giovedì 16 giugno 2011

La crisi greca incrina l' Europa

La crisi greca sta passando il confine tra i problemi risolvibili e quelli che non hanno soluzione, ma anche quello tra problemi “locali” e quelli “sistemici”. Così come, in questi anni, è stato passato il confine tra crisi nel sistema finanziario “privato” e suo trasferimento nella finanza pubblica.


L'elemento critico più grave è dato dalla frattura tra Banca centrale europea e stati nazionali, che corrisponde a un conflitto tra “logiche”, oltre che fra interessi. Gli stati – a partire dalla Germania – sono favorevoli a un nuovo piano di “aiuti” ad Atene, ma a condizione che una parte della spesa sia accollata ai “privati”. Fuor di metafora, alle banche che hanno in cassaforte titoli di stato greci, cui viene proposto di sostituire i titoli in scadenza con altri con gli stessi rendimenti e scadenza a sette anni.

Tecnicamente, dicono le agenzie di rating, è un fallimento vero e proprio; e quindi hanno lancia un “avvertimento” mafiosetto a diverse grandi banche europee (quasi tutte francesi, però, quelle i cui nomi sono stati resi noti; Societé Generale, Bnp Paribas, Credit Agricole). La Bce, al contrario, vorrebbe tenere fuori dai rischi proprio “i privati”.

Il secondo elemento di crisi è la divisione esistente tra gli stessi stati nazionali, che ha impedito fino all'Eurogruppo di trovare una linea d'azione comune sulla “seconda tranche di aiuti” (la prima è stata di 110 miliardi, ne servono – pare – altri 80).Il commissario Ue Olli Rehn, lanciando un appello ai 27 «per superare le attuali divisioni», stamattina ha spiegato che, per il salvataggio della Grecia, ci sarà un intervento in due tempi: ma domenica prossima bisognerà dare il via libera alla tranche da 12 miliardi, mentre l'11 luglio si dovrà decidere sulla partecipazione dei privati al secondo intervento.

Fratture che hanno immediati effetti sistemici. Si è indebolito l'euro (nei confronti del franco svizzero, nel giro di poco più di un anno, si è passati da un cambio 1,50 all'1,20 di ieri), cadono le borse, vanno in sofferenza le banche esposte verso la Grecia (anche quelle tedesche, dunque).

Più in generale perde credibilità lo stesso progetto di un'Europa unitaria. Non solo perché da Atene a Barcellona – passando per le elezioni amministrative e i referendum italiani – i popoli mostrano un'insofferenza crescente per i costi della crisi che vengono scaricati loro addosso “per salvare i privati” (le banche); cosa che comunque ha un peso di cui tener conto per chi, come noi, punta a tutt'altre “soluzioni” della crisi capitalistica. Ma proprio perché questa unità europea – incentrata sugli interessi del sistema finanziario e l'abbandono del “modello europeo” di welfare – non riesce a risolvere alcune problema. Anzi, ne crea di nuovi e più gravi.

Ora, ad Atene, Papandreou – alle prese con lo sfarinamento della propria maggioranza parlamentare assediata dalla piazza – ha tentato di varare un nuovo governo di “salvezza nazionale”, imbarcando anche i conservatori di Nea Demokratia (quelli che, nella precedente legislatura, avevano truccato i conti pubblici, facendo esplodere l'ammontare del debito fino ai livelli attuali), forse nella speranza di non avere un'opposizione politica forte in parlamento contro il piano di “austerità”. Ha dovuto ripiegare su un più banale “rimpasto”, e la nomina dei nuovi ministri dovrebbe avvenire entro stasera.

Fonte www.contropiano.org

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