Napoli, Milano, Torino, Vicenza, Firenze, Trapani, ed in tante altre città del paese con manifestazioni spontanee, volantinaggi, assemblee e riunioni.
Nei prossimi giorni altre iniziative sono in programma ai quattro angoli del paese, in una mobilitazione che trova di nuovo nella parola d’ordine “contro la guerra senza se e senza ma” un forte comune denominatore.
Il movimento contro la guerra italiano ha però una responsabilità particolare di fronte all’aggressione in atto contro la Libia. L’intera operazione aeronavale è diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa, situato a Napoli, dove si trovano anche il quartier generale delle forze navali del Comando Africa e quello della Forza congiunta alleata. Tutti e tre i comandi sono nelle mani dello stesso ammiraglio statunitense Sam J. Locklear III, ossia del Pentagono.
Occorre allora indicare in questo luogo l’obiettivo comune di questa fase di mobilitazione, in un crescendo che ci porti tutti insieme a Napoli, dove è il cervello di questa nuova e vergognosa guerra con una Manifestazione Nazionale nelle prossime settimane che riunifichi il movimento contro la guerra italiano e indichi chiaramente le responsabilità e i luoghi decisivi di questa guerra.
La Rete nazionale “Disarmiamoli!!”
No alla concessione delle basi italiane per la guerra
Appello per una manifestazione nazionale
Rete nazionale "Disarmiamoli!"
Le bombe della cosiddetta “coalizione dei volonterosi” colpiscono da giorni la Libia, le città, i porti e le infrastrutture di un paese sino a poche settimane fa alleato sicuro e fedele di chi oggi lo sta bombardando. Gran parte degli aerei partono dal nostro paese, trasformando per l’ennesima volta l’Italia in una grande portaerei di guerra.
La “No Fly Zone” è stato un vergognoso paravento per legittimare una aggressione funzionale alle mire colonialiste francesi, inglesi e statunitensi sulle immense risorse petrolifere e di gas della Libia.
Il placet dell’ONU per quella che rischia di trasformarsi in una nuova occupazione militare è passato attraverso l’uso delle solite “armi di distrazione di massa”. Sono state inventate di sana pianta notizie allarmanti e orribili per legittimare poi l’intervento “umanitario” a favore delle popolazioni civili libiche, che ora però muoiono sia nella guerra civile che sotto le bombe statunitensi, francesi, inglesi.. e italiane.
Il gruppo di paesi che guidano l’attuale avventura militare, sono andati alla guerra senza alcun accordo sul ruolo della NATO e con contrasti all’interno tra i vari governi.
In Italia il governo Berlusconi si è salvato da una crisi politica ben più grave di quelle giuridico/sessuali degli ultimi tempi grazie al sostegno del PD alla guerra, alimentando così una foga interventista vergognosa, coadiuvata dal Presidente della Repubblica attraverso un sapiente uso delle celebrazioni sul 150° dell’Unità d’Italia, funzionali a creare nel paese il clima nazionalista utile per veicolare l’ennesima “missione di guerra”.
Ancora una volta al carro degli interventisti “umanitari”si è immediatamente legata la cordata di coloro che gridarono impropriamente “forza ONU” alcuni anni fa mentre l'Iraq e l'Afghanistan erano stati invasi e bombardati.
Ma contro il bellicismo bipartisan e i velenosi appelli di sostegno alla nuova missione “di guerra umanitaria”, hanno risposto miagliai di attivisti No War scesi subito in piazza a Roma, Bologna, Pisa, Napoli, Milano, Torino, Vicenza, Firenze, Trapani, ed in tante altre città del paese con manifestazioni spontanee, volantinaggi, assemblee e riunioni.
Nei prossimi giorni altre iniziative sono in programma ai quattro angoli del paese, in una mobilitazione che trova di nuovo nella parola d’ordine “contro la guerra senza se e senza ma” un forte comune denominatore.
Il movimento contro la guerra italiano ha però una responsabilità particolare di fronte all’aggressione in atto contro la Libia. L’intera operazione aeronavale è diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa, situato a Napoli, dove si trovano anche il quartier generale delle forze navali del Comando Africa e quello della Forza congiunta alleata. Tutti e tre i comandi sono nelle mani dello stesso ammiraglio statunitense Sam J. Locklear III, ossia del Pentagono.
Occorre allora indicare in questo luogo l’obiettivo comune di questa fase di mobilitazione, in un crescendo che ci porti tutti insieme a Napoli, dove è il cervello di questa nuova e vergognosa guerra con una Manifestazione Nazionale nelle prossime settimane che riunifichi il movimento contro la guerra italiano e indichi chiaramente le responsabilità e i luoghi decisivi di questa guerra.
La Rete nazionale “Disarmiamoli!!”
Libia.Documento del Movimento Nonviolento
LIBIA
La prima fondamentale direttrice d'azione del Movimento Nonviolento è
l'opposizione integrale alla guerra
“Noi dobbiamo dire no alla guerra ed essere duri come pietre”
(Aldo Capitini)
“Meglio un anno di negoziati che un giorno di guerra”
(Alexander Langer)
Sul perché condanniamo l'intervento, non firmiamo appelli, cerchiamo di
capire e lavoriamo per fare della Marcia Perugia-Assisi un'occasione di
crescita nonviolenta per tutto il movimento pacifista.
Difendere le vittime inermi è doveroso. Quando qualcuno interviene per
tutelare i diritti umani e salvare una vita, è una buona notizia. Da
quando il samaritano ha soccorso il poveretto incappato nei briganti sulla
strada di Gerico, è sempre stato così.
Era dovere della comunità internazionale mobilitarsi per impedire che a
Bengasi potesse avvenire un massacro (nel 1996 l'Europa si macchiò di
“omissione di soccorso” quando non fece nulla per impedire il genocidio a
Srebrenica).
L'obiettivo delle due risoluzioni dell'Onu (n. 1970 e 1973) sulla crisi
libica è quello di proteggere i civili, gli insediamenti urbani e
garantire assistenza umanitaria. L'uso della forza viene invocato per
limitare i danni che già sono in corso sul campo, affermando il chiaro
rifiuto dell'opzione di occupazione militare straniera, la priorità del
cessate il fuoco e della soluzione politica, il rafforzamento dell'embargo
militare e commerciale, il riconoscimento del ruolo prioritario della
Unione Africana, della Lega Araba, della Conferenza Islamica.
Ci sono però due cattive notizie. La prima è il ritardo spaventoso (e
l'ambiguità) con cui si è mossa la diplomazia degli stati, e la seconda è
che l'Onu non dispone di una forza di polizia internazionale permanente ma
deve affidarsi, di volta in volta, agli eserciti degli stati membri
(articoli 43-49 della Carta della Nazioni Unite, in questo caso Francia,
Inghilterra, Stati Uniti).
Quando la parola passa dalla diplomazia alle armi, succede che le
operazioni militari si trasformano subito in guerra. E' quello che sta
accadendo in Libia. Gli strumenti utilizzati (bombardieri, caccia,
tornado, missili, incrociatori, portaerei, sommergibili, ecc.) sono quelli
tradizionali della guerra, gli unici disponibili, pronti, efficienti. Come
nei Balcani, come in Iraq, come in Afganistan, viene messa in campo solo
l'opzione militare, l'unica che è stata adeguatamente preparata e
finanziata. Una cosa è certa: non sarà con un'altra guerra che la
democrazia potrà affermarsi nel mondo arabo.
Appelli che cadono nel vuoto
Subito dopo l'annuncio del primo raid aereo, hanno iniziato a circolare in
“rete” gli appelli pacifisti. Ci sono quelli “senza se e senza ma” che
dicono: “non ci può essere guerra in nome dei diritti umani”; e quelli
“realisti” che dicono: “l’uso della forza serve ad impedire ulteriori
massacri”.
Noi non firmiamo appelli che non contemplino una precedente opzione per la
nonviolenza costruttiva, né convochiamo mobilitazioni che si limitino a
proteste e condanne di ciò che è già avvenuto. Non basta mettere a verbale
il nostro “no” alla guerra. Certo, meglio che niente, ma bisogna
aggiungere una parola in più: quando la guerra inizia nessuno riesce a
fermarla; bisogna prevenirla una guerra, affinché non avvenga. Lo si può
fare solo non collaborando in nessun modo alla sua preparazione.
Quando la prima bomba è stata sganciata, ormai lo sappiamo bene, a nulla
serve dire “basta”, essa cadrà e molte altre ne seguiranno. La guerra, una
volta accettata, conduce a tali delitti e tali stragi che è assurdo
pensare di farla e contenerla. Come in un terremoto, l'unica possibilità –
se non si sono adottate serie misure antisismiche – è il “si salvi chi
può”. Poi, i sopravvissuti dovranno pensare alla prevenzione per rendere
innocuo il terremoto successivo. Ma troppo spesso capita che, passata la
prima paura, se ne dimenticano e anche il prossimo terremoto li coglierà
impreparati.
Il limite di molti appelli è quello di rivolgersi ai governi e alle
istituzioni per chiedere a loro di fare la pace. C’è un’inscindibile
correlazione fra mezzi e fini: come possiamo aspettarci scelte di pace da
governi (compreso quello italiano) che mantengono gli eserciti e le loro
strutture, che finanziano missioni militari, che aumentano le spese
belliche, che accettano il traffico legale e illegale di armi? Chiediamo
ai governi di ridurre le spese militari, e regolarmente, finanziaria dopo
finanziaria, queste spese aumentano esponenzialmente. Insistere in
quest’errore di ingenuità diventa una colpa. La pace non verrà dai governi
che utilizzano lo strumento militare, ma potrà venire solo dai popoli che
rifiuteranno di collaborare con essi.
E’ a noi stessi, dunque, che dobbiamo rivolgere gli appelli per la pace.
Distinguere la violenza dalla forza
Per uscire dall’apparente contraddizione fra chi è sempre, e comunque,
contro la guerra e chi è favorevole, a volte, ad azioni anche armate,
bisogna saper vedere la differenza che c’è tra la violenza e la forza; tra
la polizia internazionale e l'esercito. Gli amici della nonviolenza sono
sempre stati favorevoli al Diritto e alla Polizia, due istituzioni che
servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E’ per questo che
da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di Alexander
Langer, per lo studio, la ricerca, la sperimentazione e l’istituzione di
Corpi Civili di Pace. Gli amici della nonviolenza chiedono la diminuzione
dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione di una
polizia internazionale, anche armata, che intervenga nei conflitti a
tutela della parti lese, per disarmare l’aggressore e ristabilire pace e
diritto. Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, gli amici
della nonviolenza sono contro la preparazione della guerra (qualsiasi
guerra: di attacco, di difesa, umanitaria, chirurgica o preventiva),
contro il commercio delle armi, contro gli eserciti nazionali, contro i
bilanci militari e lo fanno anche con le varie forme di obiezione di
coscienza. La proposta politica dei nonviolenti è quella di uno stato che
rinunci al proprio esercito nazionale, e si impegni a fornire mezzi,
finanziamenti e personale per la polizia internazionale di cui si dovrà
dotare l'Onu.
La diplomazia la fanno i governi, ma la nonviolenza la fanno i popoli.
Le responsabilità di Gheddafi e dell'Europa
Dobbiamo perciò perseguire con sempre maggiore decisione la strada della
distanza da qualsiasi regime che violi i diritti umani e democratici,
denunciando con forza le responsabilità dei nostri governi e del loro
servilismo davanti a un personaggio come Gheddafi (e al suo gas e
petrolio) che per oltre 40 anni ha occupato la scena con politiche che
hanno sponsorizzato ogni tipo di violazione di qualsivoglia diritto, ha
nutrito le guerre e le destabilizzazioni che hanno martoriato un buon
numero di paesi africani dal Ciad, al Niger, al Burkina Faso, alle
sanguinarie guerre di Liberia, Sierra Leone e del Darfur, finanziando le
milizie armate. I mercenari al soldo di Gheddafi sono il frutto delle
diaspore di oltre 40 anni di destabilizzazione, sono persone che non hanno
nulla da perdere. Lo sbocco per tanti giovani del continente africano,
ovvero l'emigrazione, è stata messo dall'Europa sotto la custodia
interessata di Gheddafi e della sua polizia che taglieggia, stupra,
ricatta, vende e rivende i poveracci che speravano di trovare una via di
salvezza al di là del Mediterraneo. Sono migliaia e migliaia i profughi
dimenticati del Bangladesh che fuggono dalla Libia verso la Tunisia, nella
speranza di un viaggio della disperazione verso casa.
Per questi disperati i governi europei non si sono mossi. Così come è
passata del tutto inosservata la
feroce repressione da parte delle forze armate saudite del movimento che
chiedeva libertà e democrazia nel Bahrain (arcipelago del Golfo persico
fra l'Arabia Saudita e il Qatar).
Per la pace e la fratellanza fra i popoli
Agitarsi, lamentarsi, angosciarsi, non serve. La prima risposta,
immediata, che possiamo dare è quella di offrire soccorso concreto alle
vittime, e poi di un rafforzato impegno per sostenere la nonviolenza
organizzata. Fra sei mesi si svolgerà la Marcia Perugia-Assisi, nel
cinquantesimo anniversario della prima edizione, quella pensata ed
organizzata da Aldo Capitini. All’indomani della Marcia del 24 settembre
1961 lo stesso Capitini volle dare vita al “Movimento Nonviolento per la
pace”, per avere a disposizione uno strumento utile al proseguimento delle
istanze emerse dalla Marcia stessa e al lavoro “per l'esclusione della
violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, al
livello locale, nazionale e internazionale”. Al primo punto del programma
del Movimento, Capitini indicò “l’opposizione integrale alla guerra”. Dopo
cinquant’anni il cammino deve ripassare da lì. Per questo abbiamo assunto
l'impegno, come Movimento Nonviolento, di promuovere questa Marcia, che
deve essere l’occasione per “mostrare che la nonviolenza è attiva e in
avanti, è critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà
e decise noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di
ciò che si deve fare nell'attuale difficile momento”. E poi “pronto, dopo
la Marcia, a lavorare ad un Movimento nonviolento per la pace”. Sono
parole di Capitini di straordinaria attualità, pronunciate nel 1961
(mentre la guerra infiammava il Vietnam e il Congo), valide per il 2011
(mentre la guerra infiamma l'Afganistan e la Libia).
L'appuntamento è per il prossimo 25 settembre alla Marcia Perugia-Assisi
per la pace e la fratellanza fra i popoli. Vogliamo che sia “un'assemblea
itinerante”, il momento conclusivo di una discussione/mobilitazione che
avviamo da subito. Un passo che ciascuno può fare contro la guerra e per
la nonviolenza.
Movimento Nonviolento
www.nonviolenti.org
Verona, 21 marzo 2011
Movimento Nonviolento
Via Spagna, 8
37123 Verona (Italy)
La prima fondamentale direttrice d'azione del Movimento Nonviolento è
l'opposizione integrale alla guerra
“Noi dobbiamo dire no alla guerra ed essere duri come pietre”
(Aldo Capitini)
“Meglio un anno di negoziati che un giorno di guerra”
(Alexander Langer)
Sul perché condanniamo l'intervento, non firmiamo appelli, cerchiamo di
capire e lavoriamo per fare della Marcia Perugia-Assisi un'occasione di
crescita nonviolenta per tutto il movimento pacifista.
Difendere le vittime inermi è doveroso. Quando qualcuno interviene per
tutelare i diritti umani e salvare una vita, è una buona notizia. Da
quando il samaritano ha soccorso il poveretto incappato nei briganti sulla
strada di Gerico, è sempre stato così.
Era dovere della comunità internazionale mobilitarsi per impedire che a
Bengasi potesse avvenire un massacro (nel 1996 l'Europa si macchiò di
“omissione di soccorso” quando non fece nulla per impedire il genocidio a
Srebrenica).
L'obiettivo delle due risoluzioni dell'Onu (n. 1970 e 1973) sulla crisi
libica è quello di proteggere i civili, gli insediamenti urbani e
garantire assistenza umanitaria. L'uso della forza viene invocato per
limitare i danni che già sono in corso sul campo, affermando il chiaro
rifiuto dell'opzione di occupazione militare straniera, la priorità del
cessate il fuoco e della soluzione politica, il rafforzamento dell'embargo
militare e commerciale, il riconoscimento del ruolo prioritario della
Unione Africana, della Lega Araba, della Conferenza Islamica.
Ci sono però due cattive notizie. La prima è il ritardo spaventoso (e
l'ambiguità) con cui si è mossa la diplomazia degli stati, e la seconda è
che l'Onu non dispone di una forza di polizia internazionale permanente ma
deve affidarsi, di volta in volta, agli eserciti degli stati membri
(articoli 43-49 della Carta della Nazioni Unite, in questo caso Francia,
Inghilterra, Stati Uniti).
Quando la parola passa dalla diplomazia alle armi, succede che le
operazioni militari si trasformano subito in guerra. E' quello che sta
accadendo in Libia. Gli strumenti utilizzati (bombardieri, caccia,
tornado, missili, incrociatori, portaerei, sommergibili, ecc.) sono quelli
tradizionali della guerra, gli unici disponibili, pronti, efficienti. Come
nei Balcani, come in Iraq, come in Afganistan, viene messa in campo solo
l'opzione militare, l'unica che è stata adeguatamente preparata e
finanziata. Una cosa è certa: non sarà con un'altra guerra che la
democrazia potrà affermarsi nel mondo arabo.
Appelli che cadono nel vuoto
Subito dopo l'annuncio del primo raid aereo, hanno iniziato a circolare in
“rete” gli appelli pacifisti. Ci sono quelli “senza se e senza ma” che
dicono: “non ci può essere guerra in nome dei diritti umani”; e quelli
“realisti” che dicono: “l’uso della forza serve ad impedire ulteriori
massacri”.
Noi non firmiamo appelli che non contemplino una precedente opzione per la
nonviolenza costruttiva, né convochiamo mobilitazioni che si limitino a
proteste e condanne di ciò che è già avvenuto. Non basta mettere a verbale
il nostro “no” alla guerra. Certo, meglio che niente, ma bisogna
aggiungere una parola in più: quando la guerra inizia nessuno riesce a
fermarla; bisogna prevenirla una guerra, affinché non avvenga. Lo si può
fare solo non collaborando in nessun modo alla sua preparazione.
Quando la prima bomba è stata sganciata, ormai lo sappiamo bene, a nulla
serve dire “basta”, essa cadrà e molte altre ne seguiranno. La guerra, una
volta accettata, conduce a tali delitti e tali stragi che è assurdo
pensare di farla e contenerla. Come in un terremoto, l'unica possibilità –
se non si sono adottate serie misure antisismiche – è il “si salvi chi
può”. Poi, i sopravvissuti dovranno pensare alla prevenzione per rendere
innocuo il terremoto successivo. Ma troppo spesso capita che, passata la
prima paura, se ne dimenticano e anche il prossimo terremoto li coglierà
impreparati.
Il limite di molti appelli è quello di rivolgersi ai governi e alle
istituzioni per chiedere a loro di fare la pace. C’è un’inscindibile
correlazione fra mezzi e fini: come possiamo aspettarci scelte di pace da
governi (compreso quello italiano) che mantengono gli eserciti e le loro
strutture, che finanziano missioni militari, che aumentano le spese
belliche, che accettano il traffico legale e illegale di armi? Chiediamo
ai governi di ridurre le spese militari, e regolarmente, finanziaria dopo
finanziaria, queste spese aumentano esponenzialmente. Insistere in
quest’errore di ingenuità diventa una colpa. La pace non verrà dai governi
che utilizzano lo strumento militare, ma potrà venire solo dai popoli che
rifiuteranno di collaborare con essi.
E’ a noi stessi, dunque, che dobbiamo rivolgere gli appelli per la pace.
Distinguere la violenza dalla forza
Per uscire dall’apparente contraddizione fra chi è sempre, e comunque,
contro la guerra e chi è favorevole, a volte, ad azioni anche armate,
bisogna saper vedere la differenza che c’è tra la violenza e la forza; tra
la polizia internazionale e l'esercito. Gli amici della nonviolenza sono
sempre stati favorevoli al Diritto e alla Polizia, due istituzioni che
servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E’ per questo che
da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di Alexander
Langer, per lo studio, la ricerca, la sperimentazione e l’istituzione di
Corpi Civili di Pace. Gli amici della nonviolenza chiedono la diminuzione
dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione di una
polizia internazionale, anche armata, che intervenga nei conflitti a
tutela della parti lese, per disarmare l’aggressore e ristabilire pace e
diritto. Contemporaneamente al sostegno di questi progetti, gli amici
della nonviolenza sono contro la preparazione della guerra (qualsiasi
guerra: di attacco, di difesa, umanitaria, chirurgica o preventiva),
contro il commercio delle armi, contro gli eserciti nazionali, contro i
bilanci militari e lo fanno anche con le varie forme di obiezione di
coscienza. La proposta politica dei nonviolenti è quella di uno stato che
rinunci al proprio esercito nazionale, e si impegni a fornire mezzi,
finanziamenti e personale per la polizia internazionale di cui si dovrà
dotare l'Onu.
La diplomazia la fanno i governi, ma la nonviolenza la fanno i popoli.
Le responsabilità di Gheddafi e dell'Europa
Dobbiamo perciò perseguire con sempre maggiore decisione la strada della
distanza da qualsiasi regime che violi i diritti umani e democratici,
denunciando con forza le responsabilità dei nostri governi e del loro
servilismo davanti a un personaggio come Gheddafi (e al suo gas e
petrolio) che per oltre 40 anni ha occupato la scena con politiche che
hanno sponsorizzato ogni tipo di violazione di qualsivoglia diritto, ha
nutrito le guerre e le destabilizzazioni che hanno martoriato un buon
numero di paesi africani dal Ciad, al Niger, al Burkina Faso, alle
sanguinarie guerre di Liberia, Sierra Leone e del Darfur, finanziando le
milizie armate. I mercenari al soldo di Gheddafi sono il frutto delle
diaspore di oltre 40 anni di destabilizzazione, sono persone che non hanno
nulla da perdere. Lo sbocco per tanti giovani del continente africano,
ovvero l'emigrazione, è stata messo dall'Europa sotto la custodia
interessata di Gheddafi e della sua polizia che taglieggia, stupra,
ricatta, vende e rivende i poveracci che speravano di trovare una via di
salvezza al di là del Mediterraneo. Sono migliaia e migliaia i profughi
dimenticati del Bangladesh che fuggono dalla Libia verso la Tunisia, nella
speranza di un viaggio della disperazione verso casa.
Per questi disperati i governi europei non si sono mossi. Così come è
passata del tutto inosservata la
feroce repressione da parte delle forze armate saudite del movimento che
chiedeva libertà e democrazia nel Bahrain (arcipelago del Golfo persico
fra l'Arabia Saudita e il Qatar).
Per la pace e la fratellanza fra i popoli
Agitarsi, lamentarsi, angosciarsi, non serve. La prima risposta,
immediata, che possiamo dare è quella di offrire soccorso concreto alle
vittime, e poi di un rafforzato impegno per sostenere la nonviolenza
organizzata. Fra sei mesi si svolgerà la Marcia Perugia-Assisi, nel
cinquantesimo anniversario della prima edizione, quella pensata ed
organizzata da Aldo Capitini. All’indomani della Marcia del 24 settembre
1961 lo stesso Capitini volle dare vita al “Movimento Nonviolento per la
pace”, per avere a disposizione uno strumento utile al proseguimento delle
istanze emerse dalla Marcia stessa e al lavoro “per l'esclusione della
violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, al
livello locale, nazionale e internazionale”. Al primo punto del programma
del Movimento, Capitini indicò “l’opposizione integrale alla guerra”. Dopo
cinquant’anni il cammino deve ripassare da lì. Per questo abbiamo assunto
l'impegno, come Movimento Nonviolento, di promuovere questa Marcia, che
deve essere l’occasione per “mostrare che la nonviolenza è attiva e in
avanti, è critica dei mali esistenti, tende a suscitare larghe solidarietà
e decise noncollaborazioni, è chiara e razionale nel disegnare le linee di
ciò che si deve fare nell'attuale difficile momento”. E poi “pronto, dopo
la Marcia, a lavorare ad un Movimento nonviolento per la pace”. Sono
parole di Capitini di straordinaria attualità, pronunciate nel 1961
(mentre la guerra infiammava il Vietnam e il Congo), valide per il 2011
(mentre la guerra infiamma l'Afganistan e la Libia).
L'appuntamento è per il prossimo 25 settembre alla Marcia Perugia-Assisi
per la pace e la fratellanza fra i popoli. Vogliamo che sia “un'assemblea
itinerante”, il momento conclusivo di una discussione/mobilitazione che
avviamo da subito. Un passo che ciascuno può fare contro la guerra e per
la nonviolenza.
Movimento Nonviolento
www.nonviolenti.org
Verona, 21 marzo 2011
Movimento Nonviolento
Via Spagna, 8
37123 Verona (Italy)
Digiuno contro le guerre di Peppe Sini (primo giorno)
IN DIGIUNO CONTRO LA GUERRA
Ho iniziato oggi, lunedi' 21 marzo 2011, un digiuno contro la guerra.
Contro la guerra afgana, contro la guerra libica, contro la guerra nemica dell'umanita'.
Per una persona amica della nonviolenza il digiuno non e' un modo per imporre qualcosa ad altri, ma per assumere su di se' una responsabilita'.
Vivo in un paese che nella sua legge fondamentale, la Costituzione della Repubblica Italiana, ha scritto che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali": perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
Mi sono formato in una tradizione culturale che da Socrate di Atene a Gesu' di Nazaret ha saputo affermare che e' preferibile subire il male anziche' commetterlo: perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
Condivido l'opinione di ogni persona ragionevole secondo cui il primo diritto di ogni essere umano e' il diritto a non essere ucciso: perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
So che la guerra e' nemica dell'umanita', so che nell'epoca attuale ogni guerra puo' evolvere in un conflitto mondiale in grado di mettere fine alla civilta' umana, so che il primo dovere di ogni essere umano e' impedire che questo accada, ergo: il primo dovere di ogni essere umano e' opporsi alla guerra. Perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
Conosco il modo in cui si puo' contrastare l'oppressione, l'ingiustizia, il crimine, la violenza: questo modo e' la nonviolenza.
Conosco il modo in cui si possono gestire i conflitti: questo modo e' la nonviolenza.
Conosco il modo in cui si possono condurre le lotte di liberazione: questo modo e' la nonviolenza.
Conosco il modo in cui si possono inverare i diritti umani di tutti gli esseri umani: questo modo e' la nonviolenza.
Ho iniziato oggi un digiuno come forma di azione nonviolenta. Per assumermi la mia responsabilita' di essere umano tra esseri umani. Per esprimere il mio impegno a far rispettare la legge che dice: tu non uccidere, tu adoperati per salvare le vite, vi e' una sola umanita'.
Peppe Sini,
responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo
Viterbo, 21 marzo 2011
Ho iniziato oggi, lunedi' 21 marzo 2011, un digiuno contro la guerra.
Contro la guerra afgana, contro la guerra libica, contro la guerra nemica dell'umanita'.
Per una persona amica della nonviolenza il digiuno non e' un modo per imporre qualcosa ad altri, ma per assumere su di se' una responsabilita'.
Vivo in un paese che nella sua legge fondamentale, la Costituzione della Repubblica Italiana, ha scritto che "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali": perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
Mi sono formato in una tradizione culturale che da Socrate di Atene a Gesu' di Nazaret ha saputo affermare che e' preferibile subire il male anziche' commetterlo: perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
Condivido l'opinione di ogni persona ragionevole secondo cui il primo diritto di ogni essere umano e' il diritto a non essere ucciso: perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
So che la guerra e' nemica dell'umanita', so che nell'epoca attuale ogni guerra puo' evolvere in un conflitto mondiale in grado di mettere fine alla civilta' umana, so che il primo dovere di ogni essere umano e' impedire che questo accada, ergo: il primo dovere di ogni essere umano e' opporsi alla guerra. Perche' non sono stato capace, non siamo stati capaci, di far rispettare questa legge?
Conosco il modo in cui si puo' contrastare l'oppressione, l'ingiustizia, il crimine, la violenza: questo modo e' la nonviolenza.
Conosco il modo in cui si possono gestire i conflitti: questo modo e' la nonviolenza.
Conosco il modo in cui si possono condurre le lotte di liberazione: questo modo e' la nonviolenza.
Conosco il modo in cui si possono inverare i diritti umani di tutti gli esseri umani: questo modo e' la nonviolenza.
Ho iniziato oggi un digiuno come forma di azione nonviolenta. Per assumermi la mia responsabilita' di essere umano tra esseri umani. Per esprimere il mio impegno a far rispettare la legge che dice: tu non uccidere, tu adoperati per salvare le vite, vi e' una sola umanita'.
Peppe Sini,
responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo
Viterbo, 21 marzo 2011
Digiuno contro le guerre di Peppe Sini (secondo giorno)
DUE RAGIONAMENTI E DUE PROPOSTE (AL SECONDO GIORNO DI DIGIUNO)
Proprio mentre la catastrofe giapponese richiama l'umanita' intera alla solidarieta' e ad una responsabilita' condivisa nel fare scelte giuste ed impegnative affinche' le presenti e le future generazioni possano vivere una vita degna in un pianeta non devastato, senza l'incubo dell'apocalisse atomica, ovvero affinche' la civilta' umana non sia travolta, alcuni governanti irresponsabili scatenano una nuova guerra dagli esiti imprevedibili ma che certamente, come tutte le guerre, consiste di stragi nell'immediato e di una ennesima folle semina di odio e violenza per l'avvenire.
Come ogni persona ragionevole so quanto siano discutibili, e quindi non dirimenti, molti degli argomenti che pure tengono banco nella discussione pubblica in corso in questi giorni. Ma credo che almeno su questa premessa vi possa essere un consenso comune: che dobbiamo avere a cuore la vita degli altri esseri umani, se vogliamo sperare che anche gli altri esseri umani abbiano a cuore la nostra; e che quindi sia logicamente corretto e moralmente adeguato compiere solo quelle azioni che la nostra coscienza approverebbe anche se fossero compiute da altri nei nostri confronti.
*
Due ragionamenti
Vorrei quindi proporre i seguenti due semplici ragionamenti.
Il primo ragionamento: prendere atto che vi e' una sola umanita', che consiste di una irriducibile pluralita' di persone, esistente su un unico pianeta casa comune dell'umanita' intera, e pertanto vi e' un comune interesse sia alla difesa della biosfera, sia alla difesa della civilta', sia alla difesa della vita del genere umano e quindi di tutte le persone in cui esso si incarna.
Secondo ragionamento: che e' interesse comune dell'umanita' intera il ripudio della guerra, massime nell'epoca presente in cui essa puo' provocare l'inabissamento della civilta' umana ed una tremenda devastazione della biosfera. Il ripudio della guerra deve essere il primo punto del programma politico fondamentale dell'umanita' del nostro tempo. Tutti gli esseri umani devono farsi carico solidalmente del diritto alla vita di tutti gli esseri umani, e quindi dell'umanita' nel suo insieme.
Lo hanno dimostrato definitivamente in tanti loro scritti e discorsi le persone che con piu' rigore nell'ultimo tragico secolo hanno analizzato la presente distretta: tra tante altre Simone Weil e Hannah Arendt, Albert Camus e Bertrand Russell, Rosa Luxemburg e Virginia Woolf, Primo Levi ed Emmanuel Levinas, Ernesto Balducci ed Hans Jonas, ed oggi ad esempio Martha C. Nussbaum e Vandana Shiva.
Difendere il diritto alla vita di tutti gli esseri umani, opporsi quindi ad ogni guerra ed uccisione, implica anche opporsi alle armi ed agli eserciti, strumenti e strutture alla guerra ordinati. Implica quindi l'impegno a disarmare e smilitarizzare i conflitti. Implica infine la scelta dalla nonviolenza come unica forma realmente adeguata di opposizione alla violenza.
*
Due proposte
Sulla base di questi ragionamenti, cosa puo' fare qui ed ora ogni persona ragionevole e di volonta' buona?
Occorre assumere in prima persona la responsabilita' di contrastare la guerra e le stragi di cui essa consiste.
Occorre assumere in prima persona la responsabilita' di difendere e promuovere i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Formulo due proposte.
La prima proposta: che le persone di volonta' buona agiscano qui e ora innanzitutto per rendere visibile l'opposizione alla guerra, opposizione che ritengo essere nel nostro paese molto piu' ampia e profondamente sentita di quanto appaia dalle rappresentazioni dei mass-media e dalle dichiarazioni formali e ufficiali di chi ha voce e funzioni pubbliche.
Occorre cioe' trovare le forme piu' adeguate per consentire alle persone di esprimere la propria opposizione alla guerra e alle stragi. Mi sembra che il modo piu' efficace per ottenere questo primo risultato possa essere in una pluralita' di forme tra loro collegate, ne indico alcune:
- i pubblici digiuni, per chi crede - come Mohandas Gandhi, come Danilo Dolci - che siano una straordinaria forma di azione nonviolenta;
- l'esposizione delle bandiere arcobaleno della pace e della nonviolenza ai balconi delle case;
- le lettere aperte alle autorita' (e per chi siede in pubblici consessi gli interventi in quella sede) affinche' le istituzioni si attengano al dettato costituzionale del ripudio della guerra;
- le "lettere al direttore" dei media affinche' trovi udienza e venga diffusa anche l'opinione delle persone che operano per la pace;
- le manifestazioni pubbliche (adeguate alla gravita' dell'ora, quindi rigorosamente nonviolente tanto nei contenuti quanto nei modi di espressione).
Non credo vi siano gerarchie tra l'una e l'altra di queste forme di iniziativa: ciascuna persona e ciascun gruppo di persone puo' assumere quella o quelle che ritiene piu' consone al suo sentire.
Ma non basta rendere visibile l'opposizione alla guerra, bisogna anche metterla in atto.
Di qui la seconda proposta: contrastare concretamente la macchina bellica.
Ad oggi, nella concreta situazione presente, non sono riuscito a trovare iniziative migliori dell'azione diretta nonviolenta che sperimentammo nel 1999: l'esperienza delle mongolfiere della pace con cui impedire i decolli dei bombardieri senza mettere in pericolo la vita di nessuno (quindi, ovviamente, neppure dell'equipaggio degli aerei).
Ho descritto altre volte in dettaglio (e conto di pubblicare di nuovo nei prossimi giorni sul nostro notiziario "La nonviolenza e' in cammino") le caratteristiche di quell'azione diretta nonviolenta, le sue implicazioni e come essa possa essere realizzata solo da persone assolutamente ferme nella scelta consapevole e rigorosa della nonviolenza.
Ma naturalmente se vi sono altre iniziative nonviolente efficaci, ben venga ogni proposta, ogni proposta rigorosamente nonviolenta.
*
Infine
Ovviamente in quanto persone amiche della nonviolenza che si oppongono alla guerra abbiamo delle proposte alternative di intervento nelle situazioni di crisi e di conflitto. Ma anche se non avessimo interventi alternativi da proporre, gia' il contrasto alla guerra e' cosa buona in se', gia' esso e' inteso ed efficiente a salvare delle vite umane.
Ma noi delle proposte alternative adeguate le abbiamo, e ad esempio:
- smilitarizzazione e disarmo dei conflitti per consentirne una gestione politica, cioe' civile, che salva le vite;
- forze di interposizione rigorosamente nonviolenta e di riconciliazione popolare dal basso nelle aree di conflitto (corpi civili di pace);
- aiuti umanitari recati da strutture civili e non militari, e gestiti democraticamente dalle popolazioni in loco;
- ed insieme accoglienza ed assistenza qui a profughi e migranti (non dimentichiamo che il regime libico tra l'altro perseguita ferocemente i migranti su istigazione e con il finanziamento del governo italiano: se invece di finanziare i lager l'Italia si fosse impegnata a un diverso rapporto fondato sulla promozione dei diritti umani di tutti gli esseri umani...; se invece di praticare una politica di persecuzione razzista l'Italia si fosse impegnata a rispettare ed inverare quanto scritto nella nostra Costituzione...);
- sostegno ai movimenti nonviolenti impegnati per la democrazia e i diritti umani, ed in particolare sostegno ai movimenti di liberazione e di solidarieta' delle donne.
Adoperiamoci per far cessare la guerra in Afghanistan.
Adoperiamoci per far cessare la guerra in Libia.
Adoperiamoci per far cessare la guerra.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la pace salva le vite.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Peppe Sini, responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo,
al secondo giorno di digiuno contro la guerra
Viterbo, 22 marzo 2011
Proprio mentre la catastrofe giapponese richiama l'umanita' intera alla solidarieta' e ad una responsabilita' condivisa nel fare scelte giuste ed impegnative affinche' le presenti e le future generazioni possano vivere una vita degna in un pianeta non devastato, senza l'incubo dell'apocalisse atomica, ovvero affinche' la civilta' umana non sia travolta, alcuni governanti irresponsabili scatenano una nuova guerra dagli esiti imprevedibili ma che certamente, come tutte le guerre, consiste di stragi nell'immediato e di una ennesima folle semina di odio e violenza per l'avvenire.
Come ogni persona ragionevole so quanto siano discutibili, e quindi non dirimenti, molti degli argomenti che pure tengono banco nella discussione pubblica in corso in questi giorni. Ma credo che almeno su questa premessa vi possa essere un consenso comune: che dobbiamo avere a cuore la vita degli altri esseri umani, se vogliamo sperare che anche gli altri esseri umani abbiano a cuore la nostra; e che quindi sia logicamente corretto e moralmente adeguato compiere solo quelle azioni che la nostra coscienza approverebbe anche se fossero compiute da altri nei nostri confronti.
*
Due ragionamenti
Vorrei quindi proporre i seguenti due semplici ragionamenti.
Il primo ragionamento: prendere atto che vi e' una sola umanita', che consiste di una irriducibile pluralita' di persone, esistente su un unico pianeta casa comune dell'umanita' intera, e pertanto vi e' un comune interesse sia alla difesa della biosfera, sia alla difesa della civilta', sia alla difesa della vita del genere umano e quindi di tutte le persone in cui esso si incarna.
Secondo ragionamento: che e' interesse comune dell'umanita' intera il ripudio della guerra, massime nell'epoca presente in cui essa puo' provocare l'inabissamento della civilta' umana ed una tremenda devastazione della biosfera. Il ripudio della guerra deve essere il primo punto del programma politico fondamentale dell'umanita' del nostro tempo. Tutti gli esseri umani devono farsi carico solidalmente del diritto alla vita di tutti gli esseri umani, e quindi dell'umanita' nel suo insieme.
Lo hanno dimostrato definitivamente in tanti loro scritti e discorsi le persone che con piu' rigore nell'ultimo tragico secolo hanno analizzato la presente distretta: tra tante altre Simone Weil e Hannah Arendt, Albert Camus e Bertrand Russell, Rosa Luxemburg e Virginia Woolf, Primo Levi ed Emmanuel Levinas, Ernesto Balducci ed Hans Jonas, ed oggi ad esempio Martha C. Nussbaum e Vandana Shiva.
Difendere il diritto alla vita di tutti gli esseri umani, opporsi quindi ad ogni guerra ed uccisione, implica anche opporsi alle armi ed agli eserciti, strumenti e strutture alla guerra ordinati. Implica quindi l'impegno a disarmare e smilitarizzare i conflitti. Implica infine la scelta dalla nonviolenza come unica forma realmente adeguata di opposizione alla violenza.
*
Due proposte
Sulla base di questi ragionamenti, cosa puo' fare qui ed ora ogni persona ragionevole e di volonta' buona?
Occorre assumere in prima persona la responsabilita' di contrastare la guerra e le stragi di cui essa consiste.
Occorre assumere in prima persona la responsabilita' di difendere e promuovere i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Formulo due proposte.
La prima proposta: che le persone di volonta' buona agiscano qui e ora innanzitutto per rendere visibile l'opposizione alla guerra, opposizione che ritengo essere nel nostro paese molto piu' ampia e profondamente sentita di quanto appaia dalle rappresentazioni dei mass-media e dalle dichiarazioni formali e ufficiali di chi ha voce e funzioni pubbliche.
Occorre cioe' trovare le forme piu' adeguate per consentire alle persone di esprimere la propria opposizione alla guerra e alle stragi. Mi sembra che il modo piu' efficace per ottenere questo primo risultato possa essere in una pluralita' di forme tra loro collegate, ne indico alcune:
- i pubblici digiuni, per chi crede - come Mohandas Gandhi, come Danilo Dolci - che siano una straordinaria forma di azione nonviolenta;
- l'esposizione delle bandiere arcobaleno della pace e della nonviolenza ai balconi delle case;
- le lettere aperte alle autorita' (e per chi siede in pubblici consessi gli interventi in quella sede) affinche' le istituzioni si attengano al dettato costituzionale del ripudio della guerra;
- le "lettere al direttore" dei media affinche' trovi udienza e venga diffusa anche l'opinione delle persone che operano per la pace;
- le manifestazioni pubbliche (adeguate alla gravita' dell'ora, quindi rigorosamente nonviolente tanto nei contenuti quanto nei modi di espressione).
Non credo vi siano gerarchie tra l'una e l'altra di queste forme di iniziativa: ciascuna persona e ciascun gruppo di persone puo' assumere quella o quelle che ritiene piu' consone al suo sentire.
Ma non basta rendere visibile l'opposizione alla guerra, bisogna anche metterla in atto.
Di qui la seconda proposta: contrastare concretamente la macchina bellica.
Ad oggi, nella concreta situazione presente, non sono riuscito a trovare iniziative migliori dell'azione diretta nonviolenta che sperimentammo nel 1999: l'esperienza delle mongolfiere della pace con cui impedire i decolli dei bombardieri senza mettere in pericolo la vita di nessuno (quindi, ovviamente, neppure dell'equipaggio degli aerei).
Ho descritto altre volte in dettaglio (e conto di pubblicare di nuovo nei prossimi giorni sul nostro notiziario "La nonviolenza e' in cammino") le caratteristiche di quell'azione diretta nonviolenta, le sue implicazioni e come essa possa essere realizzata solo da persone assolutamente ferme nella scelta consapevole e rigorosa della nonviolenza.
Ma naturalmente se vi sono altre iniziative nonviolente efficaci, ben venga ogni proposta, ogni proposta rigorosamente nonviolenta.
*
Infine
Ovviamente in quanto persone amiche della nonviolenza che si oppongono alla guerra abbiamo delle proposte alternative di intervento nelle situazioni di crisi e di conflitto. Ma anche se non avessimo interventi alternativi da proporre, gia' il contrasto alla guerra e' cosa buona in se', gia' esso e' inteso ed efficiente a salvare delle vite umane.
Ma noi delle proposte alternative adeguate le abbiamo, e ad esempio:
- smilitarizzazione e disarmo dei conflitti per consentirne una gestione politica, cioe' civile, che salva le vite;
- forze di interposizione rigorosamente nonviolenta e di riconciliazione popolare dal basso nelle aree di conflitto (corpi civili di pace);
- aiuti umanitari recati da strutture civili e non militari, e gestiti democraticamente dalle popolazioni in loco;
- ed insieme accoglienza ed assistenza qui a profughi e migranti (non dimentichiamo che il regime libico tra l'altro perseguita ferocemente i migranti su istigazione e con il finanziamento del governo italiano: se invece di finanziare i lager l'Italia si fosse impegnata a un diverso rapporto fondato sulla promozione dei diritti umani di tutti gli esseri umani...; se invece di praticare una politica di persecuzione razzista l'Italia si fosse impegnata a rispettare ed inverare quanto scritto nella nostra Costituzione...);
- sostegno ai movimenti nonviolenti impegnati per la democrazia e i diritti umani, ed in particolare sostegno ai movimenti di liberazione e di solidarieta' delle donne.
Adoperiamoci per far cessare la guerra in Afghanistan.
Adoperiamoci per far cessare la guerra in Libia.
Adoperiamoci per far cessare la guerra.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la pace salva le vite.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Peppe Sini, responsabile del Centro di ricerca per la pace di Viterbo,
al secondo giorno di digiuno contro la guerra
Viterbo, 22 marzo 2011
domenica 20 marzo 2011
Libia,Arci con le lotte per la democrazia, con i diritti dei migranti, contro l' intervento militare
Con le lotte per la democrazia, con i diritti dei migranti contro l’intervento militare
20 / 3 / 2011
Cosa c’entrano gli attacchi aerei su mezzi terrestri con una no-fly zone? Neppure è cominciata, la no-fly zone, ed è subito attacco militare.
Avevamo appena finito di denunciare i grandi rischi connessi al dispositivo militare della risoluzione ONU. E il vertice di Parigi ha deciso di correrli tutti, subito e volontariamente, iniziando un intervento militare aperto sul campo.
Il via libera alla no-fly zone ha dato fiato alle trombe di chi non vedeva l’ora di dimostrare una responsabilità europea finora dimenticata mettendo a disposizione basi, aerei soldati. Alle impegnative parti della risoluzione ONU legate all’iniziativa politica non c’è chi faccia cenno.
L’Italia oltretutto dovrebbe sentire l’obbligo morale di non intervenire militarmente in un paese che esattamente cento anni fa è stato con le armi conquistato e dichiarato colonia, e dove sono stati perpetrati orribili crimini di guerra. E invece addirittura ci proponiamo ad ospitare il quartier generale delle operazioni.
Le lotte democratiche nel mondo arabo proprio non si meritano l’entusiasmo militarista dimostrato in queste ore da tanti paesi europei, con l’Italia in testa come al solito.
L’Egitto va a votare, la Tunisia affronta una complicata transizione, in Yemen e in Barhein i regimi sparano sulle manifestazioni pacifiche, la Siria si ribella: in due mesi di rivolte e rivoluzioni l’Europa non ha sostanzialmente fatto niente, non ha dimostrato interesse, non ha offerto cooperazione, non ha stanziato un soldo e non si è mosso un ministro. Si è solo cercato di fermare i profughi.
Siamo a fianco dei libici in lotta contro il dittatore. Comprendiamo la loro disperazione e la paura che il paese torni sotto il tallone del regime. Ma confidiamo che essi capiscano anche le nostre ragioni, mentre manifestiamo la nostra opposizione all’intervento militare.
Ne abbiamo viste già tante. Abbiamo visto il prevalere degli interessi economici e strategici, nascosti dietro al manto della difesa dei diritti umani. Abbiamo visto i “due pesi e le due misure”, che fa chiudere gli occhi davanti a violazioni grandiose del diritto internazionale come quella che patisce da decenni la Palestina.
Conosciamo l’incapacità di mettere in campo la forza della politica, e degli strumenti che ad essa corrispondono, per la difesa dei diritti calpestati, per la risoluzione dei conflitti nel nome della giustizia, per l’affermazione della democrazia.
E crediamo che a questo punto della vicenda libica, non essendo intervenuti a proteggere la rivolta quando da sola poteva liberare il paese dal regime, l’evoluzione della crisi vedrà una forte ingerenza straniera, che non può essere mai foriera di libertà e indipendenza.
I venti di guerra di l’Europa cui sta facendo sfoggio richiamano, persino nei nomi con la “coalizione dei volenterosi”, esperienze che avrebbero dovuto insegnare qualcosa. E noi non saremo di questa partita.
Continuiamo a sostenere tutte le esperienze democratiche del Maghreb e del Mashrek, continuiamo a difendere il diritto all’accoglienza dei profughi, siamo contro l’intervento militare.
ARCI
20 / 3 / 2011
Cosa c’entrano gli attacchi aerei su mezzi terrestri con una no-fly zone? Neppure è cominciata, la no-fly zone, ed è subito attacco militare.
Avevamo appena finito di denunciare i grandi rischi connessi al dispositivo militare della risoluzione ONU. E il vertice di Parigi ha deciso di correrli tutti, subito e volontariamente, iniziando un intervento militare aperto sul campo.
Il via libera alla no-fly zone ha dato fiato alle trombe di chi non vedeva l’ora di dimostrare una responsabilità europea finora dimenticata mettendo a disposizione basi, aerei soldati. Alle impegnative parti della risoluzione ONU legate all’iniziativa politica non c’è chi faccia cenno.
L’Italia oltretutto dovrebbe sentire l’obbligo morale di non intervenire militarmente in un paese che esattamente cento anni fa è stato con le armi conquistato e dichiarato colonia, e dove sono stati perpetrati orribili crimini di guerra. E invece addirittura ci proponiamo ad ospitare il quartier generale delle operazioni.
Le lotte democratiche nel mondo arabo proprio non si meritano l’entusiasmo militarista dimostrato in queste ore da tanti paesi europei, con l’Italia in testa come al solito.
L’Egitto va a votare, la Tunisia affronta una complicata transizione, in Yemen e in Barhein i regimi sparano sulle manifestazioni pacifiche, la Siria si ribella: in due mesi di rivolte e rivoluzioni l’Europa non ha sostanzialmente fatto niente, non ha dimostrato interesse, non ha offerto cooperazione, non ha stanziato un soldo e non si è mosso un ministro. Si è solo cercato di fermare i profughi.
Siamo a fianco dei libici in lotta contro il dittatore. Comprendiamo la loro disperazione e la paura che il paese torni sotto il tallone del regime. Ma confidiamo che essi capiscano anche le nostre ragioni, mentre manifestiamo la nostra opposizione all’intervento militare.
Ne abbiamo viste già tante. Abbiamo visto il prevalere degli interessi economici e strategici, nascosti dietro al manto della difesa dei diritti umani. Abbiamo visto i “due pesi e le due misure”, che fa chiudere gli occhi davanti a violazioni grandiose del diritto internazionale come quella che patisce da decenni la Palestina.
Conosciamo l’incapacità di mettere in campo la forza della politica, e degli strumenti che ad essa corrispondono, per la difesa dei diritti calpestati, per la risoluzione dei conflitti nel nome della giustizia, per l’affermazione della democrazia.
E crediamo che a questo punto della vicenda libica, non essendo intervenuti a proteggere la rivolta quando da sola poteva liberare il paese dal regime, l’evoluzione della crisi vedrà una forte ingerenza straniera, che non può essere mai foriera di libertà e indipendenza.
I venti di guerra di l’Europa cui sta facendo sfoggio richiamano, persino nei nomi con la “coalizione dei volenterosi”, esperienze che avrebbero dovuto insegnare qualcosa. E noi non saremo di questa partita.
Continuiamo a sostenere tutte le esperienze democratiche del Maghreb e del Mashrek, continuiamo a difendere il diritto all’accoglienza dei profughi, siamo contro l’intervento militare.
ARCI
Sinistra e Liberta' "No alla guerra, e no a Gheddafi"
No alla guerra e no a Gheddaffi. La posizione di SEL
Il Coordinamento Nazionale di Sinistra Ecologia Liberta’, riunitosi oggi a Roma con la relazione di Nichi Vendola e la discussione successiva, ha approvato il seguente documento sulla vicenda libica:
La guerra contro la Libia e’ la risposta piu’ sbagliata e pericolosa alla domanda di democrazia che si e’ affermata in tutto il Mediterraneo nel corso degli ultimi mesi. Chiediamo un immediato cessate il fuoco per consentire l’avvio di un negoziato tra le parti che abbia come interesse superiore quello della protezione delle popolazioni civili, con l’obiettivo di mantenere l’integrita’ e l’autonomia di quel Paese sotto un nuovo governo democratico. Chiediamo che si apra subito un corridoio umanitario per consentire ai profughi di salvarsi dalla guerra e l’immediata predisposizione degli strumenti piu’ adeguati per garantire ad essi un’accoglienza su tutto il territorio europeo
A meno di ventiquattro ore dall’avvio dei bombardamenti da parte della Coalizione dei volenterosi appare evidente che lo scenario piu’ probabile e’ quello di una vera e propria escalation militare, che potrebbe portare ad esiti che vanno ben oltre la stessa risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ivi compresa l’invasione militare terrestre delle forze della coalizione. Il presidente Sarkozy ha ribadito, fin dall’avvio dei bombardamenti francesi, che l’obiettivo da perseguire e’ quello di “andare fino in fondo”, prefigurando uno scenario di guerra che e’ ben distante dalle iniziali dichiarazioni di protezione delle parti che avevano partecipato alla ribellione contro il regime totalitario del colonnello Gheddafi. Per questo, fin da subito, come Sinistra Ecologia Liberta’, avevamo espresso la netta contrarieta’ per la parte della risoluzione 1973 che consentiva l’uso dell’offensiva militare ad una coalizione di cui, oggi, l’Italia fa pienamente parte. Questa risoluzione e’ tardiva, a fronte di una situazione sul campo libico che necessitava un celere intervento politico e diplomatico a favore degli insorti quando questi ultimi avevano il pieno controllo di una parte importante del Paese e prima che Gheddafi potesse riorganizzare le sue forze e procedere alla riconquista delle zone liberate dal suo regime. Le settimane che sono trascorse hanno evidenziato la debolezza dell’intervento politico della comunità internazionale, che non e’ riuscita neppure ad imporre le sanzioni economiche e commerciali che avrebbero davvero indebolito il regime di Gheddafi, dal congelamento dei conti e delle partecipazioni azionarie legate al rais fino all’indispensabile e totale embargo del commercio delle armi.
Siamo convinti che il principio della non interferenza negli affari dei singoli stati sia un delitto contro un principio piu’ grande ed importante, quello del rispetto dei diritti umani. Siamo altresi’ convinti che ogni qual volta la parola “umanitario” si sia accostata alla guerra si siano prodotte violazioni e violenze ancora piu’ gravi. La realpolitik seleziona i diritti umani a seconda degli obiettivi strategici. Accade così che in Yemen si spari sulla folla che protesta, provocando decine di vittime, che in Bahrein ci sia l’intervento repressivo dell’Arabia Saudita, per non parlare di quanto accade da anni in Somalia o, più recentemente, in Costa d’Avorio, senza che vi sia una reazione degna da parte della comunità internazionale a garanzia del principio, evidentemente per essa NON universale, della tutela dei diritti umani.
Consideriamo il colonnello Gheddafi uno dei peggiori dittatori del pianeta. Senza esitazioni, mentre gran parte dei paesi occidentali lo riveriva, ne abbiamo denunciato le nefandezze. Mentre il presidente del Consiglio Berlusconi si affannava nel baciamano al tiranno, grato per i suoi servigi economici ed ancor di piu’ per la ferocia con la quale la Libia controllava il flusso dei migranti dall’Africa, noi eravamo dalla parte di chi chiedeva la revoca del trattato con la Libia e l’immediata messa in opera di misure che proteggessero le vite dei migranti detenuti nel deserto libico.
Siamo stati fin dall’inizio e senza esitazioni dalla parte delle popolazioni che, sollevandosi, hanno rovesciato i regimi autocratici della Tunisia e dell’Egitto, cosi’ come abbiamo sostenuto e sosterremo le mobilitazioni per la liberta’ e la democrazia in Marocco, Algeria, Yemen, Bahrein e Albania. Lo abbiamo fatto con convinzione, sicuri che il complice silenzio di Paesi oggi in prima fila nella guerra, come la Francia e l’Italia, fosse motivato da opportunismo balbettante oltre che dalla reale incomprensione di cio’ che in quei Paesi stesse accadendo, a partire dalla scomparsa dell’orizzonte fondamentalista nella narrazione di quelle società. E’ evidente, infatti, che gli unici soggetti che avessero rapporti con quelle realta’ fossero le forze della societa’ civile internazionale, nelle quali pienamente ci riconosciamo, e non certo le diplomazie a lungo complici dei regimi.
Per noi il no alla guerra e l’inimicizia e l’avversione nei confronti di Gheddafi hanno ugual rilievo. Dobbiamo uscire dal vicolo cieco tra inerzia e guerra per generalizzare il tema dei diritti umani e della democrazia.
Per questo chiediamo che il nostro Paese non partecipi, in ottemperanza all’articolo 11 della Costituzione e anche in ragione del passato colonialista dell’Italia, alla guerra promossa dalla cosiddetta Coalizione dei volenterosi e che, al contrario, l’Italia si faccia promotrice di una iniziativa politica per determinare il cessate il fuoco e l’apertura del tavolo negoziale, oltre a richiedere l’applicazione delle parti della risoluzione 1973 che consentirebbero di promuovere un’ intervento positivo per il cambio del regime e la protezione dei civili. Per ottenere questo risultato e’ fondamentale il coinvolgimento dell’Unione Africana e della stessa Lega Araba, che stanno prendendo pesantemente le distanze dall’intervento militare. Gli stessi Paesi che si sono astenuti sulla risoluzione 1973, a partire dalla Cina passando per la Germania, il Brasile e la Russia, stanno indicando nell’intervento militare una forzatura della stessa risoluzione. Insistiamo nel credere che sia il tempo del cessate il fuoco per consentire a forze di interposizione sotto chiaro mandato dell’Onu, di Paesi che non abbiano partecipato all’attacco di queste ore e che non abbiano interessi economici diretti nell’area, di garantire la transizione alla democrazia e la protezione dei civili.
Siamo molto preoccupati per cio’ che l’intervento militare puo’ voler dire per le stesse domande di democrazia espresse in quell’area, pregiudicando la direzione progressista delle rivoluzioni arabe: dal silenzio dei governi occidentali alla guerra come unico strumento di relazione internazionale, siamo di fronte al peggior volto dell’occidente.
Riteniamo che ci debba essere un ruolo completamente diverso dell’Europa. L’iniziativa francese e l’inerzia tedesca rappresentano l’evidente assenza di una politica comune. Le pericolose dichiarazioni di irresponsabilità dei governi europei, in cui l’Italia tristemente primeggia, nei confronti dei profughi ne evidenzia la regressione culturale e civile. Essere una superpotenza affacciata su un mare in ebollizione comporta tutt’altre responsabilita’. Si adotti, quindi, una vera politica euro-mediterranea, che impedisca alla guerra di essere la “continuazione dell’inesistenza della politica”. Si affronti l’emergenza profughi sospendendo il Frontex e determinando una nuova politica di accoglienza ed integrazione di uomini e donne i cui diritti umani non possono essere difesi con le bombe nei Paesi di provenienza, per poi essere calpestati appena mettano piede sul suolo europeo. Non si dimentichi mai che la piu’ grande violazione dei diritti umani Gheddafi l’ha messa in opera proprio sui migranti, su mandato delle potenze europee, e che di queste violazioni in primo luogo dovrà rispondere al Tribunale penale internazionale. Una politica euromediterranea che sappia tutelare davvero i diritti e la sicurezza delle popolazioni, a partire dal riconoscimento dei diritti e della sicurezza reciproca di Israele e Palestina.
Siamo convinti che questo sia il momento di coinvolgere l’opinione pubblica in una generale mobilitazione per i diritti umani, la democrazia e la pace. Proprio per questo chiediamo di non militarizzare innanzitutto i pensieri, di non abbandonare mai lo spirito critico e la cognizione delle conseguenze che gli atti di queste ore possono determinare. La costruzione della pace e’ l’unica alternativa e non possiamo scoraggiarci dicendo che il suo raggiungimento sia pieno di ostacoli. Costruire la pace significa dire la verita’, emanciparsi da ogni logica di campo, essere contro i dittatori senza esitazioni e stare sempre dalla parte delle popolazioni che subiscono le violenze delle guerre.
Sinistra Ecologia Libertà
Il Coordinamento Nazionale di Sinistra Ecologia Liberta’, riunitosi oggi a Roma con la relazione di Nichi Vendola e la discussione successiva, ha approvato il seguente documento sulla vicenda libica:
La guerra contro la Libia e’ la risposta piu’ sbagliata e pericolosa alla domanda di democrazia che si e’ affermata in tutto il Mediterraneo nel corso degli ultimi mesi. Chiediamo un immediato cessate il fuoco per consentire l’avvio di un negoziato tra le parti che abbia come interesse superiore quello della protezione delle popolazioni civili, con l’obiettivo di mantenere l’integrita’ e l’autonomia di quel Paese sotto un nuovo governo democratico. Chiediamo che si apra subito un corridoio umanitario per consentire ai profughi di salvarsi dalla guerra e l’immediata predisposizione degli strumenti piu’ adeguati per garantire ad essi un’accoglienza su tutto il territorio europeo
A meno di ventiquattro ore dall’avvio dei bombardamenti da parte della Coalizione dei volenterosi appare evidente che lo scenario piu’ probabile e’ quello di una vera e propria escalation militare, che potrebbe portare ad esiti che vanno ben oltre la stessa risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ivi compresa l’invasione militare terrestre delle forze della coalizione. Il presidente Sarkozy ha ribadito, fin dall’avvio dei bombardamenti francesi, che l’obiettivo da perseguire e’ quello di “andare fino in fondo”, prefigurando uno scenario di guerra che e’ ben distante dalle iniziali dichiarazioni di protezione delle parti che avevano partecipato alla ribellione contro il regime totalitario del colonnello Gheddafi. Per questo, fin da subito, come Sinistra Ecologia Liberta’, avevamo espresso la netta contrarieta’ per la parte della risoluzione 1973 che consentiva l’uso dell’offensiva militare ad una coalizione di cui, oggi, l’Italia fa pienamente parte. Questa risoluzione e’ tardiva, a fronte di una situazione sul campo libico che necessitava un celere intervento politico e diplomatico a favore degli insorti quando questi ultimi avevano il pieno controllo di una parte importante del Paese e prima che Gheddafi potesse riorganizzare le sue forze e procedere alla riconquista delle zone liberate dal suo regime. Le settimane che sono trascorse hanno evidenziato la debolezza dell’intervento politico della comunità internazionale, che non e’ riuscita neppure ad imporre le sanzioni economiche e commerciali che avrebbero davvero indebolito il regime di Gheddafi, dal congelamento dei conti e delle partecipazioni azionarie legate al rais fino all’indispensabile e totale embargo del commercio delle armi.
Siamo convinti che il principio della non interferenza negli affari dei singoli stati sia un delitto contro un principio piu’ grande ed importante, quello del rispetto dei diritti umani. Siamo altresi’ convinti che ogni qual volta la parola “umanitario” si sia accostata alla guerra si siano prodotte violazioni e violenze ancora piu’ gravi. La realpolitik seleziona i diritti umani a seconda degli obiettivi strategici. Accade così che in Yemen si spari sulla folla che protesta, provocando decine di vittime, che in Bahrein ci sia l’intervento repressivo dell’Arabia Saudita, per non parlare di quanto accade da anni in Somalia o, più recentemente, in Costa d’Avorio, senza che vi sia una reazione degna da parte della comunità internazionale a garanzia del principio, evidentemente per essa NON universale, della tutela dei diritti umani.
Consideriamo il colonnello Gheddafi uno dei peggiori dittatori del pianeta. Senza esitazioni, mentre gran parte dei paesi occidentali lo riveriva, ne abbiamo denunciato le nefandezze. Mentre il presidente del Consiglio Berlusconi si affannava nel baciamano al tiranno, grato per i suoi servigi economici ed ancor di piu’ per la ferocia con la quale la Libia controllava il flusso dei migranti dall’Africa, noi eravamo dalla parte di chi chiedeva la revoca del trattato con la Libia e l’immediata messa in opera di misure che proteggessero le vite dei migranti detenuti nel deserto libico.
Siamo stati fin dall’inizio e senza esitazioni dalla parte delle popolazioni che, sollevandosi, hanno rovesciato i regimi autocratici della Tunisia e dell’Egitto, cosi’ come abbiamo sostenuto e sosterremo le mobilitazioni per la liberta’ e la democrazia in Marocco, Algeria, Yemen, Bahrein e Albania. Lo abbiamo fatto con convinzione, sicuri che il complice silenzio di Paesi oggi in prima fila nella guerra, come la Francia e l’Italia, fosse motivato da opportunismo balbettante oltre che dalla reale incomprensione di cio’ che in quei Paesi stesse accadendo, a partire dalla scomparsa dell’orizzonte fondamentalista nella narrazione di quelle società. E’ evidente, infatti, che gli unici soggetti che avessero rapporti con quelle realta’ fossero le forze della societa’ civile internazionale, nelle quali pienamente ci riconosciamo, e non certo le diplomazie a lungo complici dei regimi.
Per noi il no alla guerra e l’inimicizia e l’avversione nei confronti di Gheddafi hanno ugual rilievo. Dobbiamo uscire dal vicolo cieco tra inerzia e guerra per generalizzare il tema dei diritti umani e della democrazia.
Per questo chiediamo che il nostro Paese non partecipi, in ottemperanza all’articolo 11 della Costituzione e anche in ragione del passato colonialista dell’Italia, alla guerra promossa dalla cosiddetta Coalizione dei volenterosi e che, al contrario, l’Italia si faccia promotrice di una iniziativa politica per determinare il cessate il fuoco e l’apertura del tavolo negoziale, oltre a richiedere l’applicazione delle parti della risoluzione 1973 che consentirebbero di promuovere un’ intervento positivo per il cambio del regime e la protezione dei civili. Per ottenere questo risultato e’ fondamentale il coinvolgimento dell’Unione Africana e della stessa Lega Araba, che stanno prendendo pesantemente le distanze dall’intervento militare. Gli stessi Paesi che si sono astenuti sulla risoluzione 1973, a partire dalla Cina passando per la Germania, il Brasile e la Russia, stanno indicando nell’intervento militare una forzatura della stessa risoluzione. Insistiamo nel credere che sia il tempo del cessate il fuoco per consentire a forze di interposizione sotto chiaro mandato dell’Onu, di Paesi che non abbiano partecipato all’attacco di queste ore e che non abbiano interessi economici diretti nell’area, di garantire la transizione alla democrazia e la protezione dei civili.
Siamo molto preoccupati per cio’ che l’intervento militare puo’ voler dire per le stesse domande di democrazia espresse in quell’area, pregiudicando la direzione progressista delle rivoluzioni arabe: dal silenzio dei governi occidentali alla guerra come unico strumento di relazione internazionale, siamo di fronte al peggior volto dell’occidente.
Riteniamo che ci debba essere un ruolo completamente diverso dell’Europa. L’iniziativa francese e l’inerzia tedesca rappresentano l’evidente assenza di una politica comune. Le pericolose dichiarazioni di irresponsabilità dei governi europei, in cui l’Italia tristemente primeggia, nei confronti dei profughi ne evidenzia la regressione culturale e civile. Essere una superpotenza affacciata su un mare in ebollizione comporta tutt’altre responsabilita’. Si adotti, quindi, una vera politica euro-mediterranea, che impedisca alla guerra di essere la “continuazione dell’inesistenza della politica”. Si affronti l’emergenza profughi sospendendo il Frontex e determinando una nuova politica di accoglienza ed integrazione di uomini e donne i cui diritti umani non possono essere difesi con le bombe nei Paesi di provenienza, per poi essere calpestati appena mettano piede sul suolo europeo. Non si dimentichi mai che la piu’ grande violazione dei diritti umani Gheddafi l’ha messa in opera proprio sui migranti, su mandato delle potenze europee, e che di queste violazioni in primo luogo dovrà rispondere al Tribunale penale internazionale. Una politica euromediterranea che sappia tutelare davvero i diritti e la sicurezza delle popolazioni, a partire dal riconoscimento dei diritti e della sicurezza reciproca di Israele e Palestina.
Siamo convinti che questo sia il momento di coinvolgere l’opinione pubblica in una generale mobilitazione per i diritti umani, la democrazia e la pace. Proprio per questo chiediamo di non militarizzare innanzitutto i pensieri, di non abbandonare mai lo spirito critico e la cognizione delle conseguenze che gli atti di queste ore possono determinare. La costruzione della pace e’ l’unica alternativa e non possiamo scoraggiarci dicendo che il suo raggiungimento sia pieno di ostacoli. Costruire la pace significa dire la verita’, emanciparsi da ogni logica di campo, essere contro i dittatori senza esitazioni e stare sempre dalla parte delle popolazioni che subiscono le violenze delle guerre.
Sinistra Ecologia Libertà
Fucina della nonviolenza di Firenze "Per chi dice ancora NO ALLA GUERRA"
*Per chi dice ancora NO ALLA GUERRA - Presidio lunedì 21 marzo ore 17.30*
Siamo un piccolo gruppo di persone caparbiamente "contro la guerra", contro ogni guerra; la “Fucina per la Nonviolenza”.
Stiamo vedendo, ancora una volta, che dietro l'ipocrita foglia di fico dell'intervento umanitario, si sta consumando una nuova guerra dal sapore neocoloniale a pochi chilometri dal nostro paese, in Libia.
Come persone convinte che la guerra, tanto meno con le modalità scatenate adesso, non può essere la risposta al desiderio di libertà e di democrazia di un popolo, invitiamo tutte/i ad un presidio *lunedì 21 marzo 2011 alle ore 17.30 davanti alla Prefettura di Firenze in via Cavour*.
Come piattaforma per il presidio non vogliamo imporre nessuna analisi o soluzione; proponiamo una serie di domande, rivolte soprattutto ai sostenitori dell'intervento bellico, redatte da un gruppo di pacifisti genovesi, che ci paiono estremamente opportune e puntuali. Confidiamo che l'intelligenza collettiva sappia trovare risposte adeguate a questo conflitto.
Fucina per la Nonviolenza Firenze
---------------------------------------------------------------------------
1) Perché solo ora la comunità internazionale si accorge che Gheddafi è a capo di un regime autoritario e liberticida? Chi sono gli insorti libici, e chi rappresentano?
2) Perché il governo italiano ha firmato un Trattato economico e militare con lo stato libico, e non lo ha disdetto con il necessario voto parlamentare? Perché l'Italia ha venduto le armi alla Libia?
3) Quali sono stati gli effetti dei più recenti interventi militari "umanitari"?(Kosovo, Iraq, Afghanistan….)
4) Perché il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha votato un documento generico che consente a chiunque di andare a bombardare la Libia con l'astensione di cinque paesi, fra cui la Germania e la Russia, anziché inviare forze di interposizione a difesa della popolazione civile, ed osservatori incaricati di verificare la tregua comunicata il 18 marzo?
5) Perché l’ONU schiera a difesa degli insorti paesi ex coloniali con grossi interessi economici in Libia; e perché coinvolge la NATO e non paesi veramente “terzi” ed estranei al conflitto?
6) Perché gli insorti libici provocano l’indignazione internazionale e l’intervento della NATO, mentre altri massacri (Palestina, Bahrein, Sudan) sono di serie B?
7) Perché l’Arabia Saudita si è schierata a fianco degli insorti libici ma reprime ogni tentativo di democratizzazione nel proprio paese; ed ha inviato soldati sauditi a reprimere le proteste in Bahrein (45 morti negli scorsi giorni)?
8) Perché l’Italia respinge i barconi con i profughi, se ha a cuore le sorti delle vittime della guerra?
9) Perché i sinceri difensori della nostra Costituzione non scendono in piazza a difendere l'art. 11 "L'Italia ripudia la guerra?
10) Perché è stato proposto Barack Obama per il premio Nobel per la pace?
Siamo un piccolo gruppo di persone caparbiamente "contro la guerra", contro ogni guerra; la “Fucina per la Nonviolenza”.
Stiamo vedendo, ancora una volta, che dietro l'ipocrita foglia di fico dell'intervento umanitario, si sta consumando una nuova guerra dal sapore neocoloniale a pochi chilometri dal nostro paese, in Libia.
Come persone convinte che la guerra, tanto meno con le modalità scatenate adesso, non può essere la risposta al desiderio di libertà e di democrazia di un popolo, invitiamo tutte/i ad un presidio *lunedì 21 marzo 2011 alle ore 17.30 davanti alla Prefettura di Firenze in via Cavour*.
Come piattaforma per il presidio non vogliamo imporre nessuna analisi o soluzione; proponiamo una serie di domande, rivolte soprattutto ai sostenitori dell'intervento bellico, redatte da un gruppo di pacifisti genovesi, che ci paiono estremamente opportune e puntuali. Confidiamo che l'intelligenza collettiva sappia trovare risposte adeguate a questo conflitto.
Fucina per la Nonviolenza Firenze
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1) Perché solo ora la comunità internazionale si accorge che Gheddafi è a capo di un regime autoritario e liberticida? Chi sono gli insorti libici, e chi rappresentano?
2) Perché il governo italiano ha firmato un Trattato economico e militare con lo stato libico, e non lo ha disdetto con il necessario voto parlamentare? Perché l'Italia ha venduto le armi alla Libia?
3) Quali sono stati gli effetti dei più recenti interventi militari "umanitari"?(Kosovo, Iraq, Afghanistan….)
4) Perché il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha votato un documento generico che consente a chiunque di andare a bombardare la Libia con l'astensione di cinque paesi, fra cui la Germania e la Russia, anziché inviare forze di interposizione a difesa della popolazione civile, ed osservatori incaricati di verificare la tregua comunicata il 18 marzo?
5) Perché l’ONU schiera a difesa degli insorti paesi ex coloniali con grossi interessi economici in Libia; e perché coinvolge la NATO e non paesi veramente “terzi” ed estranei al conflitto?
6) Perché gli insorti libici provocano l’indignazione internazionale e l’intervento della NATO, mentre altri massacri (Palestina, Bahrein, Sudan) sono di serie B?
7) Perché l’Arabia Saudita si è schierata a fianco degli insorti libici ma reprime ogni tentativo di democratizzazione nel proprio paese; ed ha inviato soldati sauditi a reprimere le proteste in Bahrein (45 morti negli scorsi giorni)?
8) Perché l’Italia respinge i barconi con i profughi, se ha a cuore le sorti delle vittime della guerra?
9) Perché i sinceri difensori della nostra Costituzione non scendono in piazza a difendere l'art. 11 "L'Italia ripudia la guerra?
10) Perché è stato proposto Barack Obama per il premio Nobel per la pace?
sabato 19 marzo 2011
Libia-nonviolenza-Contro la guerra,salvare le vite
Da Telegrammi del Centro di Ricerca della Pace di Viterbo
Editoriale di Peppe Sini
Poiche' la guerra sempre consiste dell'uccisione di esseri umani, gli esseri umani senzienti e ragionevoli sempre contro la guerra devono porsi.
Poiche' gli eserciti e le armi servono a uccidere, sempre contro gli eserciti e le armi occorre porsi.
Occorre ripudiare la guerra, come recita la Costituzione della Repubblica Italiana.
Occorre smilitarizzare e disarmare i conflitti.
Occorre opporsi alle dittature senza diventare uguali ad esse nei fini o nei mezzi (ed i mezzi pregiudicano gia' i fini).
Occorre accogliere ed assistere tutti i profughi e i migranti.
Occorre recare aiuti umanitari a tutti i bisognosi e gli oppressi, poiche' vi e' una sola umanita'.
Occorre sostenere tutte le iniziative nonviolente per l'affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ed in particolare occorre sostenere i movimenti delle donne.
Occorre opporsi sempre a tutte le uccisioni.
No alla guerra nel Mediterraneo.
No alla guerra in Afghanistan.
No al razzismo.
No alle dittature.
Pace, disarmo, giustizia, solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Editoriale di Peppe Sini
Poiche' la guerra sempre consiste dell'uccisione di esseri umani, gli esseri umani senzienti e ragionevoli sempre contro la guerra devono porsi.
Poiche' gli eserciti e le armi servono a uccidere, sempre contro gli eserciti e le armi occorre porsi.
Occorre ripudiare la guerra, come recita la Costituzione della Repubblica Italiana.
Occorre smilitarizzare e disarmare i conflitti.
Occorre opporsi alle dittature senza diventare uguali ad esse nei fini o nei mezzi (ed i mezzi pregiudicano gia' i fini).
Occorre accogliere ed assistere tutti i profughi e i migranti.
Occorre recare aiuti umanitari a tutti i bisognosi e gli oppressi, poiche' vi e' una sola umanita'.
Occorre sostenere tutte le iniziative nonviolente per l'affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani, ed in particolare occorre sostenere i movimenti delle donne.
Occorre opporsi sempre a tutte le uccisioni.
No alla guerra nel Mediterraneo.
No alla guerra in Afghanistan.
No al razzismo.
No alle dittature.
Pace, disarmo, giustizia, solidarieta'.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Libia.Cacciare Gheddafi, no all' intervento militare imperialista
La repressione brutale del dittatore libico contro la rivoluzione popolare costituisce il miglior supporto per l'intervento militare imperialista, con l'effetto di frenare il processo rivoluzionario in corso in tutto il mondo arabo. La 'no fly zone' decisa dal Consiglio di sicurezza dell'Onu avviene dopo che è stato concesso a Gheddafi di riprendere possesso di gran parte del territorio liberato, costringendo gli insorti di Bengasi e Tobruk - dopo aver esplicitamente rifiutato aiuti interessati per settimane - ad invocare ora comprensibilmente un aiuto internazionale di qualsiasi natura per non essere sopraffatti dal pugno di ferro del regime: questo sì è il cinico calcolo che le potenze occidentali hanno ordito ai danni del popolo libico e di tutti i popoli in rivolta nell'area, premendo loro di riconquistare margini di controllo geopolitico e sulle risorse energetiche, rimesso in discussione dall'abbattimento delle dittature in Egitto e Tunisia. Chi ha parlato finora di rivoluzioni pilotate dagli Stati Uniti ha finito per sabotare una delle più grandi sollevazioni democratiche di tutta la storia del mondo arabo, frutto della crisi capitalistica che ha fatto saltare i regimi dittatoriali alleati dell'Occidente e di Israele. Con ben altra mobilitazione possibile in tutta Europa oggi il dittatore libico avrebbe già subito la sorte di Ben Alì e di Mubarak!
Noi diciamo risolutamente NO a qualsiasi intervento militare in Libia, perchè non esiste guerra umanitaria e perchè nessun aiuto porterebbe alla lotta di liberazione. Il sostegno più grande che possiamo dare è quello di una mobilitazione di massa in tutti i paesi, schierandoci senza esitazioni per la cacciata del colonnello e contro i tentativi imperialisti di mettere le mani sulla Libia: non c'è altra soluzione. Su questo, la sinistra e il movimento operaio hanno una responsabilità enorme, per la passività e per le ambiguità dimostrate finora; mentre ogni sostegno oggi, anche 'critico', all'intervento militare di paesi della Nato costituisce una tragica sciagura.
No quindi all'intervento militare! No alla concessione delle basi italiane per l'intervento imperialista!
Esigiamo la fine della repressione e degli attacchi delle forze armate di Tripoli! Gheddafi se ne deve andare e il popolo deve decidere liberamente del proprio futuro come in Egitto e in Tunisia. Pieno e incondizionato sostegno al popolo libico in lotta! La rivoluzione può subire battute d'arresto, ma la forza generale di cui dispone in molti paesi arabi può di nuovo far capovolgere il fronte!
Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista
Noi diciamo risolutamente NO a qualsiasi intervento militare in Libia, perchè non esiste guerra umanitaria e perchè nessun aiuto porterebbe alla lotta di liberazione. Il sostegno più grande che possiamo dare è quello di una mobilitazione di massa in tutti i paesi, schierandoci senza esitazioni per la cacciata del colonnello e contro i tentativi imperialisti di mettere le mani sulla Libia: non c'è altra soluzione. Su questo, la sinistra e il movimento operaio hanno una responsabilità enorme, per la passività e per le ambiguità dimostrate finora; mentre ogni sostegno oggi, anche 'critico', all'intervento militare di paesi della Nato costituisce una tragica sciagura.
No quindi all'intervento militare! No alla concessione delle basi italiane per l'intervento imperialista!
Esigiamo la fine della repressione e degli attacchi delle forze armate di Tripoli! Gheddafi se ne deve andare e il popolo deve decidere liberamente del proprio futuro come in Egitto e in Tunisia. Pieno e incondizionato sostegno al popolo libico in lotta! La rivoluzione può subire battute d'arresto, ma la forza generale di cui dispone in molti paesi arabi può di nuovo far capovolgere il fronte!
Sinistra Critica - Organizzazione per la Sinistra Anticapitalista
Intervento militare in Libia, video manifestazione a Milano 19 Marzo
Sabato sera arrivano i primi Cruise su Tripoli e la sinistra a favore della risoluzione Onu e' gia'spiazzata. Esiste per fortuna un' altra sinistra, questo e' un video dal sito del FattoQuotidiano di una manifestazione a Milano nel pomeriggio del 19 marzo, prima dell' inizio dei bombardamenti francesi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/19/a-milano-manifestazione-contro-lintervento-militare/98790/
Speriamo che la sinistra "contro la guerra senza se e senza ma" di tutta Italia esca fuori e si ricolleghi in un movimento. Non fermera' la guerra iniziata nel pomeriggio di oggi in Libia ma una mobilitazione servira' per affrontare in futuro la prossima fase, con i conflitti (speriamo nonviolenti) nel NordAfrica e MedioOriente, l' avvicinarsi del picco petrolifero, le ripercussioni delle catastrofi giapponesi, la stagnazione ormai definitiva delle economie occidentali.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/19/a-milano-manifestazione-contro-lintervento-militare/98790/
Speriamo che la sinistra "contro la guerra senza se e senza ma" di tutta Italia esca fuori e si ricolleghi in un movimento. Non fermera' la guerra iniziata nel pomeriggio di oggi in Libia ma una mobilitazione servira' per affrontare in futuro la prossima fase, con i conflitti (speriamo nonviolenti) nel NordAfrica e MedioOriente, l' avvicinarsi del picco petrolifero, le ripercussioni delle catastrofi giapponesi, la stagnazione ormai definitiva delle economie occidentali.
Libia.Ora e' il tempo del movimento contro la guerra.
Ora è il tempo del movimento contro la guerra
sabato 19 marzo 2011
di Simone Oggionni* Marco Nebuloni** Cosimo Bruzzo***
Ormai la guerra è molto più di un'ipotesi. Il rumore dei tamburi che l'annunciano si è fatto frastuono. Incalza e si intensifica con il rafforzarsi delle postazioni dei sostenitori di Gheddafi.
Crescono gli appetiti di quelle potenze che da settimane lavorano per una soluzione armata: gli Stati Uniti, le cui navi sono già al largo delle coste libiche; la Germania, che ha già inviato aerei militari in Libia; l'Italia, i cui caccia F-16 e i cui Eurofighter sono stati messi in allerta ormai da giorni nelle basi di Trapani e Gioia del Colle; la Francia, che si era dimostrata nei giorni scorsi disponibile ad imporre una no-fly zone anche da sola. Anche il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha dato il via libera e, nelle prossime ore, la no-fly zone verrà imposta, "con tutti i mezzi necessari".
Attenzione, però: interdire all'aviazione di Gheddafi l'utilizzo dei cieli significa dare il la alla guerra senza dirlo esplicitamente, provando a raggirare un'opinione pubblica europea che in queste settimane sta subendo un vero e proprio bombardamento propagandistico, simile a quello messo in campo già per le guerre in Serbia, Afghanistan e Iraq. Per questo è la soluzione gradita ai più, all'establishment statunitense, all'Unione Europea e a quegli Stati che, per interessi tutti attuali, non vogliono essere da meno del proprio passato colonialista.
Nei giorni scorsi, però, contemporaneamente, abbiamo provato a muovere qualcosa di segno contrario. Dal basso delle nostre modeste forze, ben consapevoli della assoluta parzialità del nostro contributo e tuttavia provando a rimettere in campo un processo di solidarietà internazionale che sarebbe esiziale non attivare il prima possibile. Ci riferiamo all'incontro svoltosi a Vienna dall'11 al 13 marzo delle giovanili comuniste e della sinistra di alternativa d'Europa e dell'America del Nord.
Un incontro svoltosi grazie al lavoro della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica e che, anche grazie alla forte insistenza di organizzazioni come la nostra e come quella francese, ha messo a tema esattamente la necessità di organizzare, su scala mondiale, continentale così come all'interno di ciascun Paese, un movimento di massa, di opinione e di lotta contro la guerra che è alle porte.
Non si pensi che sia tutto semplice e tutto scontato. La recente approvazione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione a favore dell'imposizione della no-fly zone, con il consenso anche di alcuni deputati del Gue e della Sinistra Europea, lo dimostra plasticamente. Così come lo dimostrano le posizioni spesso dicotomiche e manichee che si sviluppano nel dibattito a sinistra nel nostro Paese, come se la ferma opposizione alla guerra significasse automaticamente assumere il punto di vista del governo del Paese sotto attacco. La realtà - come è ovvio - è molto più complessa e richiede tutta la nostra capacità di analisi e di approfondimento, nel comprendere esattamente i caratteri della rivolta e della guerra civile, i punti di contatto e di differenza con le esperienze di rivolta in corso in altri Paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente, gli interessi in campo e gli scenari futuri.
Detto questo, ciò che con evidenza cristallina va messo in luce e che con grande forza l'incontro di Vienna ha messo a tema è proprio la necessità di costruire una opposizione internazionale alla guerra che si profila, esattamente a partire dalla ricostruzione di un livello internazionale che metta di nuovo insieme tutte le forze comuniste e anticapitaliste il cui fronte, purtroppo, in questi anni si è drammaticamente indebolito. Ovviamente il nostro compito è parziale, a maggior ragione perchè parliamo degli organismi giovanili e non dei partiti in quanto tali (si badi che non esiste su scala mondiale il corrispettivo della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica). Ma è un primo passo e serve a spronare ciascuna forza nazionale a costruire all'interno dei propri confini nazionali un movimento per la pace ampio e trasversale.
Ad oggi, un'alternativa alla guerra c'è ed è forte. L'alternativa alla guerra non è l'afasia e il nulla ma è la riaffermazione del principio di non ingerenza, del diritto dei popoli alla propria autonomia e indipendenza e dunque la proposta di un tavolo internazionale di pace che, come suggerito da Chavez, imbocchi la via del negoziato. Un negoziato che, in quanto tale, provi a mettere in dialogo le parti in conflitto e cioè il regime di Gheddafi e i suoi sostenitori con i rivoltosi. Tenendo debitamente a distanza invece quelle forze politiche ed economiche che non hanno minimamente a cuore il destino della Libia e del suo popolo ma che hanno soltanto, pervicacemente e da decenni, lavorato per accaparrarsi le risorse energetiche e il controllo di una zona del mondo fondamentale dal punto di vista strategico.
Il tempo del movimento contro la guerra, anche in Italia, è ora. Se non ora, mai più.
*portavoce nazionale e responsabile Esteri Giovani Comuniste/i
**coordinamento regionale Lombardia Giovani Comuniste/i
***coordinamento regionale Veneto Giovani Comuniste/i
fonte www.liberazione.it
sabato 19 marzo 2011
di Simone Oggionni* Marco Nebuloni** Cosimo Bruzzo***
Ormai la guerra è molto più di un'ipotesi. Il rumore dei tamburi che l'annunciano si è fatto frastuono. Incalza e si intensifica con il rafforzarsi delle postazioni dei sostenitori di Gheddafi.
Crescono gli appetiti di quelle potenze che da settimane lavorano per una soluzione armata: gli Stati Uniti, le cui navi sono già al largo delle coste libiche; la Germania, che ha già inviato aerei militari in Libia; l'Italia, i cui caccia F-16 e i cui Eurofighter sono stati messi in allerta ormai da giorni nelle basi di Trapani e Gioia del Colle; la Francia, che si era dimostrata nei giorni scorsi disponibile ad imporre una no-fly zone anche da sola. Anche il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha dato il via libera e, nelle prossime ore, la no-fly zone verrà imposta, "con tutti i mezzi necessari".
Attenzione, però: interdire all'aviazione di Gheddafi l'utilizzo dei cieli significa dare il la alla guerra senza dirlo esplicitamente, provando a raggirare un'opinione pubblica europea che in queste settimane sta subendo un vero e proprio bombardamento propagandistico, simile a quello messo in campo già per le guerre in Serbia, Afghanistan e Iraq. Per questo è la soluzione gradita ai più, all'establishment statunitense, all'Unione Europea e a quegli Stati che, per interessi tutti attuali, non vogliono essere da meno del proprio passato colonialista.
Nei giorni scorsi, però, contemporaneamente, abbiamo provato a muovere qualcosa di segno contrario. Dal basso delle nostre modeste forze, ben consapevoli della assoluta parzialità del nostro contributo e tuttavia provando a rimettere in campo un processo di solidarietà internazionale che sarebbe esiziale non attivare il prima possibile. Ci riferiamo all'incontro svoltosi a Vienna dall'11 al 13 marzo delle giovanili comuniste e della sinistra di alternativa d'Europa e dell'America del Nord.
Un incontro svoltosi grazie al lavoro della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica e che, anche grazie alla forte insistenza di organizzazioni come la nostra e come quella francese, ha messo a tema esattamente la necessità di organizzare, su scala mondiale, continentale così come all'interno di ciascun Paese, un movimento di massa, di opinione e di lotta contro la guerra che è alle porte.
Non si pensi che sia tutto semplice e tutto scontato. La recente approvazione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione a favore dell'imposizione della no-fly zone, con il consenso anche di alcuni deputati del Gue e della Sinistra Europea, lo dimostra plasticamente. Così come lo dimostrano le posizioni spesso dicotomiche e manichee che si sviluppano nel dibattito a sinistra nel nostro Paese, come se la ferma opposizione alla guerra significasse automaticamente assumere il punto di vista del governo del Paese sotto attacco. La realtà - come è ovvio - è molto più complessa e richiede tutta la nostra capacità di analisi e di approfondimento, nel comprendere esattamente i caratteri della rivolta e della guerra civile, i punti di contatto e di differenza con le esperienze di rivolta in corso in altri Paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente, gli interessi in campo e gli scenari futuri.
Detto questo, ciò che con evidenza cristallina va messo in luce e che con grande forza l'incontro di Vienna ha messo a tema è proprio la necessità di costruire una opposizione internazionale alla guerra che si profila, esattamente a partire dalla ricostruzione di un livello internazionale che metta di nuovo insieme tutte le forze comuniste e anticapitaliste il cui fronte, purtroppo, in questi anni si è drammaticamente indebolito. Ovviamente il nostro compito è parziale, a maggior ragione perchè parliamo degli organismi giovanili e non dei partiti in quanto tali (si badi che non esiste su scala mondiale il corrispettivo della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica). Ma è un primo passo e serve a spronare ciascuna forza nazionale a costruire all'interno dei propri confini nazionali un movimento per la pace ampio e trasversale.
Ad oggi, un'alternativa alla guerra c'è ed è forte. L'alternativa alla guerra non è l'afasia e il nulla ma è la riaffermazione del principio di non ingerenza, del diritto dei popoli alla propria autonomia e indipendenza e dunque la proposta di un tavolo internazionale di pace che, come suggerito da Chavez, imbocchi la via del negoziato. Un negoziato che, in quanto tale, provi a mettere in dialogo le parti in conflitto e cioè il regime di Gheddafi e i suoi sostenitori con i rivoltosi. Tenendo debitamente a distanza invece quelle forze politiche ed economiche che non hanno minimamente a cuore il destino della Libia e del suo popolo ma che hanno soltanto, pervicacemente e da decenni, lavorato per accaparrarsi le risorse energetiche e il controllo di una zona del mondo fondamentale dal punto di vista strategico.
Il tempo del movimento contro la guerra, anche in Italia, è ora. Se non ora, mai più.
*portavoce nazionale e responsabile Esteri Giovani Comuniste/i
**coordinamento regionale Lombardia Giovani Comuniste/i
***coordinamento regionale Veneto Giovani Comuniste/i
fonte www.liberazione.it
Rinnovabili,fotovoltaico, entro il 10 aprile i nuovi incentivi (-22 giorni).Incontri del ministro Romani e del governo.
In questi 22 giorni, secondo la mozione votata da maggioranza e opposizioni si stabiliranno i nuovi incentivi per l' energia prodotta da impianti fotovoltaici. Venti giorni sono pochi e saranno anche giorni di guerra del nostro paese, sperando che almeno gli impegni internazionali del ministro Romani per il disastro nucleare giapponese siano finiti, sarebbe opportuno che tutti precisassero il prima possibile le loro posizioni. Per ora si e' espressa la Confindustria. Aspettiamo le forze di sinistra, i sindacati, gli artigiani, le aziende del settore, le associazioni ambientaliste, i movimenti. Cerchero' di capire e riferire le diverse posizioni, non sara' facile perche' per ora il processo che ha portato alla abolizione del conto energia 2011-2013, votato a luglio 2010 non e' stato molto trasparente.
Etichette:
incentivi,
Nuovo conto (quarto) energia fotovoltaico
mercoledì 16 marzo 2011
Mozione decreto rinnovabili, governo e opposizione votano insieme e i vecchi incentivi non ci sono piu'....
Governo e opposizione votano insieme sulle rinnovabili, i contenuti della mozione ancora non li conosco, avevo capito che le posizioni tra i due schieramenti erano molto distanti, non so chi ha cambiato posizione....spero il governo...
(ANSA) – ROMA, 16 MAR – Si’ unanime della Camera alla mozione unitaria sulle fonti di energia rinnovabili. Sul testo, sottoscritto da tutti i capigruppo, si sono astenuti i deputati di Forza del Sud ed i deputati radicali che avevano presentato una loro mozione poi respinta. In base al testo approvato, il governo viene, tra l’altro, impegnato ‘a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore, per poter definire al piu’ presto un nuovo sistema di incentivi’.
Ecco i primi dettagli...
l governo si impegna a rivedere il decreto rinnovabili, ma l' unico impegno preciso che ho visto e' la formulazione del nuovo conto energia entro il 10 aprile e non il 30 dello stesso mese. Quindi il conto energia che doveva arrivare al 2013 e' stato annullato e l' opposizione e' d' accordo. Ma fino al 10/4, ammesso che i tempi siano rispettati, cosa succedera' ? Gli ordini disdetti alle imprese saranno invece confermati ? Le firme dei contratti saltate negli ultimi 15 giorni, avranno motivi certi per essere eseguite ?
Marco
Il governo si impegna a rivedere il conto energia
Sì unanime dell'aula della Camera alla mozione unitaria sulle fonti di energia rinnovabili. Il testo è stato sottoscritto da tutti i capigruppo di Montecitorio: si sono astenuti soltanto i deputati di Forza del Sud (che fanno riferimento al sottosegretario Gianfranco Miccichè) e i deputati radicali che avevano presentato una loro mozione. Elisabetta Zamparutti, radicale del Pd, ha spiegato che i radicali si sono astenuti perché ritengono la mozione «un magma indistinto di istanze tra loro, oltretutto, contraddittorie».Sarà dunque corretto il decreto sulle rinnovabili,
Prestigiacomo: intesa «estremamente positiva»
Un'intesa fra maggioranza e opposizione giudicata «estremamente positiva» dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. Per il ministro «le indicazioni del Parlamento aiuteranno il Governo a definire entro breve tempo un sistema di promozione delle energie rinnovabili che sia equo, in linea con gli standard europei e capace di sostenere adeguatamente un settore in grande espansione, capace di dare risposte importanti al paese sia sotto il profilo energetico che sotto il profilo occupazionale». Stefania Prestigiacomo ha anche ricordato che i trattati internazionali sottoscritti impongono all'Italia di raggiungere il 17% di energia prodotta da rinnovabili entro il 2020,
Ridefinire nuovo sistema incentivi
Il governo viene impegnato «a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore delle fonti rinnovabili, per poter definire al più presto un nuovo sistema di incentivi; a non lasciare nell'incertezza tutto il settore delle energie rinnovabili, anticipando l'emanazione del decreto ministeriale in materia entro la prima decadi di aprile; a fare saldi gli investimenti che siano stati avviati sulla base del precedente quadro normativo; a prevedere che la tendenziale riduzione nel tempo degli incentivi delle fonti rinnovabili tengano in debito conto i congrui tempi di transizione, così da garantire gli investimenti effettuati dalle imprese del settore».
Realacci (Pd): nella forma attuale il decreto è una mannaia per il settore
Per Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd, è positivo che sia stata approvata «la mozione unitaria che impegna il Governo a rivedere drasticamente il decreto legislativo sulle rinnovabili che nella forma attuale è una mannaia sull'intero settore e rischia di mandare in rovina migliaia di imprese e di addetti ai lavori».
Fonte www.sole24ore.com
(ANSA) – ROMA, 16 MAR – Si’ unanime della Camera alla mozione unitaria sulle fonti di energia rinnovabili. Sul testo, sottoscritto da tutti i capigruppo, si sono astenuti i deputati di Forza del Sud ed i deputati radicali che avevano presentato una loro mozione poi respinta. In base al testo approvato, il governo viene, tra l’altro, impegnato ‘a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore, per poter definire al piu’ presto un nuovo sistema di incentivi’.
Ecco i primi dettagli...
l governo si impegna a rivedere il decreto rinnovabili, ma l' unico impegno preciso che ho visto e' la formulazione del nuovo conto energia entro il 10 aprile e non il 30 dello stesso mese. Quindi il conto energia che doveva arrivare al 2013 e' stato annullato e l' opposizione e' d' accordo. Ma fino al 10/4, ammesso che i tempi siano rispettati, cosa succedera' ? Gli ordini disdetti alle imprese saranno invece confermati ? Le firme dei contratti saltate negli ultimi 15 giorni, avranno motivi certi per essere eseguite ?
Marco
Il governo si impegna a rivedere il conto energia
Sì unanime dell'aula della Camera alla mozione unitaria sulle fonti di energia rinnovabili. Il testo è stato sottoscritto da tutti i capigruppo di Montecitorio: si sono astenuti soltanto i deputati di Forza del Sud (che fanno riferimento al sottosegretario Gianfranco Miccichè) e i deputati radicali che avevano presentato una loro mozione. Elisabetta Zamparutti, radicale del Pd, ha spiegato che i radicali si sono astenuti perché ritengono la mozione «un magma indistinto di istanze tra loro, oltretutto, contraddittorie».Sarà dunque corretto il decreto sulle rinnovabili,
Prestigiacomo: intesa «estremamente positiva»
Un'intesa fra maggioranza e opposizione giudicata «estremamente positiva» dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. Per il ministro «le indicazioni del Parlamento aiuteranno il Governo a definire entro breve tempo un sistema di promozione delle energie rinnovabili che sia equo, in linea con gli standard europei e capace di sostenere adeguatamente un settore in grande espansione, capace di dare risposte importanti al paese sia sotto il profilo energetico che sotto il profilo occupazionale». Stefania Prestigiacomo ha anche ricordato che i trattati internazionali sottoscritti impongono all'Italia di raggiungere il 17% di energia prodotta da rinnovabili entro il 2020,
Ridefinire nuovo sistema incentivi
Il governo viene impegnato «a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore delle fonti rinnovabili, per poter definire al più presto un nuovo sistema di incentivi; a non lasciare nell'incertezza tutto il settore delle energie rinnovabili, anticipando l'emanazione del decreto ministeriale in materia entro la prima decadi di aprile; a fare saldi gli investimenti che siano stati avviati sulla base del precedente quadro normativo; a prevedere che la tendenziale riduzione nel tempo degli incentivi delle fonti rinnovabili tengano in debito conto i congrui tempi di transizione, così da garantire gli investimenti effettuati dalle imprese del settore».
Realacci (Pd): nella forma attuale il decreto è una mannaia per il settore
Per Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd, è positivo che sia stata approvata «la mozione unitaria che impegna il Governo a rivedere drasticamente il decreto legislativo sulle rinnovabili che nella forma attuale è una mannaia sull'intero settore e rischia di mandare in rovina migliaia di imprese e di addetti ai lavori».
Fonte www.sole24ore.com
Mozione decreto rinnovabili, accordo governo-opposizione. Chi ha cambiato idea ?
Governo e opposizione votano insieme sulle rinnovabili, i contenuti della mozione ancora non li conosco, avevo capito che le posizioni tra i due schieramenti erano molto distanti, non so chi ha cambiato posizione....spero il governo...
(ANSA) – ROMA, 16 MAR – Si’ unanime della Camera alla mozione unitaria sulle fonti di energia rinnovabili. Sul testo, sottoscritto da tutti i capigruppo, si sono astenuti i deputati di Forza del Sud ed i deputati radicali che avevano presentato una loro mozione poi respinta. In base al testo approvato, il governo viene, tra l’altro, impegnato ‘a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore, per poter definire al piu’ presto un nuovo sistema di incentivi’.
(ANSA) – ROMA, 16 MAR – Si’ unanime della Camera alla mozione unitaria sulle fonti di energia rinnovabili. Sul testo, sottoscritto da tutti i capigruppo, si sono astenuti i deputati di Forza del Sud ed i deputati radicali che avevano presentato una loro mozione poi respinta. In base al testo approvato, il governo viene, tra l’altro, impegnato ‘a convocare immediatamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori del settore, per poter definire al piu’ presto un nuovo sistema di incentivi’.
martedì 15 marzo 2011
Tavolo dlgs rinnovabili:flash mob e non invitati importanti
Dlgs rinnovabili, l’incontro al ministero si trasforma in flash mob
Domani, martedì 15 marzo, avrà luogo, presso il ministero dello Sviluppo economico, l’atteso confronto sul decreto ‘ammazza rinnovabili’ tra i ministri Romani, Galan e Prestigiacomo con operatori del settore, banche, gestori di rete e rappresentanti dei consumatori. Ma al tavolo non siederanno alcune delle principali associazioni del settore
L'incontro al ministero si trasforma in flash mob
Dopo la grande manifestazione di giovedì scorso al teatro Quirino di Roma e quella che centinaia di lavoratori e imprenditori delle rinnovabili hanno organizzato stamattina a Padova prosegue la mobilitazione del popolo delle rinnovabili contro il decreto legislativo ‘ammazza rinnovabili’ approvato dal Governo il 3 marzo scorso. Questa volta l’appuntamento è per domani, 15 marzo, davanti al ministero dello Sviluppo economico, in occasione della riunione che il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, insieme ai colleghi dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e dell’Agricoltura Giancarlo Galan, ha convocato presso il dicastero di via Veneto, con i principali rappresentanti del settore bancario, dei gestori di rete, delle associazioni dei consumatori e solo alcuni rappresentanti del settore delle energie rinnovabili.
Quella che era attesa da tutti come un’occasione di chiarimento si trasformerà dunque in flash mob davanti al ministero in quanto il Governo, nonostante il successo delle manifestazioni dei giorni scorsi e la mobilitazione su internet, si ostina a non voler ascoltare: all’incontro infatti non sono state convocate alcune delle principali associazioni di categoria. Anzi gran parte degli operatori del settore risulteranno esclusi dal confronto di domani. A parziale riparazione il ministro Prestigiacomo, ha annunciato in un comunicato che si terrà un nuovo incontro mercoledì pomeriggio, questa volta presso il suo dicastero, ma anche questa volta riservato solo ad alcune delle associazioni del settore: Anie (Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche), Aper (Associazione produttori energia da fonti rinnovabili), Anter (Associazione nazionale tutela energie rinnovabili), Vera online (Relazioni e strategie per l’impresa responsabile) e Asso Energie future.
Grande esclusa è Assosolare, che in una nota esprime la sua indignazione per non essere stata invitata né “al tavolo convocato domani dal Ministro Romani” né “all’incontro di mercoledì con il ministero dell’Ambiente”. Eppure, spiega Gianni Chianetta, presidente dell’associazione, “il nostro obiettivo è quello di far ripartire al più presto il mercato e tutelare gli investimenti in corso: proprio per questo riteniamo che per definire un nuovo schema di incentivi sia necessario e imprescindibile un dialogo propositivo e costruttivo con le maggiori associazioni del settore, di cui Assosolare è uno dei principali esponenti riunendo le aziende più rappresentative del settore”.
Ma gli incontri non si esauriranno domani. Il ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani ha previsto un momento di confronto anche con le Regioni fissato per il 23 marzo. Intanto, si annuncia ricca anche l’agenda parlamentare: sempre per mercoledì 16 marzo, in Aula alla Camera, si svolgerà il voto sulle mozioni sulle energie rinnovabili. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Al momento sono state presentate due mozioni, una dal Partito democratico e l’altra di Futuro e Libertà: entrambe impegnano il governo a rivedere il decreto per tutelare gli investimenti gia' programmati dalle aziende del settore e accordati dalle banche. (f.n.)
Fonte www.zeroemission.eu
Domani, martedì 15 marzo, avrà luogo, presso il ministero dello Sviluppo economico, l’atteso confronto sul decreto ‘ammazza rinnovabili’ tra i ministri Romani, Galan e Prestigiacomo con operatori del settore, banche, gestori di rete e rappresentanti dei consumatori. Ma al tavolo non siederanno alcune delle principali associazioni del settore
L'incontro al ministero si trasforma in flash mob
Dopo la grande manifestazione di giovedì scorso al teatro Quirino di Roma e quella che centinaia di lavoratori e imprenditori delle rinnovabili hanno organizzato stamattina a Padova prosegue la mobilitazione del popolo delle rinnovabili contro il decreto legislativo ‘ammazza rinnovabili’ approvato dal Governo il 3 marzo scorso. Questa volta l’appuntamento è per domani, 15 marzo, davanti al ministero dello Sviluppo economico, in occasione della riunione che il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, insieme ai colleghi dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo e dell’Agricoltura Giancarlo Galan, ha convocato presso il dicastero di via Veneto, con i principali rappresentanti del settore bancario, dei gestori di rete, delle associazioni dei consumatori e solo alcuni rappresentanti del settore delle energie rinnovabili.
Quella che era attesa da tutti come un’occasione di chiarimento si trasformerà dunque in flash mob davanti al ministero in quanto il Governo, nonostante il successo delle manifestazioni dei giorni scorsi e la mobilitazione su internet, si ostina a non voler ascoltare: all’incontro infatti non sono state convocate alcune delle principali associazioni di categoria. Anzi gran parte degli operatori del settore risulteranno esclusi dal confronto di domani. A parziale riparazione il ministro Prestigiacomo, ha annunciato in un comunicato che si terrà un nuovo incontro mercoledì pomeriggio, questa volta presso il suo dicastero, ma anche questa volta riservato solo ad alcune delle associazioni del settore: Anie (Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche), Aper (Associazione produttori energia da fonti rinnovabili), Anter (Associazione nazionale tutela energie rinnovabili), Vera online (Relazioni e strategie per l’impresa responsabile) e Asso Energie future.
Grande esclusa è Assosolare, che in una nota esprime la sua indignazione per non essere stata invitata né “al tavolo convocato domani dal Ministro Romani” né “all’incontro di mercoledì con il ministero dell’Ambiente”. Eppure, spiega Gianni Chianetta, presidente dell’associazione, “il nostro obiettivo è quello di far ripartire al più presto il mercato e tutelare gli investimenti in corso: proprio per questo riteniamo che per definire un nuovo schema di incentivi sia necessario e imprescindibile un dialogo propositivo e costruttivo con le maggiori associazioni del settore, di cui Assosolare è uno dei principali esponenti riunendo le aziende più rappresentative del settore”.
Ma gli incontri non si esauriranno domani. Il ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani ha previsto un momento di confronto anche con le Regioni fissato per il 23 marzo. Intanto, si annuncia ricca anche l’agenda parlamentare: sempre per mercoledì 16 marzo, in Aula alla Camera, si svolgerà il voto sulle mozioni sulle energie rinnovabili. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Al momento sono state presentate due mozioni, una dal Partito democratico e l’altra di Futuro e Libertà: entrambe impegnano il governo a rivedere il decreto per tutelare gli investimenti gia' programmati dalle aziende del settore e accordati dalle banche. (f.n.)
Fonte www.zeroemission.eu
lunedì 14 marzo 2011
Mercoledi' 16 marzo voto alla camera su mozioni decreto rinnovabili
(ASCA) - Roma, 14 mar - E' stato calendarizzato per mercoledi' 16 marzo, in Aula alla Camera, il voto sulle mozioni sulle energie rinnovabili. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Al momento sono state presentate due mozioni, una dal Pd e l'altra dal Fli, che impegnano il governo a rivedere il decreto per tutelare gli investimenti gia' programmati dalle aziende del settore e accordati dalle banche.
Il voto di mercoledi' sulle mozioni sulle energie rinnovabili ha preso il posto delle votazioni sulla proposte di legge sui piccoli comuni, che viene rimandata alla prossima settimana. ''Tutto il mondo delle imprese che si occupa di energie rinnovabili ha preso una batosta dalla scelta del governo sugli incentivi. Le rinunce di ordini immediate - ha spiegato il capogruppo Pd, Dario Franceschini - stanno colpendo un settore in cui, invece, nel nostro Paese si dovrebbe piu' che mai investire. Molti esponenti della maggioranza hanno detto di non essere d'accordo con il decreto ed ora hanno un'occasione per farsi sentire''. La mozione del Pd ''impegna il governo ad eliminare dal testo le norme che hanno fatto saltare migliaia di ordini''. Anche il capogruppo del Fli, Benedetto della Vedova, premettendo di non voler aprire polemiche sul nucleare, ha spiegato che ''va rilanciato l'impegno specifico del governo per accelerare una risposta in relazione agli investimenti in corso o gia' autorizzati e rispetto ai quali molte banche, soprattutto straniere, hanno ora avanzato perplessita'''.
ASCA) - Roma, 14 mar - Il Gruppo Udc alla Camera ha presentato una mozione sulla energie rinnovabili per chedere al governo di modificare il decreto che ha bloccato gli incentivi. ''Occorre dare certezze sia a coloro che hanno investito e stanno investendo - spiega Mauro Libe', primo firmatario della mozione - sia per non scoraggiare gli investimenti dall'estero''. Libe' sottolinea inoltre che ''e' necessario rivedere il sistema degli incentivi, questione sulla quale il Governo dovrebbe riflettere per dare indicazioni positive al settore, e aprire un tavolo di concertazione con associazioni e istituti di credito''.
Il voto di mercoledi' sulle mozioni sulle energie rinnovabili ha preso il posto delle votazioni sulla proposte di legge sui piccoli comuni, che viene rimandata alla prossima settimana. ''Tutto il mondo delle imprese che si occupa di energie rinnovabili ha preso una batosta dalla scelta del governo sugli incentivi. Le rinunce di ordini immediate - ha spiegato il capogruppo Pd, Dario Franceschini - stanno colpendo un settore in cui, invece, nel nostro Paese si dovrebbe piu' che mai investire. Molti esponenti della maggioranza hanno detto di non essere d'accordo con il decreto ed ora hanno un'occasione per farsi sentire''. La mozione del Pd ''impegna il governo ad eliminare dal testo le norme che hanno fatto saltare migliaia di ordini''. Anche il capogruppo del Fli, Benedetto della Vedova, premettendo di non voler aprire polemiche sul nucleare, ha spiegato che ''va rilanciato l'impegno specifico del governo per accelerare una risposta in relazione agli investimenti in corso o gia' autorizzati e rispetto ai quali molte banche, soprattutto straniere, hanno ora avanzato perplessita'''.
ASCA) - Roma, 14 mar - Il Gruppo Udc alla Camera ha presentato una mozione sulla energie rinnovabili per chedere al governo di modificare il decreto che ha bloccato gli incentivi. ''Occorre dare certezze sia a coloro che hanno investito e stanno investendo - spiega Mauro Libe', primo firmatario della mozione - sia per non scoraggiare gli investimenti dall'estero''. Libe' sottolinea inoltre che ''e' necessario rivedere il sistema degli incentivi, questione sulla quale il Governo dovrebbe riflettere per dare indicazioni positive al settore, e aprire un tavolo di concertazione con associazioni e istituti di credito''.
Militari sauditi in Bahrein
Bahrein, arrivano i militari sauditi
L'opposizione: "Atto di guerra"
L'intervento deciso dal Consiglio di cooperazione del Golfo su richiesta del regno per supportare la repressione delle manifestazioni di piazza. Anche gli Emirati inviano truppe. Dopo i violenti scontri, gli oppositori sciiti tornano in piazza a Manama
MANAMA - Sono oltre mille i soldati sauditi arrivati nel Bahrein per contribuire all'ordine pubblico dopo le proteste della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita dei Khalifa, da oltre due secoli al potere.
L'intervento, che fa fa parte di un'operazione decisa dal Consiglio di Cooperazione del Golfo per il ripristino della sicurezza nel regno-arcipelago, è stato definito un "atto di guerra" dall'opposizione sciita.
Dopo i violenti scontri che domenica a Manama hanno provocato 200 feriti, i manifestanti dell'opposizione si sono radunati davanti all'imponente complesso del Financial Harbour, nel distretto finanziario, considerato il simbolo della corruzione del Paese. Negozi e uffici sono stati costretti alla chiusura mentre le vie che conducono al distretto sono state bloccate dalla folla. Poco più in là, altri manifestanti proseguivano il sit-in permanente che da un mese anima Piazza delle Perle, epicentro della protesta.
E dopo l'Arabia Saudita, anche gli Emirati Arabi Uniti hanno iniziato a inviare truppe in Bahrein, per contribuire a "mantenere l'ordine e la stabilità" nella zona. Dagli Usa, l'amministrazione Obama ha invitato il Consiglio di cooperazione del Golfo a "rispettare i manifestanti in Bahrein".
A confermare la presenza di truppe straniere in Bahrein è stato un ufficiale saudita, secondo cui i soldati di Riad sono arrivati domenica. Il governo di Manama, tuttavia, non ha ancora confermato la notizia. Intanto, è insorta l'opposizione sciita la quale ha avvertito che qualunque presenza militare straniera verrà ritenuta "un'occupazione". "Consideriamo l'arrivo di soldati o di veicoli militari nel territorio nazionale una palese occupazione del regno del Bahrein e una cospirazione contro il popolo inerme", ha dichiarato l'opposizione in un comunicato.
Con l'esacerbarsi delle proteste negli ultimi giorni, era stato il governo di Manama a chiedere il sostegno degli alleati sunniti del Golfo, primo fra tutti il re saudita Abdullah. Una richiesta subito accolta dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc), organismo composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar e Oman, oltre che dal Bahrein. Il quotidiano Gulf News, molto vicino all'esecutivo di Manama, ha riferito che le truppe messe a disposizione dal Gcc avranno l'obiettivo di contribuire al ripristino della sicurezza nel Paese ma anche quello di proteggere le infrastrutture strategiche. Tra queste, le centrali petrolifere ed elettriche ma anche i centri finanziari e bancari, considerato che il Bahrein è una delle principale piazze commerciali del Golfo.
Fonte www.repubblica.it
L'opposizione: "Atto di guerra"
L'intervento deciso dal Consiglio di cooperazione del Golfo su richiesta del regno per supportare la repressione delle manifestazioni di piazza. Anche gli Emirati inviano truppe. Dopo i violenti scontri, gli oppositori sciiti tornano in piazza a Manama
MANAMA - Sono oltre mille i soldati sauditi arrivati nel Bahrein per contribuire all'ordine pubblico dopo le proteste della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita dei Khalifa, da oltre due secoli al potere.
L'intervento, che fa fa parte di un'operazione decisa dal Consiglio di Cooperazione del Golfo per il ripristino della sicurezza nel regno-arcipelago, è stato definito un "atto di guerra" dall'opposizione sciita.
Dopo i violenti scontri che domenica a Manama hanno provocato 200 feriti, i manifestanti dell'opposizione si sono radunati davanti all'imponente complesso del Financial Harbour, nel distretto finanziario, considerato il simbolo della corruzione del Paese. Negozi e uffici sono stati costretti alla chiusura mentre le vie che conducono al distretto sono state bloccate dalla folla. Poco più in là, altri manifestanti proseguivano il sit-in permanente che da un mese anima Piazza delle Perle, epicentro della protesta.
E dopo l'Arabia Saudita, anche gli Emirati Arabi Uniti hanno iniziato a inviare truppe in Bahrein, per contribuire a "mantenere l'ordine e la stabilità" nella zona. Dagli Usa, l'amministrazione Obama ha invitato il Consiglio di cooperazione del Golfo a "rispettare i manifestanti in Bahrein".
A confermare la presenza di truppe straniere in Bahrein è stato un ufficiale saudita, secondo cui i soldati di Riad sono arrivati domenica. Il governo di Manama, tuttavia, non ha ancora confermato la notizia. Intanto, è insorta l'opposizione sciita la quale ha avvertito che qualunque presenza militare straniera verrà ritenuta "un'occupazione". "Consideriamo l'arrivo di soldati o di veicoli militari nel territorio nazionale una palese occupazione del regno del Bahrein e una cospirazione contro il popolo inerme", ha dichiarato l'opposizione in un comunicato.
Con l'esacerbarsi delle proteste negli ultimi giorni, era stato il governo di Manama a chiedere il sostegno degli alleati sunniti del Golfo, primo fra tutti il re saudita Abdullah. Una richiesta subito accolta dal Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc), organismo composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait, Qatar e Oman, oltre che dal Bahrein. Il quotidiano Gulf News, molto vicino all'esecutivo di Manama, ha riferito che le truppe messe a disposizione dal Gcc avranno l'obiettivo di contribuire al ripristino della sicurezza nel Paese ma anche quello di proteggere le infrastrutture strategiche. Tra queste, le centrali petrolifere ed elettriche ma anche i centri finanziari e bancari, considerato che il Bahrein è una delle principale piazze commerciali del Golfo.
Fonte www.repubblica.it
domenica 13 marzo 2011
Padova lunedi' 14 marzo sciopero Fiom, per il fotovoltaico contro il nucleare
Padova - Sciopero a sostegno del fotovoltaico contro il nucleare
Lunedì 14 marzo iniziativa sotto la Confindustria.
11 / 3 / 2011
Il decreto legislativo del governo che blocca gli incentivi per gli impianti fotovoltaici non solo mette in ginocchio l'intero settore e l'indotto, ma anche rappresenta una chiara scelta di sostegno al nucleare contro l'indipendenza energetica.
Nella provincia di Padova si concentrano molte imprese del fotovoltaico che complessivamente a livello nazionale impiegano 100.000 addetti, senza contare i lavoratori dell'indotto.
La FIOM, insieme ad altre sigle sindacali ha proclamato uno sciopero ed indetto un'iniziativa sotto la Confindustria. Un'occasione di mobilitazione non solo dei lavoratori ma anche dei cittadini per riaffermare che le alternative energetiche non possono essere sacrificate al monopolio, grave ed inaccettabile, di un futuro nucleare.
Il Comitato Vota Sì contro il nucleare del Veneto, insieme ad associazioni, cittadini parteciperà all'iniziativa aPadova .
Padova: lunedì 14 marzo ore 9.00 tutti sotto la Confindustria
Andre Donegà della Segreteria FIOM di Padova spiega le ragioni dello sciopero ed invita alla partecipazione.
Ascolta l'audio
D.:Lunedì mattina a Padova si terrà uno sciopero particolare: quello del comparto legato alla produzione di tecnologia per il fotovoltaico.Vogliamo capire la natura e le motivazioni profonde di questo sciopero.
Andrea Donegà: Lo sciopero di lunedì è per protestare contro la scelta del Governo di togliere gli incentivi. E' una scelta sciagurata che porta al blocco completo dell'unico settore che negli ultimi anni ha prodotto qualità, energia pulita e occupazione di qualità.
Si tratta del settore del fotovoltaico, particolarmente significativo nella provincia di Padova.
Abbiamo la fortuna, dal nostro punto di vista, di avere nel nostro territorio, un grande numero di imprese, di esperienze positive di aziende leader nella produzione di pannelli e delle celle fotovoltaiche. Queste aziende, con il decreto che ha firmato recentemente questo governo, sono bloccate e rischiano nel breve periodo la cassaintegrazione e, in prospettiva, se dovesse durare una situazione così grave di incertezza ,anche qualcosa di più grave.
L'assurdo di questo decreto passa attraverso due fatti, due tagli.
Il primo è il blocco degli incentivi che erano già stati approvati. Le persone che avevano fatto degli investimenti per l'autoproduzione
tramite i pannelli fotovoltaici di energia elettrica, si trovano a non avere più garantiti gli incentivi e quindi i livelli di ritorno economico sul conto energia promessi loro non più tardi dell'agosto scorso.
Solo gli impianti che verranno messi in esercizio entro il 31 maggio potranno godere di quelle tariffe.
Il secondo è che per tutti gli altri le tariffe che sono ancora da definire.
Il blocco agli incentivi agli impiani in esecizio fino al 31 maggio determina un tempo troppo breve per poter terminare gli impianti che sono già stati ordinati.. Assistiamo, quindi, ad un blocco dei cantieri già in piedi oppure ad una corsa per cercare di arrivare dentro una data che è troppo ravvicinata.
Chi farà impianti in data successiva ha la totale incertezza su quali saranno gli incentivi. Il governo parla genericamente di incentivi da definirsi entro il 30 aprile ma se consideriamo che ci hanno messo un anno e mezzo a fare il decreto precedente, è impensabile che possano definire qualcosa.
Sostanzialmente si tratta di congelamento di questo settore che è davvero un settore su cui puntiamo molto come FIOM.
D.: E' un settore, che tu dicevi, nel nostro bacino produttivo padovano è importante perchè risponde a una necessità di produzione in settori innovativi. Questi tagli del governo, se li vediamo alla luce più complessiva di tutti i discorsi che ci vengono fatti sul rilancio del sistema italia, come li possiamo interpretare?
R.: Si possono interpretare in più modi.
Si sta tagliando un settore nuovo, un settore giovane che sta crescendo a volumi incredibili e che, come tutti i giovani settori ha bisogno di essere incentivato come accade dapperttutto.
Questa scelta fa pensare, ovviamente. Viste le reazioni di Confindustria è un opzione tutta politica. Un'opzione sciagurata che si inserisce nella scelta di andare verso l'energia nucleare.
E' in atto da mesi una campagna mediatica fatta di assurda demonizzazione delle energie pulite e questo è il colpo finale, secondo noi.
Il fotovoltaico è un'energia assolutamente democratica, nel senso che in Italia, per esempio, ci sono 140.000 piccoli produttori che creano, con piccoli pannelli, con piccole superfici e con piccoli investimenti una sorta di autoproduzione. Ma la logica di uscire dal monopolio e dagli oligopoli non piace molto a questo governo .
D.: Questa questione lega perciò gli interessi di una parte dei lavoratori, quelli impegnati nel settore, anche con i consumatori, con chi, giustamente, come dicevi tu, ha scelto l'indipendenza energetica per creare un'alternativa alla gestione monopolistica e centralizzata della produzione di energia. Voi, da questo punto di vista, lo sciopero di lunedì lo vedete anche come possibilità di collegare i due aspetti?
R.: Certamente si, anche dal punto di vista di collegarci ad un'idea diversa di modello di sviluppo.
Questo modello di sviluppo ci sta mettendo alle strette, ci sta chiedendo di rinunciare a diritti, ci sta chiedendo di rinunciare al nostro territorio, ci sta comprimendo in uno spazio sempre più piccolo in cui vive sempre di più la paura e l'incertezza.
L'energia pulita, la cosiddetta "green economy", ci da la possibilità di fare parte di un sistema più generale di idee per uno sviluppo diverso, per un sistema energetico diverso.
Stiamo parlando di una politica industriale ed economica diversa, sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista sociale. Questo insieme di scelte sono l'unico elemento che ci può dare un'alternativa ad un sistema che ci vuole solo consumatori e autodistruttori del nostro pianeta delle nostre relazioni, delle nostre culture.
Per noi questa prospettiva la vedo connessa alle tante altre lotte che stiamo facendo per evitare che ci vengano tolti il diritto all'acqua, il diritto alla cultura, il diritto al lavoro.
Fa parte di tutte proposte ed iniziative che mai come ora sono necessarie da portare avanti.
D.: L'ultima cosa, specifica. Con lo sciopero di lunedì che cosa si chiede?
R.:Si chiede di ritirare immediatamente il decreto e di modificarlo. Sono possibili delle modifiche immediate, che sostanzialmente non costano nulla e darebbero più certezza al settore.
Si potrebbe banalmente spostare la data del 31 maggio al 31 dicembre, che è un tempo ragionevole per terminare gli impianti che sono già stati progettati ed evitare il blocco dei finanziamenti.
Riguardo al futuro, bisogna dire subito che si farà una modulazione degli incentivi. Una modulazione che deve essere tarata in base alla produzione. In questo momento hanno invece messo un tetto, e questa idea rende sostanzialmente incerto l'investimento, cioè tu fai un investimento ma non puoi sapere a priori se sei dentro o fuori quel tetto.
Come fanno negli altri paesi europei si può dire che a seconda della quantità di enegia prodotta con le rinnovabili si decideranno gli incentivi utilizzando lo schema più aumenta la produzione e meno costa l'energia, e dunque si può progressivamente abbassare l'incentivo.
Mettere un tetto oltre il quale non c'è nessun incentivo, vuol dire ammazzare completamente il settore.
Intervista a cura Associazione Ya Basta
Per saperne di più:
Intervento di Oscar Mancini - Portavoce regionale Comitato Referendario Vota Si per fermare il nucleare
Sito SOS rinnovabili - Salviamo il rinnovabile in Italia
Fonte www.globalproject.info
Lunedì 14 marzo iniziativa sotto la Confindustria.
11 / 3 / 2011
Il decreto legislativo del governo che blocca gli incentivi per gli impianti fotovoltaici non solo mette in ginocchio l'intero settore e l'indotto, ma anche rappresenta una chiara scelta di sostegno al nucleare contro l'indipendenza energetica.
Nella provincia di Padova si concentrano molte imprese del fotovoltaico che complessivamente a livello nazionale impiegano 100.000 addetti, senza contare i lavoratori dell'indotto.
La FIOM, insieme ad altre sigle sindacali ha proclamato uno sciopero ed indetto un'iniziativa sotto la Confindustria. Un'occasione di mobilitazione non solo dei lavoratori ma anche dei cittadini per riaffermare che le alternative energetiche non possono essere sacrificate al monopolio, grave ed inaccettabile, di un futuro nucleare.
Il Comitato Vota Sì contro il nucleare del Veneto, insieme ad associazioni, cittadini parteciperà all'iniziativa aPadova .
Padova: lunedì 14 marzo ore 9.00 tutti sotto la Confindustria
Andre Donegà della Segreteria FIOM di Padova spiega le ragioni dello sciopero ed invita alla partecipazione.
Ascolta l'audio
D.:Lunedì mattina a Padova si terrà uno sciopero particolare: quello del comparto legato alla produzione di tecnologia per il fotovoltaico.Vogliamo capire la natura e le motivazioni profonde di questo sciopero.
Andrea Donegà: Lo sciopero di lunedì è per protestare contro la scelta del Governo di togliere gli incentivi. E' una scelta sciagurata che porta al blocco completo dell'unico settore che negli ultimi anni ha prodotto qualità, energia pulita e occupazione di qualità.
Si tratta del settore del fotovoltaico, particolarmente significativo nella provincia di Padova.
Abbiamo la fortuna, dal nostro punto di vista, di avere nel nostro territorio, un grande numero di imprese, di esperienze positive di aziende leader nella produzione di pannelli e delle celle fotovoltaiche. Queste aziende, con il decreto che ha firmato recentemente questo governo, sono bloccate e rischiano nel breve periodo la cassaintegrazione e, in prospettiva, se dovesse durare una situazione così grave di incertezza ,anche qualcosa di più grave.
L'assurdo di questo decreto passa attraverso due fatti, due tagli.
Il primo è il blocco degli incentivi che erano già stati approvati. Le persone che avevano fatto degli investimenti per l'autoproduzione
tramite i pannelli fotovoltaici di energia elettrica, si trovano a non avere più garantiti gli incentivi e quindi i livelli di ritorno economico sul conto energia promessi loro non più tardi dell'agosto scorso.
Solo gli impianti che verranno messi in esercizio entro il 31 maggio potranno godere di quelle tariffe.
Il secondo è che per tutti gli altri le tariffe che sono ancora da definire.
Il blocco agli incentivi agli impiani in esecizio fino al 31 maggio determina un tempo troppo breve per poter terminare gli impianti che sono già stati ordinati.. Assistiamo, quindi, ad un blocco dei cantieri già in piedi oppure ad una corsa per cercare di arrivare dentro una data che è troppo ravvicinata.
Chi farà impianti in data successiva ha la totale incertezza su quali saranno gli incentivi. Il governo parla genericamente di incentivi da definirsi entro il 30 aprile ma se consideriamo che ci hanno messo un anno e mezzo a fare il decreto precedente, è impensabile che possano definire qualcosa.
Sostanzialmente si tratta di congelamento di questo settore che è davvero un settore su cui puntiamo molto come FIOM.
D.: E' un settore, che tu dicevi, nel nostro bacino produttivo padovano è importante perchè risponde a una necessità di produzione in settori innovativi. Questi tagli del governo, se li vediamo alla luce più complessiva di tutti i discorsi che ci vengono fatti sul rilancio del sistema italia, come li possiamo interpretare?
R.: Si possono interpretare in più modi.
Si sta tagliando un settore nuovo, un settore giovane che sta crescendo a volumi incredibili e che, come tutti i giovani settori ha bisogno di essere incentivato come accade dapperttutto.
Questa scelta fa pensare, ovviamente. Viste le reazioni di Confindustria è un opzione tutta politica. Un'opzione sciagurata che si inserisce nella scelta di andare verso l'energia nucleare.
E' in atto da mesi una campagna mediatica fatta di assurda demonizzazione delle energie pulite e questo è il colpo finale, secondo noi.
Il fotovoltaico è un'energia assolutamente democratica, nel senso che in Italia, per esempio, ci sono 140.000 piccoli produttori che creano, con piccoli pannelli, con piccole superfici e con piccoli investimenti una sorta di autoproduzione. Ma la logica di uscire dal monopolio e dagli oligopoli non piace molto a questo governo .
D.: Questa questione lega perciò gli interessi di una parte dei lavoratori, quelli impegnati nel settore, anche con i consumatori, con chi, giustamente, come dicevi tu, ha scelto l'indipendenza energetica per creare un'alternativa alla gestione monopolistica e centralizzata della produzione di energia. Voi, da questo punto di vista, lo sciopero di lunedì lo vedete anche come possibilità di collegare i due aspetti?
R.: Certamente si, anche dal punto di vista di collegarci ad un'idea diversa di modello di sviluppo.
Questo modello di sviluppo ci sta mettendo alle strette, ci sta chiedendo di rinunciare a diritti, ci sta chiedendo di rinunciare al nostro territorio, ci sta comprimendo in uno spazio sempre più piccolo in cui vive sempre di più la paura e l'incertezza.
L'energia pulita, la cosiddetta "green economy", ci da la possibilità di fare parte di un sistema più generale di idee per uno sviluppo diverso, per un sistema energetico diverso.
Stiamo parlando di una politica industriale ed economica diversa, sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista sociale. Questo insieme di scelte sono l'unico elemento che ci può dare un'alternativa ad un sistema che ci vuole solo consumatori e autodistruttori del nostro pianeta delle nostre relazioni, delle nostre culture.
Per noi questa prospettiva la vedo connessa alle tante altre lotte che stiamo facendo per evitare che ci vengano tolti il diritto all'acqua, il diritto alla cultura, il diritto al lavoro.
Fa parte di tutte proposte ed iniziative che mai come ora sono necessarie da portare avanti.
D.: L'ultima cosa, specifica. Con lo sciopero di lunedì che cosa si chiede?
R.:Si chiede di ritirare immediatamente il decreto e di modificarlo. Sono possibili delle modifiche immediate, che sostanzialmente non costano nulla e darebbero più certezza al settore.
Si potrebbe banalmente spostare la data del 31 maggio al 31 dicembre, che è un tempo ragionevole per terminare gli impianti che sono già stati progettati ed evitare il blocco dei finanziamenti.
Riguardo al futuro, bisogna dire subito che si farà una modulazione degli incentivi. Una modulazione che deve essere tarata in base alla produzione. In questo momento hanno invece messo un tetto, e questa idea rende sostanzialmente incerto l'investimento, cioè tu fai un investimento ma non puoi sapere a priori se sei dentro o fuori quel tetto.
Come fanno negli altri paesi europei si può dire che a seconda della quantità di enegia prodotta con le rinnovabili si decideranno gli incentivi utilizzando lo schema più aumenta la produzione e meno costa l'energia, e dunque si può progressivamente abbassare l'incentivo.
Mettere un tetto oltre il quale non c'è nessun incentivo, vuol dire ammazzare completamente il settore.
Intervista a cura Associazione Ya Basta
Per saperne di più:
Intervento di Oscar Mancini - Portavoce regionale Comitato Referendario Vota Si per fermare il nucleare
Sito SOS rinnovabili - Salviamo il rinnovabile in Italia
Fonte www.globalproject.info
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