Oggi, venerdi 29 aprile, vicino a Piazza Venezia, in Piazza S.S.Apostoli, vedo tre o quattro mezzi delle forze dell' ordine, cerco di capire chi e' che manifesta, vedo qualche bandiera colorata, potrebbero essere anche bandiere egiziane, mi avvicino. Le transenne dividono Pzza Santi Apostoli dalla strada, non so come si chiama, che da Piazza Venezia sale verso via Nazionale. Chiedo a due persone se parlano italiano e chi sono i manifestanti, sono indubbiamente arabi, ma non conosco la bandiera. Mi dicono che sono siriani, venuti quasi tutti da Milano e vorrebbero andare a fare un sit-in davanti alla loro Ambasciata . Vedo con molto piacere che c'e' anche una bandiera della pace, retta da un giovane anche lui di origine araba. Vedo alcune persone di un gruppo antirazzista e vorrei andare a salutarli. Le transenne chiudono pero' la strada senza lasciare spazio per il passaggio, un giovane dall' interno cerca di aprirmi un varco. La polizia mi dice che posso entrare nella piazza passando dall' altro lato della strada, dove e' stato lasciato un passaggio. Sto dieci minuti, i manifestanti siriani parlano con la polizia ma non li fanno passare. Indubbiamente oggi a Roma non e' la giornata ideale per fare sit-in nel centro con la folla di fedeli venuti da tutto il mondo per la beatificazione di Papa Woitila. Ma forse i siriani non hanno scelto di manifestare oggi per caso, ma perche' in questi giorni la situazione nel loro paese sta precipitando, la gente muore e qualcuno dei presenti non riesce a contattare i familiari rimasti in patria.
Vado via un po' rattristato, a febbraio i manifestanti libici addirittura riuscirono (?) a mettere la bandiera dei ribelli sul cancello della loro Ambasciata. Anche questi giovani siriani, venuti quasi tutti da Milano, meritavano di urlare sotto la loro Ambasciata tutta la loro rabbia.
Hanno trovato il giorno sbagliato e forse non tutte le Ambasciate hanno una posizione favorevole ai sit-in. Mentre aspetto il bus vedo che i blindati della polizia nascondono completamente la vista dei manifestanti alla folla che si aggira in quelle strade. l' unica cosa che posso fare e' raccontare a poche persone di questi ragazzi, ma ricordo a tutti anche che i nostri governanti non hanno ricevuto il Dalai Lama per non infastidire i dittatori cinesi (mi sembra che questo lo abbia fatto Prodi) e poche settimane fa non si voleva disturbare Gheddafi neanche con una telefonata mentre ora bombardiamo il suo paese e la sua gente.
Nessuna guerra e' giusta, tanto meno umanitaria.
venerdì 29 aprile 2011
giovedì 28 aprile 2011
Liberazione - Cosi' impediremo lo scippo del Referendum
Quello che segue e' la prima parte dell' editoriale di Liberazione di venerdi' 29 aprile.
Così impediremo lo scippo dei referendum
Tommaso Sodano
Ipocrisia, furbizia e indecenza sono le espressioni che vengono alla mente dopo le ultime iniziative del Governo e le dichiarazioni di Berlusconi sul nucleare e sui Referendum.
Mercoledì della scorsa settimana il Senato ha approvato un emendamento del Governo, all’interno del decreto legge “Omnibus”, con l’obiettivo dichiarato di evitare il referendum sul nucleare. Ora il testo deve essere approvato dalla Camera (senza modifiche, altrimenti tornerebbe al Senato) e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Solo a quel punto l’Ufficio centrale sui Referendum della Cassazione dovrà decidere se i quesiti referendari sono stati assorbiti o meno dalle modifiche legislative. La scadenza del decreto è il 30 maggio e quindi, anche considerando una corsia preferenziale al testo, ragionevolmente si avrà la certezza sullo svolgimento del Referendum a fine maggio, primi di giugno, dunque a pochissimi giorni dal voto.
Ma il testo dell’emendamento non è chiaro e la partita Referendum è tutta da giocare. Del resto, a dirimere i dubbi sulla effettiva volontà e strategia del Governo ci ha pensato lo stesso Berlusconi, nel corso del vertice italo-francese, dichiarando che «la decisione di una moratoria sul nucleare è stata presa anche per permettere all’opinione pubblica di tranquillizzarsi : un referendum ora porterebbe ad uno stop per anni del nucleare in Italia».
Dunque, sondaggi alla mano, si vuole evitare l’espressione popolare sabotando i Referendum. Berlusconi ha detto testualmente che «se andassimo oggi a quel referendum, il nucleare in Italia non sarebbe possibile per molti anni a venire. Il governo quindi, responsabilmente, ha ritenuto di introdurre questa moratoria per far sì che si chiarisca la situazione giapponese e magari, dopo un anno o due, si possa ritornare ad avere un’opinione pubblica consapevole della necessità di tornare all’energia nucleare»: un vero attacco alla democrazia e alla libera espressione della volontà popolare, a cui strumentalmente si rifà spesso il Cavaliere.
Davanti a tale arroganza e spregio delle regole democratiche bisogna mantenere alta l’attenzione e continuare la campagna referendaria, intrecciandola con le elezioni amministrative per chiedere con forza il mantenimento dei quesiti referendari non essendo stato assorbito, nel testo approvato, lo spirito di quei quesiti: un no netto e chiaro al ritorno del nucleare nel nostro Paese.
Fonte www.liberazione.it
Così impediremo lo scippo dei referendum
Tommaso Sodano
Ipocrisia, furbizia e indecenza sono le espressioni che vengono alla mente dopo le ultime iniziative del Governo e le dichiarazioni di Berlusconi sul nucleare e sui Referendum.
Mercoledì della scorsa settimana il Senato ha approvato un emendamento del Governo, all’interno del decreto legge “Omnibus”, con l’obiettivo dichiarato di evitare il referendum sul nucleare. Ora il testo deve essere approvato dalla Camera (senza modifiche, altrimenti tornerebbe al Senato) e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Solo a quel punto l’Ufficio centrale sui Referendum della Cassazione dovrà decidere se i quesiti referendari sono stati assorbiti o meno dalle modifiche legislative. La scadenza del decreto è il 30 maggio e quindi, anche considerando una corsia preferenziale al testo, ragionevolmente si avrà la certezza sullo svolgimento del Referendum a fine maggio, primi di giugno, dunque a pochissimi giorni dal voto.
Ma il testo dell’emendamento non è chiaro e la partita Referendum è tutta da giocare. Del resto, a dirimere i dubbi sulla effettiva volontà e strategia del Governo ci ha pensato lo stesso Berlusconi, nel corso del vertice italo-francese, dichiarando che «la decisione di una moratoria sul nucleare è stata presa anche per permettere all’opinione pubblica di tranquillizzarsi : un referendum ora porterebbe ad uno stop per anni del nucleare in Italia».
Dunque, sondaggi alla mano, si vuole evitare l’espressione popolare sabotando i Referendum. Berlusconi ha detto testualmente che «se andassimo oggi a quel referendum, il nucleare in Italia non sarebbe possibile per molti anni a venire. Il governo quindi, responsabilmente, ha ritenuto di introdurre questa moratoria per far sì che si chiarisca la situazione giapponese e magari, dopo un anno o due, si possa ritornare ad avere un’opinione pubblica consapevole della necessità di tornare all’energia nucleare»: un vero attacco alla democrazia e alla libera espressione della volontà popolare, a cui strumentalmente si rifà spesso il Cavaliere.
Davanti a tale arroganza e spregio delle regole democratiche bisogna mantenere alta l’attenzione e continuare la campagna referendaria, intrecciandola con le elezioni amministrative per chiedere con forza il mantenimento dei quesiti referendari non essendo stato assorbito, nel testo approvato, lo spirito di quei quesiti: un no netto e chiaro al ritorno del nucleare nel nostro Paese.
Fonte www.liberazione.it
mercoledì 27 aprile 2011
Digiuno contro la guerra e il nucleare promosso dal Movimento Nonviolento, Partecipo aggiungendo qualche mia riflessione e proposta
Il 25 marzo 2011 Il Movimento Nonviolento annunciava con un comunicato stampa un digiuno contro la guerra e il nucleare . La versione integrale del comunicato si puo’ leggere nelle news del 25 marzo di www.nonviolenti.org .Di seguito ne riporto alcuni stralci:
Digiuno: un’ azione nonviolenta per Libia e Giappone, militare e nucleare.
Il Movimento Nonviolento attua e propone un’ azione nonviolenta per opporsi alla guerra e al nucleare. Un digiuno del cibo e della parola.
Libia e Giappone, militare e nucleare, sono due facce della stessa moneta….
…Noi del Movimento Nonviolento vogliamo iniziare con un’ assunzione di responsabilita’ . Mettiamo in campo un’ iniziativa simbolica, ma concreta. Un digiuno del cibo e della parola, un’ azione semplice ma incisiva – se non altro su noi stessi – per riflettere sulla necessita’ di rifiutare la violenza per scegliere la strada della nonviolenza……
…Iniziamo con un digiuno collettivo di 48 ore, sapendo che la nonviolenza e’ contagiosa e altre azioni nonviolente seguiranno nei giorni successivi. Vogliamo con questo dare l’ avvio ad un nuovo modo di “stare in piazza” e di concepire la politica.
Sappiamo bene che la guerra non si ferma con i digiuni. Vogliamo pero’ richiamare l’ attenzione sulla necessita’ di prevenire la prossima, contrastando eserciti e armi che la renderanno possibile, e lavorando per costruire gli strumenti utili per veri interventi umanitari di pace.
Domenica e lunedi’ 27 e 28 marzo, in molte citta’ (Verona, Trento, Venezia, Ferrara, Livorno, Genova, Brescia, Torino, ecc.) gli amici e le amiche della nonviolenza staranno senza cibo e senza parole per:
- Opporsi alla guerra (e alla sua preparazione)
- Opporsi al nucleare (votare Si al referendum)
- Sostenere i Corpi Civili di Pace (veri strumenti di intervento umanitario)
- Sostenere le energie rinnovabili (sole, vento, acqua sono doni gratuiti della natura)
- Proporre una seria riflessione sulla nonviolenza, che e’ la forza della verita’…….
Al digiuno di 48 ore del cibo e della parola promosso dal Movimento Nonviolento e’ seguito un digiuno collettivo a staffetta che a fine aprile ha coinvolto almeno 120 persone. Io ho partecipato mercoledi’ 13 e mercoledi’ 20 aprile con un digiuno del cibo, per ragioni di lavoro mi era impossibile il digiuno della parola.
Intanto in questo mese sono avvenuti fatti nuovi; il Governo, con l’ appoggio della Confindustria (questa e’ una mia opinione ma la ritengo vera e rilevante), vorrebbe far saltare i Referendum sul nucleare e sulla privatizzazione dell’ acqua, inoltre nelle ultime settimane, come era prevedibile, si e’ accresciuta la tensione e la violenza nel NordAfrica e MedioOriente ed e’ aumentato l’ allarme sul rapporto tra offerta e domanda di petrolio tanto che il prezzo del greggio e’ arrivato a 122$/b per il Brent e 112$/b per il WTI e anche il Fondo Monetario Internazionale, nelle sue ultime analisi sull’ economia mondiale, ha dato per scontato il prossimo picco della produzione petrolifera.
Mi propongo quindi di ripetere ogni mercoledi’ fino al 15 giugno il digiuno del cibo, sostituendo al digiuno della parola, per me impossibile, la lettura di testi di Aldo Capitini, Gandhi e Tolstoi.
Condivido i contenuti proposti dal Movimento Nonviolento ma aggiungo altri due temi di riflessione, in parte piu’ legati all’ immediato ma che ritengo indispensabile porre per dare efficacia ad un’ azione di lungo periodo.
- La partita del Referendum sul nucleare come quello contro la privatizzazione dell’ acqua non si gioca solo il 12 e il 13 giugno, ma e’ gia’ iniziata e forse il conflitto piu’ importante e’ quello attuale per evitare la cancellazione dei quesiti referendari, atto prepotente e autoritario, anche se sara’ giustificato da competenti professionisti del diritto e della comunicazione.
- Vorrei attirare l’ attenzione sull’ intreccio tra: - le rivolte, tensioni, guerre, nel NordAfrica e MedioOriente e - la prossima fine della crescita della produzione del petrolio.
Questo intreccio,la contemporanieta’ di processi di diverso tipo, rende molto piu’ rischiosi i focolai di guerra e violenza che purtroppo sono una presenza abituale nel mondo. In questo momento questi drammi ,dolorosissimi ma limitati, rischiano di provocare tragedie di dimensioni molto piu’ grandi, coinvolgendo tutto il mondo nella spirale di violenza, morte e distruzione.
Inoltre rivolgo l’ invito a impegnarsi in questa azione di diguno anche ai non persuasi della cultura e della prassi della nonviolenza che condividono questi obiettivi e vogliono, anche se solo in questa occasione, partecipare all’ azione nonviolenta.
Cerchero’ di fare conoscere queste mie proposte alle persone che frequento, a quelle che sento telefonicamente o via internet. Arrivero’ quindi a poche decine di amici, mi piacerebbe pero’ che questi temi arrivassero e fossero seguiti con continuita' da molte piu’ persone.
Marco
per comunicare l' adesione al digiuno promosso dal Movimento Nonviolento inviare e-mail a azionenonviolenta@sis.it
Digiuno: un’ azione nonviolenta per Libia e Giappone, militare e nucleare.
Il Movimento Nonviolento attua e propone un’ azione nonviolenta per opporsi alla guerra e al nucleare. Un digiuno del cibo e della parola.
Libia e Giappone, militare e nucleare, sono due facce della stessa moneta….
…Noi del Movimento Nonviolento vogliamo iniziare con un’ assunzione di responsabilita’ . Mettiamo in campo un’ iniziativa simbolica, ma concreta. Un digiuno del cibo e della parola, un’ azione semplice ma incisiva – se non altro su noi stessi – per riflettere sulla necessita’ di rifiutare la violenza per scegliere la strada della nonviolenza……
…Iniziamo con un digiuno collettivo di 48 ore, sapendo che la nonviolenza e’ contagiosa e altre azioni nonviolente seguiranno nei giorni successivi. Vogliamo con questo dare l’ avvio ad un nuovo modo di “stare in piazza” e di concepire la politica.
Sappiamo bene che la guerra non si ferma con i digiuni. Vogliamo pero’ richiamare l’ attenzione sulla necessita’ di prevenire la prossima, contrastando eserciti e armi che la renderanno possibile, e lavorando per costruire gli strumenti utili per veri interventi umanitari di pace.
Domenica e lunedi’ 27 e 28 marzo, in molte citta’ (Verona, Trento, Venezia, Ferrara, Livorno, Genova, Brescia, Torino, ecc.) gli amici e le amiche della nonviolenza staranno senza cibo e senza parole per:
- Opporsi alla guerra (e alla sua preparazione)
- Opporsi al nucleare (votare Si al referendum)
- Sostenere i Corpi Civili di Pace (veri strumenti di intervento umanitario)
- Sostenere le energie rinnovabili (sole, vento, acqua sono doni gratuiti della natura)
- Proporre una seria riflessione sulla nonviolenza, che e’ la forza della verita’…….
Al digiuno di 48 ore del cibo e della parola promosso dal Movimento Nonviolento e’ seguito un digiuno collettivo a staffetta che a fine aprile ha coinvolto almeno 120 persone. Io ho partecipato mercoledi’ 13 e mercoledi’ 20 aprile con un digiuno del cibo, per ragioni di lavoro mi era impossibile il digiuno della parola.
Intanto in questo mese sono avvenuti fatti nuovi; il Governo, con l’ appoggio della Confindustria (questa e’ una mia opinione ma la ritengo vera e rilevante), vorrebbe far saltare i Referendum sul nucleare e sulla privatizzazione dell’ acqua, inoltre nelle ultime settimane, come era prevedibile, si e’ accresciuta la tensione e la violenza nel NordAfrica e MedioOriente ed e’ aumentato l’ allarme sul rapporto tra offerta e domanda di petrolio tanto che il prezzo del greggio e’ arrivato a 122$/b per il Brent e 112$/b per il WTI e anche il Fondo Monetario Internazionale, nelle sue ultime analisi sull’ economia mondiale, ha dato per scontato il prossimo picco della produzione petrolifera.
Mi propongo quindi di ripetere ogni mercoledi’ fino al 15 giugno il digiuno del cibo, sostituendo al digiuno della parola, per me impossibile, la lettura di testi di Aldo Capitini, Gandhi e Tolstoi.
Condivido i contenuti proposti dal Movimento Nonviolento ma aggiungo altri due temi di riflessione, in parte piu’ legati all’ immediato ma che ritengo indispensabile porre per dare efficacia ad un’ azione di lungo periodo.
- La partita del Referendum sul nucleare come quello contro la privatizzazione dell’ acqua non si gioca solo il 12 e il 13 giugno, ma e’ gia’ iniziata e forse il conflitto piu’ importante e’ quello attuale per evitare la cancellazione dei quesiti referendari, atto prepotente e autoritario, anche se sara’ giustificato da competenti professionisti del diritto e della comunicazione.
- Vorrei attirare l’ attenzione sull’ intreccio tra: - le rivolte, tensioni, guerre, nel NordAfrica e MedioOriente e - la prossima fine della crescita della produzione del petrolio.
Questo intreccio,la contemporanieta’ di processi di diverso tipo, rende molto piu’ rischiosi i focolai di guerra e violenza che purtroppo sono una presenza abituale nel mondo. In questo momento questi drammi ,dolorosissimi ma limitati, rischiano di provocare tragedie di dimensioni molto piu’ grandi, coinvolgendo tutto il mondo nella spirale di violenza, morte e distruzione.
Inoltre rivolgo l’ invito a impegnarsi in questa azione di diguno anche ai non persuasi della cultura e della prassi della nonviolenza che condividono questi obiettivi e vogliono, anche se solo in questa occasione, partecipare all’ azione nonviolenta.
Cerchero’ di fare conoscere queste mie proposte alle persone che frequento, a quelle che sento telefonicamente o via internet. Arrivero’ quindi a poche decine di amici, mi piacerebbe pero’ che questi temi arrivassero e fossero seguiti con continuita' da molte piu’ persone.
Marco
per comunicare l' adesione al digiuno promosso dal Movimento Nonviolento inviare e-mail a azionenonviolenta@sis.it
giovedì 21 aprile 2011
Napoli,Milano,Palermo,1° maggio, di tutti i colori, con i Comitati Solidali e Antirazzisti
Il 1° maggio i Comitati Solidali e Antirazzisti promuovono degli incontri interregionali a Napoli,Milano e Palermo. Invitano tutti a partecipare a queste manifestazioni che prevedono nella stessa giornata discussioni, musica e festa e tanti singoli e soggetti collettivi hanno gia' aderito. In Italia nel 2011 molti appuntamenti , a cominciare dall' evento piu' grande del Concertone a Roma di Cisl,Uil,Cgil, pongono al centro della giornata, festa mondiale dei lavoratori, le parole patria e tricolore, queste iniziative dei Comitati Solidali e Antirazzisti invece parlano di solidarieta' tra tutte le persone e le diverse provenienze geografiche di ciascuno di noi non avranno nessuna importanza e l' unica conseguenza di impegnarci a comunicare con persone che parlano lingue diverse dalle nostre.
Altro tema centrale della giornata sara' la rivoluzione, i grandi cambiamenti ancora indefiniti che stanno avvenendo nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Mutamenti e conflitti ancora in corso che muteranno in modo rilevante il volto dell' Africa, dell' Europa e di una grande parte dell' Asia e avranno conseguenze in tutto il resto del mondo.
A Napoli ci si vedra' in Piazza del Gesu' alle ore 11.00
A Milano in Piazza Leonardo Da Vinci alle ore 11.00
A Palermo in Piazza Verdi alle ore 16.00
Sono organizzati pullman da molte citta', sicuramente da Roma, Firenze, Torino, Bologna, Genova.
Altro tema centrale della giornata sara' la rivoluzione, i grandi cambiamenti ancora indefiniti che stanno avvenendo nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Mutamenti e conflitti ancora in corso che muteranno in modo rilevante il volto dell' Africa, dell' Europa e di una grande parte dell' Asia e avranno conseguenze in tutto il resto del mondo.
A Napoli ci si vedra' in Piazza del Gesu' alle ore 11.00
A Milano in Piazza Leonardo Da Vinci alle ore 11.00
A Palermo in Piazza Verdi alle ore 16.00
Sono organizzati pullman da molte citta', sicuramente da Roma, Firenze, Torino, Bologna, Genova.
lunedì 18 aprile 2011
Decreto rinnovabili,Romani-20 aprile sciopero di Fim,Fiom,Uilm.
Energie rinnovabili. Fim, Fiom, Uilm: “Non spegnete il sole”. Mercoledì 20 aprile, sciopero nel settore che produce apparecchiature per il fotovoltaico e manifestazione nazionale a Roma
Le Segreterie nazionali dei sindacati metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil hanno diffuso oggi il seguente comunicato.
“Mercoledì 20 aprile si svolgerà il primo sciopero nazionale dei lavoratori dell’intero comparto del fotovoltaico e delle aziende collegate con il settore delle energie rinnovabili.”
“Fim, Fiom, Uilm hanno indetto questo sciopero per chiedere modifiche radicali al decreto sulle energie rinnovabili del 3 marzo scorso; decreto che ha avuto l’effetto immediato di bloccare l’intera filiera del fotovoltaico in Italia.”
“Da allora, infatti, si sono registrati annullamenti di ordini e messa in discussione dei finanziamenti da parte delle banche. Moltissime aziende hanno ridimensionato i piani di investimento e, in molti casi, hanno annunciato processi di delocalizzazione e avviato il ricorso ad ammortizzatori sociali.”
“La filiera del fotovoltaico e delle energie rinnovabili in Italia stava faticosamente crescendo e qualificandosi. L’intero settore, tra i pochi in crescita in questo periodo, dà lavoro, compreso l’indotto, a circa 100mila persone.”
“Si tratta di un settore essenziale per contribuire all’approvvigionamento energetico complessivo e per ridurre la dipendenza del nostro Paese dai combustibili fossili. Ciò è ancora più vero in una situazione critica in cui, anche per effetto delle catastrofi mondiali di questi giorni (Giappone e Nord Africa), i programmi energetici basati su fonti fossili e nucleari hanno mostrato tutta la loro fragilità per costi, tempi e pericolosità.”
“Per questo, chiediamo al Governo di dare una prospettiva di sviluppo equilibrato ad un settore strategico per il Paese e di modificare radicalmente il decreto.”
“Proprio nel giorno in cui la Conferenza Stato-Regioni affronta l’argomento, i lavoratori del settore scioperano e si ritrovano per una manifestazione nazionale a Roma - davanti al ministero dello Sviluppo Economico, in via Molise - a partire dalle ore 11.00.”
Uffici Stampa Fim, Fiom, Uilm
Roma, 18 aprile 2011
Le Segreterie nazionali dei sindacati metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil hanno diffuso oggi il seguente comunicato.
“Mercoledì 20 aprile si svolgerà il primo sciopero nazionale dei lavoratori dell’intero comparto del fotovoltaico e delle aziende collegate con il settore delle energie rinnovabili.”
“Fim, Fiom, Uilm hanno indetto questo sciopero per chiedere modifiche radicali al decreto sulle energie rinnovabili del 3 marzo scorso; decreto che ha avuto l’effetto immediato di bloccare l’intera filiera del fotovoltaico in Italia.”
“Da allora, infatti, si sono registrati annullamenti di ordini e messa in discussione dei finanziamenti da parte delle banche. Moltissime aziende hanno ridimensionato i piani di investimento e, in molti casi, hanno annunciato processi di delocalizzazione e avviato il ricorso ad ammortizzatori sociali.”
“La filiera del fotovoltaico e delle energie rinnovabili in Italia stava faticosamente crescendo e qualificandosi. L’intero settore, tra i pochi in crescita in questo periodo, dà lavoro, compreso l’indotto, a circa 100mila persone.”
“Si tratta di un settore essenziale per contribuire all’approvvigionamento energetico complessivo e per ridurre la dipendenza del nostro Paese dai combustibili fossili. Ciò è ancora più vero in una situazione critica in cui, anche per effetto delle catastrofi mondiali di questi giorni (Giappone e Nord Africa), i programmi energetici basati su fonti fossili e nucleari hanno mostrato tutta la loro fragilità per costi, tempi e pericolosità.”
“Per questo, chiediamo al Governo di dare una prospettiva di sviluppo equilibrato ad un settore strategico per il Paese e di modificare radicalmente il decreto.”
“Proprio nel giorno in cui la Conferenza Stato-Regioni affronta l’argomento, i lavoratori del settore scioperano e si ritrovano per una manifestazione nazionale a Roma - davanti al ministero dello Sviluppo Economico, in via Molise - a partire dalle ore 11.00.”
Uffici Stampa Fim, Fiom, Uilm
Roma, 18 aprile 2011
domenica 17 aprile 2011
Rinnovabili-Fotovoltaico,Decreto Romani,il 20 aprile sit-in di protesta a Montecitorio
Il 20 Aprile 2011 alla Conferenza Unificata Stato-Regioni si discutera'anche, cosi' hanno detto il sottosegretario Saglia e il Governatore della Regione Emilia-Romagna Errani, del nuovo conto energia per gli impianti fotovoltaici. Con il Decreto Romani il conto energia ,votato a luglio 2010, valido fino al 31 dicembre 2013,e' sospeso dal 1 giugno 2011 e gli impianti allacciati alla rete da quella data saranno incentivati da un nuovo conto energia non ancora varato.
Nello stesso giorno 20 aprile si terra' adavanti alla camera dei Deputati un sit-in di protesta contro il Decreto Romani e molto critico anche verso le anticipazioni sul nuovo conto energia che sono apparse sulla stampa. Sembra che la nuova legge non sia piaciuta neanche al Gifi, l' Associazione delle imprese fotovoltaiche di Confindustria, nonostante riprenda molte sue proposte. Altre Associazioni, Assosolare, Cna, Aper, criticano invece preventivamente aspetti fondamentali della nuova legge che probabilmente sara' varata entro il fine aprile.
Da ricordare che una mozione parlamentare firmata e votata da maggioranza e opposizione impegnava il governo a varare il nuovo conto energia entro la prima decade di aprile. Quindi governo in ritardo e opposizione in silenzio dopo aver votato insieme ai deputati di Berlusconi.
Nello stesso giorno 20 aprile si terra' adavanti alla camera dei Deputati un sit-in di protesta contro il Decreto Romani e molto critico anche verso le anticipazioni sul nuovo conto energia che sono apparse sulla stampa. Sembra che la nuova legge non sia piaciuta neanche al Gifi, l' Associazione delle imprese fotovoltaiche di Confindustria, nonostante riprenda molte sue proposte. Altre Associazioni, Assosolare, Cna, Aper, criticano invece preventivamente aspetti fondamentali della nuova legge che probabilmente sara' varata entro il fine aprile.
Da ricordare che una mozione parlamentare firmata e votata da maggioranza e opposizione impegnava il governo a varare il nuovo conto energia entro la prima decade di aprile. Quindi governo in ritardo e opposizione in silenzio dopo aver votato insieme ai deputati di Berlusconi.
Les avocats de Laurent Gbagbo en France interpellent le Secrétaire général des Nations unies sur les bases juridiques de son arrestation
Les avocats de Laurent Gbagbo en France interpellent le Secrétaire général des Nations unies sur les bases juridiques de son arrestation et sur le rôle de l’ONU, dénonçant tortures et meurtres de partisans de l’ex-président ivoirien, dans un courrier transmis jeudi à l’AFP.
Après quatre mois de crise post-électorale, le président sortant a été arrêté lundi par les forces du chef de l’Etat internationalement reconnu Alassane Ouattara, après un pilonnage intensif mené par les forces françaises et celles de la Mission de l’ONU en Côte d’Ivoire (Onuci), selon les Nations unies, Paris et le gouvernement de M. Ouattara.
Mercredi, l’ONU a annoncé que l’ancien président avait été transféré dans une résidence présidentielle dans le nord du pays.
Les avocats, Mes Marcel Ceccaldi, Lucie Bourthoumieux et Jean-Charles Tchikaya, rappellent que Laurent Gbagbo avait été placé lundi “en état d’arrestation à l’Hôtel du Golf”, le QG d’Alassane Ouattara, un lieu dont l’Onuci “se charge d’assurer la sécurité”.
Estimant qu’aucune disposition de la résolution 1975 (qui a permis à l’ONU de détruire les armes lourdes en possession du camp Gbagbo, ndlr) “ne donne autorité à l’Onuci pour prendre des mesures privatives de liberté” contre Laurent Gbagbo et ses proches, les avocats demandent des comptes à Ban Ki-moon.
“A quel titre et sur quel fondement juridique le président Laurent Gbagbo, son épouse, les membres de sa famille et ses collaborateurs sont en état d’arrestation?”, “Quelle autorité” les retient et “à quel titre?”, “quelles sont les conditions de leur détention?”, interrogent-ils.
Evoquant le mandant de protection des civils de l’Onuci, les avocats évoquent des “informations” faisant état depuis lundi “d’atteintes aux droits humains” dont sont en particulier victimes “des sympathisants (de M. Gbagbo) ou présentés comme tels”.
Ils affirment que les membres du gouvernement de l’ex-président “sont systématiquement torturés et blessés avec des machettes quand ils ne sont pas simplement assassinés”.
Ils ajoutent qu’en cas de mauvais traitements infligés au président déchu, la “responsabilité personnelle” du Secrétaire général, mais aussi celle de l’ONU et de la France “seront engagées”
Fonte www.africa-times-news.com
15 aprile 2011
Après quatre mois de crise post-électorale, le président sortant a été arrêté lundi par les forces du chef de l’Etat internationalement reconnu Alassane Ouattara, après un pilonnage intensif mené par les forces françaises et celles de la Mission de l’ONU en Côte d’Ivoire (Onuci), selon les Nations unies, Paris et le gouvernement de M. Ouattara.
Mercredi, l’ONU a annoncé que l’ancien président avait été transféré dans une résidence présidentielle dans le nord du pays.
Les avocats, Mes Marcel Ceccaldi, Lucie Bourthoumieux et Jean-Charles Tchikaya, rappellent que Laurent Gbagbo avait été placé lundi “en état d’arrestation à l’Hôtel du Golf”, le QG d’Alassane Ouattara, un lieu dont l’Onuci “se charge d’assurer la sécurité”.
Estimant qu’aucune disposition de la résolution 1975 (qui a permis à l’ONU de détruire les armes lourdes en possession du camp Gbagbo, ndlr) “ne donne autorité à l’Onuci pour prendre des mesures privatives de liberté” contre Laurent Gbagbo et ses proches, les avocats demandent des comptes à Ban Ki-moon.
“A quel titre et sur quel fondement juridique le président Laurent Gbagbo, son épouse, les membres de sa famille et ses collaborateurs sont en état d’arrestation?”, “Quelle autorité” les retient et “à quel titre?”, “quelles sont les conditions de leur détention?”, interrogent-ils.
Evoquant le mandant de protection des civils de l’Onuci, les avocats évoquent des “informations” faisant état depuis lundi “d’atteintes aux droits humains” dont sont en particulier victimes “des sympathisants (de M. Gbagbo) ou présentés comme tels”.
Ils affirment que les membres du gouvernement de l’ex-président “sont systématiquement torturés et blessés avec des machettes quand ils ne sont pas simplement assassinés”.
Ils ajoutent qu’en cas de mauvais traitements infligés au président déchu, la “responsabilité personnelle” du Secrétaire général, mais aussi celle de l’ONU et de la France “seront engagées”
Fonte www.africa-times-news.com
15 aprile 2011
Côte d’Ivoire: un général proche de Gbagbo arrêté
Apr 16th, 2011 by www.Africa-Times-news.com
Le général Bruno Dogbo Blé, commandant de la Garde républicaine, un corps d’armée de sinistre réputation, a été arrêté. Le sort de Charles Blé Goudé suscite en revanche de multiples interrogations.
Il commandait la redoutée Garde républicaine ivoirienne, accusée par de nombreux partisans d’Alassane Ouattara d’être responsable d’exactions depuis l’éclatement de la crise post-électorale, en novembre 2010. Pilier de l’appareil sécuritaire de l’ex-président Laurent Gbagbo, le général Bruno Dogbo Blé a été arrêté vendredi, puis a été conduit au Golf hôtel, qui reste encore le quartier général du président Ouattara. Sur les images diffusées par Télévision Côte d’Ivoire, il apparaît menotté et en pyjama, comme s’il avait été cueilli en plein repos – ou comme si l’on avait voulu l’humilier.
Bruno Dogbo Blé n’avait pas fait allégeance au président Ouattara comme les principaux chefs de l’armée et des forces de sécurité, après l’arrestation lundi de Laurent Gbagbo. Avait-il peur de représailles ou d’être traduit e justice ? Selon la TCI, il a nié être responsable des exactions dont on l’accuse.
La TCI a aussi évoqué de nouveaux ralliements au président ivoirien, dont celui du président du Conseil économique et social, Laurent Dona-Fologo, vétéran de la politique ivoirienne et proche de Laurent Gbagbo. Mais la confusion régnait toujours vendredi soir autour du sort de Charles Blé Goudé, dont on est sans nouvelles.
Le gouvernement de Guillaume Soro avait annoncé son arrestation avant de se rétracter. Deux hypothèses : soit le leader des « jeunes patriotes » est toujours en cavale, soit il est mort ou a été arrêté mais les autorités ne veulent pas le reconnaître de peur de voir ses partisans reprendre les armes. (avec AFP)
Le général Bruno Dogbo Blé, commandant de la Garde républicaine, un corps d’armée de sinistre réputation, a été arrêté. Le sort de Charles Blé Goudé suscite en revanche de multiples interrogations.
Il commandait la redoutée Garde républicaine ivoirienne, accusée par de nombreux partisans d’Alassane Ouattara d’être responsable d’exactions depuis l’éclatement de la crise post-électorale, en novembre 2010. Pilier de l’appareil sécuritaire de l’ex-président Laurent Gbagbo, le général Bruno Dogbo Blé a été arrêté vendredi, puis a été conduit au Golf hôtel, qui reste encore le quartier général du président Ouattara. Sur les images diffusées par Télévision Côte d’Ivoire, il apparaît menotté et en pyjama, comme s’il avait été cueilli en plein repos – ou comme si l’on avait voulu l’humilier.
Bruno Dogbo Blé n’avait pas fait allégeance au président Ouattara comme les principaux chefs de l’armée et des forces de sécurité, après l’arrestation lundi de Laurent Gbagbo. Avait-il peur de représailles ou d’être traduit e justice ? Selon la TCI, il a nié être responsable des exactions dont on l’accuse.
La TCI a aussi évoqué de nouveaux ralliements au président ivoirien, dont celui du président du Conseil économique et social, Laurent Dona-Fologo, vétéran de la politique ivoirienne et proche de Laurent Gbagbo. Mais la confusion régnait toujours vendredi soir autour du sort de Charles Blé Goudé, dont on est sans nouvelles.
Le gouvernement de Guillaume Soro avait annoncé son arrestation avant de se rétracter. Deux hypothèses : soit le leader des « jeunes patriotes » est toujours en cavale, soit il est mort ou a été arrêté mais les autorités ne veulent pas le reconnaître de peur de voir ses partisans reprendre les armes. (avec AFP)
giovedì 14 aprile 2011
Arrigoni assassinato. Da chi ? Da lui un imperativo per noi tutti ,oggi piu' che mai, "Restiamo umani"
Gaza, trovato il corpo di Arrigoni
il pacifista ucciso prima dell'ultimatum
La scoperta fatta dalle forze di sicurezza di Hamas dopo un blitz che ha portato a due arresti. "E' stato soffocato". La gigantesca caccia all'uomo dopo l'annuncio del rapimento dell'italiano con un video di un gruppo di estremisti salafiti. La richiesta era di liberare dei prigionieri entro il pomeriggio di oggi
dal nostro corrispondente FABIO SCUTO
GERUSALEMME - L'hanno assassinato senza aspettare la scadenza dell'ultimatum che loro stessi avevano dato. Vittorio Arrigoni, l'attivista pacifista rapito ieri a Gaza City da un commando di estremisti salafiti che minacciava di ucciderlo se non avesse ottenuto dal governo di Hamas il rilascio di un gruppetto di suoi militanti, è stato trovato morto questa notte in una casa abbandonata di Gaza City. A ritrovare il corpo del giovane militante pacifista italiano le forze di sicurezza di Hamas che avevano scatenato una furibonda caccia all'uomo dopo l'annuncio del rapimento con un video su Youtube ieri pomeriggio. Con uno scenario ispirato al feroce rituale iracheno, nel video Arrigoni appariva sanguinante, con gli occhi bendati, tracce di sangue sul volto ed evidenti segni di un pestaggio. Militante dell'International Solidarity Movement (Isn) che comprende militanti di tutto il mondo che partecipano ad atti di protesta non violenta contro l'occupazione israeliana, Arrigoni era conosciuto da tutti a Gaza per il suo impegno e viveva nella Striscia dal 2008.
Un portavoce di Hamas ha precisato che Arrigoni è stato trovato in un appartamento del rione Qarame, a Gaza City, a conclusione di un blitz condotto dai miliziani di Hamas, e che era stato ucciso dai rapitori - soffocato - "qualche ora prima" dell'assalto. Due uomini sono stati arrestati e un numero imprecisato di altri sono ricercati. Il portavoce ha definito Arrigoni "un amico del popolo palestinese" e la sua uccisione "un crimine contro i nostri valori".
Il video di Arrigoni, con l'ultimatum in sovraimpressione in arabo annunciava l'esecuzione nel giro di 30 ore (cioè oggi pomeriggio) se Hamas - che i salafiti avversano da posizioni ancor più oltranziste - non avesse liberato i "confratelli arrestati" negli ultimi mesi nella Striscia. La sovraimpressione dei rapitori - che dicevano di appartenere a un gruppuscolo della galassia jihadista filo-Al Qaida, la "Brigata Mohammed Bin Moslama", coinvolto in tentativi di sollevazione anti Hamas come quello represso nel sangue nel 2009 nella moschea bunker di Rafah - accusavano il volontario di diffondere "i vizi occidentali" fra i palestinesi e l'Italia di combattere contro i Paesi musulmani.
Il video si rivolgeva al governo di Hamas del premier Ismail Haniyeh, salito al potere nella Striscia nel 2007 dopo il golpe islamico contro l'Anp del presidente Abu Mazen, ma ritenuto dai salafiti contrario all'idea di un Califfato mondiale e troppo moderato nell'applicazione della Sharia, la legge coranica. L'intimazione era quella di scarcerare entro oggi "tutti i detenuti" legati alla Brigata Bin Moslama. A cominciare dal capo fazione Hisham Al-Saidni, noto anche come Abu Walid Al-Maqdisi, un egiziano trapiantato nei Territori palestinesi che risulta già sulla lista nera dei ricercati per terrorismo di Egitto e Stati Uniti e che la polizia di Hamas ha arrestato all'inizio di marzo nel campo profughi di Shati, a ridosso di Gaza City.
La crescita della presenza dei gruppi salafiti a Gaza si è di molto accresciuta negli ultimi due anni e i tunnel del contrabbando sotto il confine con l'Egitto sono la via dei loro rifornimenti di armi. Sono tre i principali movimenti salafiti operativi nella Striscia di Gaza e che rappresentano una spina nel fianco per Hamas. Si tratta del Jund Ansar Allah (i Soldati di Dio), del Jaish al-Islam (l'Esercito dell'Islam) e del Jaish al Umma (l'Esercito della Nazione). Il più pericolo di questi gruppi per Hamas e per gli equilibri dell'area è quello dei Jund Ansar Allah. Il leader di questo gruppo salafita, Abdul Latif Abu Moussa, è stato ucciso durante gli scontri con la polizia di Hamas nell'agosto 2009.
Dall'Italia la Farnesina aveva fatto sapere in serata di essersi già attivata, attraverso il Consolato generale di Gerusalemme e tutti i contatti diplomatico-internazionali disponibili, per tutelare la vita di Arrigoni. Il presidente palestinese Abu Mazen aveva lanciato un appello "per la sua immediata liberazione e senza condizioni". Arrigoni è il primo straniero sequestrato nella Striscia di Gaza dopo Alan Johnston, il giornalista della "Bbc" rapito per 114 giorni nel 2007 dall'Esercito dell'Islam", un piccolo gruppo ispirato ad Al Qaida.
Un indubbia difficoltà è rappresentata dal fatto che Hamas è sulla black-list europea per il suo sostegno al terrorismo e ufficialmente non è possibile per il nostro Ministero degli Esteri stabilire un contatto diretto con i dirigenti integralisti. Questo avviene attraverso altri canali che si possono definire "informali", cioè attraverso l'Anp di Abu Mazen. Estrema prudenza e riserbo anche dai responsabili politici di Hamas a Gaza, che si sono limitati a dire d'essere impegnati al momento a "verificare i fatti". Intanto la città si è riempita di agenti in divisa e in borghese e la caccia ai rapitori è cominciata.
Fonte www.repubblica.it
il pacifista ucciso prima dell'ultimatum
La scoperta fatta dalle forze di sicurezza di Hamas dopo un blitz che ha portato a due arresti. "E' stato soffocato". La gigantesca caccia all'uomo dopo l'annuncio del rapimento dell'italiano con un video di un gruppo di estremisti salafiti. La richiesta era di liberare dei prigionieri entro il pomeriggio di oggi
dal nostro corrispondente FABIO SCUTO
GERUSALEMME - L'hanno assassinato senza aspettare la scadenza dell'ultimatum che loro stessi avevano dato. Vittorio Arrigoni, l'attivista pacifista rapito ieri a Gaza City da un commando di estremisti salafiti che minacciava di ucciderlo se non avesse ottenuto dal governo di Hamas il rilascio di un gruppetto di suoi militanti, è stato trovato morto questa notte in una casa abbandonata di Gaza City. A ritrovare il corpo del giovane militante pacifista italiano le forze di sicurezza di Hamas che avevano scatenato una furibonda caccia all'uomo dopo l'annuncio del rapimento con un video su Youtube ieri pomeriggio. Con uno scenario ispirato al feroce rituale iracheno, nel video Arrigoni appariva sanguinante, con gli occhi bendati, tracce di sangue sul volto ed evidenti segni di un pestaggio. Militante dell'International Solidarity Movement (Isn) che comprende militanti di tutto il mondo che partecipano ad atti di protesta non violenta contro l'occupazione israeliana, Arrigoni era conosciuto da tutti a Gaza per il suo impegno e viveva nella Striscia dal 2008.
Un portavoce di Hamas ha precisato che Arrigoni è stato trovato in un appartamento del rione Qarame, a Gaza City, a conclusione di un blitz condotto dai miliziani di Hamas, e che era stato ucciso dai rapitori - soffocato - "qualche ora prima" dell'assalto. Due uomini sono stati arrestati e un numero imprecisato di altri sono ricercati. Il portavoce ha definito Arrigoni "un amico del popolo palestinese" e la sua uccisione "un crimine contro i nostri valori".
Il video di Arrigoni, con l'ultimatum in sovraimpressione in arabo annunciava l'esecuzione nel giro di 30 ore (cioè oggi pomeriggio) se Hamas - che i salafiti avversano da posizioni ancor più oltranziste - non avesse liberato i "confratelli arrestati" negli ultimi mesi nella Striscia. La sovraimpressione dei rapitori - che dicevano di appartenere a un gruppuscolo della galassia jihadista filo-Al Qaida, la "Brigata Mohammed Bin Moslama", coinvolto in tentativi di sollevazione anti Hamas come quello represso nel sangue nel 2009 nella moschea bunker di Rafah - accusavano il volontario di diffondere "i vizi occidentali" fra i palestinesi e l'Italia di combattere contro i Paesi musulmani.
Il video si rivolgeva al governo di Hamas del premier Ismail Haniyeh, salito al potere nella Striscia nel 2007 dopo il golpe islamico contro l'Anp del presidente Abu Mazen, ma ritenuto dai salafiti contrario all'idea di un Califfato mondiale e troppo moderato nell'applicazione della Sharia, la legge coranica. L'intimazione era quella di scarcerare entro oggi "tutti i detenuti" legati alla Brigata Bin Moslama. A cominciare dal capo fazione Hisham Al-Saidni, noto anche come Abu Walid Al-Maqdisi, un egiziano trapiantato nei Territori palestinesi che risulta già sulla lista nera dei ricercati per terrorismo di Egitto e Stati Uniti e che la polizia di Hamas ha arrestato all'inizio di marzo nel campo profughi di Shati, a ridosso di Gaza City.
La crescita della presenza dei gruppi salafiti a Gaza si è di molto accresciuta negli ultimi due anni e i tunnel del contrabbando sotto il confine con l'Egitto sono la via dei loro rifornimenti di armi. Sono tre i principali movimenti salafiti operativi nella Striscia di Gaza e che rappresentano una spina nel fianco per Hamas. Si tratta del Jund Ansar Allah (i Soldati di Dio), del Jaish al-Islam (l'Esercito dell'Islam) e del Jaish al Umma (l'Esercito della Nazione). Il più pericolo di questi gruppi per Hamas e per gli equilibri dell'area è quello dei Jund Ansar Allah. Il leader di questo gruppo salafita, Abdul Latif Abu Moussa, è stato ucciso durante gli scontri con la polizia di Hamas nell'agosto 2009.
Dall'Italia la Farnesina aveva fatto sapere in serata di essersi già attivata, attraverso il Consolato generale di Gerusalemme e tutti i contatti diplomatico-internazionali disponibili, per tutelare la vita di Arrigoni. Il presidente palestinese Abu Mazen aveva lanciato un appello "per la sua immediata liberazione e senza condizioni". Arrigoni è il primo straniero sequestrato nella Striscia di Gaza dopo Alan Johnston, il giornalista della "Bbc" rapito per 114 giorni nel 2007 dall'Esercito dell'Islam", un piccolo gruppo ispirato ad Al Qaida.
Un indubbia difficoltà è rappresentata dal fatto che Hamas è sulla black-list europea per il suo sostegno al terrorismo e ufficialmente non è possibile per il nostro Ministero degli Esteri stabilire un contatto diretto con i dirigenti integralisti. Questo avviene attraverso altri canali che si possono definire "informali", cioè attraverso l'Anp di Abu Mazen. Estrema prudenza e riserbo anche dai responsabili politici di Hamas a Gaza, che si sono limitati a dire d'essere impegnati al momento a "verificare i fatti". Intanto la città si è riempita di agenti in divisa e in borghese e la caccia ai rapitori è cominciata.
Fonte www.repubblica.it
lunedì 11 aprile 2011
Libia, Gheddafi accetta piano-pace dell' Unione Africana
Libia, mediazione dell' Unione Africana
La guerra libica è impantana e si cerca una “soluzione diplomatica”. Sul campo, nonostante il pesante raid della Nato che ieri ha colpito una colonna militare di fedeli a Gheddafi nei pressi di Ajdabiya, la situazione sembra ormai abbastanza definita.
Le forze “lealiste” hanno il predominio a terra. Per tutta la giornata di ieri sono continuati i combattimenti nelle due città chiave di Misurata e Ajdabiya, ultima postazione sulla strada verso Bengasi.
Si è dunque rivelato completamente sbagliato invece il calcolo francese e inglese, secondo cui i bombardamenti aerei avrebbero aperto la strada alle forze “ribelli” fino alla caduta di Tripoli e del regime del rais. Al massimo, si è visto nell'ultima settimana, possono “proteggere i ribelli” dagli attacchi di Gheddafi.
La stessa nato sembra aver accettato questo stallo, limitandosi ad attaccare solo quando le truppe del Colonnello puntano a superare il “confine invisibile” a est di Brega.
Ma se sul campo la guerra non si può vincere – a meno di un intervento diretto della Nato con truppe di terra, vietato dalla risoluzione Onu e ovviamente esposto a perdite fra i soldati occidentali – talora la parola deve passare alla trattativa.
Una delegazione dell'Unione Africana è stata ricevuta ieri dallo stesso Muammar Gheddafi sotto la sua tenda, nella sua residenza di Bab el Aziziya, bombardata all'inizio degli attacchi. Il capo delegazione è Jacob Zuma, presidente del Sudafricano, accompagnata dai capi di stato di Mauritania (Mohammed Ould Abdel Aziz), Mali (Amadou Toumani Tourè), Congo (Denis Sassou Nguesso) e il ministro degli Esteri ugandese Henry Oryem Okello. Gli obiettivi della missione erano stati fissati poco prima, in una riunione della Ua: «Cessazione immediata di tutte le ostilità», distribuzione di aiuti umanitari e apertura di un dialogo tra parti in guerra.
Il governo libico ha accettato “Road Map” proposta dall'Unione Africana. Zuma ha spiegato che «dobbiamo dare una chance a un cessate il fuoco». Un funzionario dell'Unione africana ha riferito che nel corso del colloquio si è parlato anche dell'eventuale uscita di scena di Muhammar Gheddafi. «C'è stata qualche discussione su questo, ma non posso dire niente - ha dichiarato Ramtane Lamamra, commissario dell'Unione per la Pace e la Sicurezza - . Quanto detto deve rimanere riservato. Sta comunque al popolo libico scegliere democraticamente i suoi leader».
Oggi la delegazione africana (senza Zuma, rientrato a Johannesburg) ha incontrato anche il vertice degli “insorti”, a Bengasi.
Che però considera inaccettabile qualsiasi tipo di accordo con il Colonnello o con uno dei suoi figli.
L'ipotesi che anche Sarkozy sembra ora disposto a prendere in esame prevede infatti il trasferimento dei poteri di Mouammar Gheddafi al figlio Selif, oltre ovviamente a “profonde riforme”, rispetto dei diritti dell'opposizione o delle tribù in minoranza, ecc.
I più perplessi sembrano a questo punto gli esponenti del Consiglio nazionale di Transizione (Cnt) di Bengasi. Il leader del Cnt e ministro fino a due mesi fa, Abdel Jalil, non piace molto l'idea di dover “convivere” con Gheddafi e, per risultare convincente, si propone sa volta come “barriera contro gli immigrati”. E' atteso per domani in Italia e proprio al nostro paese, oltre che al resto della colazione, chiede «di fare di più perché la nostra gente possa affrancarsi dal giogo del regime». Tra oggi e venerdì, tutte le istituzioni internazionali (a partire dalla riunione dei ministri degli Esteri dell'Ue, in Lussemburgo), proveranno a delineare diverse soluzioni. Mahmud Jibril, incaricato degli affari esteri per il Cnt, è stato invitato per un incontro «breve e informale» con i 27; che sono divisi anche su questo (Svezia, Gran Bretagna e altri membri non del tutto convinti dell'affidabilità degli insorti, per la presenza di molti “islamisti radicali”).
Si parlerà di Libia anche mercoledì, in Qatar, dove si riunisce il “gruppo di Contatto”; il 14 e il 15 se ne discuterà anche alla ministeriale Nato, a Berlino, presente il segretario di Stato Usa Hillary Clinton.
Le possibili soluzioni, a questo punto, non sembrano però più limitate al semplice “prima Gheddafi se ne va, poi discutiamo”.
Non osiamo pensare a quei poveri “interventisti democratici” dell'ultim'ora, se dovesse restare comunque quel “mostro” di Gheddafi (sia pure figlio) alla guida di Tripoli.
Che faranno? Prenderanno i barconi degli scafisti per andare comunque a combatterlo? Sentenzieranno dolenti sull'”ipocrisia” della Nato e dell'Europa? La seconda che detto...
Fonte www.contropiano.org
La guerra libica è impantana e si cerca una “soluzione diplomatica”. Sul campo, nonostante il pesante raid della Nato che ieri ha colpito una colonna militare di fedeli a Gheddafi nei pressi di Ajdabiya, la situazione sembra ormai abbastanza definita.
Le forze “lealiste” hanno il predominio a terra. Per tutta la giornata di ieri sono continuati i combattimenti nelle due città chiave di Misurata e Ajdabiya, ultima postazione sulla strada verso Bengasi.
Si è dunque rivelato completamente sbagliato invece il calcolo francese e inglese, secondo cui i bombardamenti aerei avrebbero aperto la strada alle forze “ribelli” fino alla caduta di Tripoli e del regime del rais. Al massimo, si è visto nell'ultima settimana, possono “proteggere i ribelli” dagli attacchi di Gheddafi.
La stessa nato sembra aver accettato questo stallo, limitandosi ad attaccare solo quando le truppe del Colonnello puntano a superare il “confine invisibile” a est di Brega.
Ma se sul campo la guerra non si può vincere – a meno di un intervento diretto della Nato con truppe di terra, vietato dalla risoluzione Onu e ovviamente esposto a perdite fra i soldati occidentali – talora la parola deve passare alla trattativa.
Una delegazione dell'Unione Africana è stata ricevuta ieri dallo stesso Muammar Gheddafi sotto la sua tenda, nella sua residenza di Bab el Aziziya, bombardata all'inizio degli attacchi. Il capo delegazione è Jacob Zuma, presidente del Sudafricano, accompagnata dai capi di stato di Mauritania (Mohammed Ould Abdel Aziz), Mali (Amadou Toumani Tourè), Congo (Denis Sassou Nguesso) e il ministro degli Esteri ugandese Henry Oryem Okello. Gli obiettivi della missione erano stati fissati poco prima, in una riunione della Ua: «Cessazione immediata di tutte le ostilità», distribuzione di aiuti umanitari e apertura di un dialogo tra parti in guerra.
Il governo libico ha accettato “Road Map” proposta dall'Unione Africana. Zuma ha spiegato che «dobbiamo dare una chance a un cessate il fuoco». Un funzionario dell'Unione africana ha riferito che nel corso del colloquio si è parlato anche dell'eventuale uscita di scena di Muhammar Gheddafi. «C'è stata qualche discussione su questo, ma non posso dire niente - ha dichiarato Ramtane Lamamra, commissario dell'Unione per la Pace e la Sicurezza - . Quanto detto deve rimanere riservato. Sta comunque al popolo libico scegliere democraticamente i suoi leader».
Oggi la delegazione africana (senza Zuma, rientrato a Johannesburg) ha incontrato anche il vertice degli “insorti”, a Bengasi.
Che però considera inaccettabile qualsiasi tipo di accordo con il Colonnello o con uno dei suoi figli.
L'ipotesi che anche Sarkozy sembra ora disposto a prendere in esame prevede infatti il trasferimento dei poteri di Mouammar Gheddafi al figlio Selif, oltre ovviamente a “profonde riforme”, rispetto dei diritti dell'opposizione o delle tribù in minoranza, ecc.
I più perplessi sembrano a questo punto gli esponenti del Consiglio nazionale di Transizione (Cnt) di Bengasi. Il leader del Cnt e ministro fino a due mesi fa, Abdel Jalil, non piace molto l'idea di dover “convivere” con Gheddafi e, per risultare convincente, si propone sa volta come “barriera contro gli immigrati”. E' atteso per domani in Italia e proprio al nostro paese, oltre che al resto della colazione, chiede «di fare di più perché la nostra gente possa affrancarsi dal giogo del regime». Tra oggi e venerdì, tutte le istituzioni internazionali (a partire dalla riunione dei ministri degli Esteri dell'Ue, in Lussemburgo), proveranno a delineare diverse soluzioni. Mahmud Jibril, incaricato degli affari esteri per il Cnt, è stato invitato per un incontro «breve e informale» con i 27; che sono divisi anche su questo (Svezia, Gran Bretagna e altri membri non del tutto convinti dell'affidabilità degli insorti, per la presenza di molti “islamisti radicali”).
Si parlerà di Libia anche mercoledì, in Qatar, dove si riunisce il “gruppo di Contatto”; il 14 e il 15 se ne discuterà anche alla ministeriale Nato, a Berlino, presente il segretario di Stato Usa Hillary Clinton.
Le possibili soluzioni, a questo punto, non sembrano però più limitate al semplice “prima Gheddafi se ne va, poi discutiamo”.
Non osiamo pensare a quei poveri “interventisti democratici” dell'ultim'ora, se dovesse restare comunque quel “mostro” di Gheddafi (sia pure figlio) alla guida di Tripoli.
Che faranno? Prenderanno i barconi degli scafisti per andare comunque a combatterlo? Sentenzieranno dolenti sull'”ipocrisia” della Nato e dell'Europa? La seconda che detto...
Fonte www.contropiano.org
mercoledì 6 aprile 2011
Fotovoltaico, le proposte delle associazioni delle imprese delle rinnovabili per il nuovo, il quarto, conto energia.
Le proposte per un nuovo conto energia
Le associazioni di categoria del fotovoltaico propongono il loro nuovo conto energia. Meccanismi che in parte si assomigliano e in diversi punti si discostano sensibilmente. Saranno presentate presto al Ministero dello Sviluppo Economico che intanto domani illustrerà la sua bozza di decreto alle Regioni.
Leonardo Berlen
06 aprile 2011
Proposte di un nuovo conto energia che in parte si assomigliano e in diversi punti si discostano sensibilmente. Sono quelle che arrivano dalle associazioni di categoria del fotovoltaico e delle rinnovabili che saranno presentate al Ministero dello Sviluppo Economico, che ha comunque già una proposta nel cassetto che non conosciamo nel dettaglio, ma che fa probabilmente riferimento alle indicazioni fornite un paio di settimane fa da Confindustria. Questa bozza verrà presentata domani alle Regioni che dovranno fornire il loro parere, anche se non vincolante, entro la settimana successiva.
Per tornare alle associazioni di settore, ANIE/GIFI, ad esempio, propone di estendere le tariffe del 3° conto energia (quelle del 2° quadrimestre) fino al 30 settembre, mantenendo l’assegnazione delle tariffe in base all’entrata in esercizio. Dal 1° ottobre si intende applicare un decremento mensile che oscillerà intorno all’8-10%/mese.
Per l’associazione dovrebbe partire da ottobre 2011 l’assegnazione della tariffa sulla base di una certificazione di “fine lavori”. Un escamotage – spiegano dal GIFI – che intende esonerare i soggetti responsabili degli impianti dai rischi sull’incertezza delle tempistiche di connessione alla rete.
Poi, a partire dal 2012, ANIE-GIFI propone una riduzione annuale delle tariffe del 5% per impianti fino a 1 MW e del 10% oltre il MW nel primo trimestre e ulteriori riduzioni del 3-4% per i trimestri successivi. Un decremento che dovrebbe proseguire fino al 2016, affiancandoto però ad un meccanismo di autoregolazione che colleghi in maniera inversamente proporzionale le tariffe alla potenza effettivamente installata. Per il 2011 la potenza massima incentivabile è indicata al raggiungimento di un cumulativo di 9,5 GW. Cioè quanto sarà per il 2011? Non si capisce.
In prima approssimazione in queste proposte notiamo diversi punti critici. Nel caso dei decrementi mensili e poi nel 2012 di riduzioni trimestrali, la loro rapida frequenza difficilmente consentirà di capire quale potrebbe essere l’esatta tariffa cui si avrà diritto, visto che non sarà facile determinare il mese in cui sarà completato l’impianto. Notevoli pressioni anche per l’autorità di controllo che dovrà verificare, immaginiamo a campione, il ‘fine lavori’ (ma questo è un punto che si ripete in tutte le proposte delle associazioni). E poi perché un cap annuale, anche se questo diventa di 3 GW nel 2012? Un limite annuale è sempre una forma di distorsione del mercato che porta a incertezze nella fase prossima al raggiungimento del target. Meglio tagliare di più le tariffe che stabilire un cap annuale. Il sistema immaginato rischia di produrre corse disperatissime e dell’ultima ora per accaparrarsi la tariffa più alta e un rischio di generare un altro “decreto Salva Alcoa”.
Veniamo alle proposte di APER, condivise anche da Asso Energie Future e ISES ITALIA. Tra i principi di base che dovrebbero ispirare il nuovo conto energia secondo le tre associazioni c’è quello della salvaguardia dei progetti che hanno fatto affidamento sui sistemi incentivanti precedenti. Si vorrebbe confermare per l’anno 2011 le tariffe incentivanti previste dal DM 6 agosto 2010 per gli impianti che siano in possesso di titolo abilitativo idoneo alla data di entrata in vigore del D.lgs n. 28/2011, e che raggiungano la “fine lavori certificata” entro il 31/12/2011.
Invece per tutti gli impianti che non rientrano nel regime di salvaguardia descritto, si dovrebbe adottare un sistema incentivante strutturato, in termini di criteri tecnici di riconoscimento degli incentivi analoghi al DM 6 agosto 2010 (3° conto energia) e che contempli i seguenti punti cardine:
•Nessun cap, annuale o cumulato, per tipologia o per taglia.
•Conferma del meccanismo di feed-in premium.
•Gli incentivi saranno assegnati a valle della dichiarazione di “fine lavori certificata” (come sarà definita da apposita comunicazione del GSE che dovrà essere emessa entro e non oltre 1 mese dall’adozione del nuovo sistema incentivante).
•Dal 1° giugno 2011, decremento delle tariffe del 10% rispetto a quelle previste dal DM 6 agosto 2010 per il secondo quadrimestre 2011.
•Gli adeguamenti successivi saranno in funzione del raggiungimento di scaglioni di potenza di 1 GW. Al raggiungimento di ogni scaglione, le tariffe saranno decurtate di un ulteriore 6% a valle di un periodo di grace period di 90 giorni.
•Il GSE dovrà aggiornare e rendere pubblico con cadenza almeno quindicinale un registro degli impianti per cui è stata raggiunta la “fine lavori certificata”.
•Mantenere differenziate le tariffe per impianti su coperture e a terra (privilegiando le coperture).
•Mantenere l’attuale differenziazione per taglie di potenza (privilegiando i piccoli impianti).
•Mantenere il premio per rimozione amianto.
Le proposte di APER sembrano probabilmente più organiche, anche se non si capisce perché insistere nel concetto di “fine lavori certificata”. In effetti non è giusto accedere alle tariffe al momento della connessione se questa ha tempi biblici, ma allo stesso modo non è equo erogare incentivi ad un impianto che non produce.
Assosolare, infine, propone di adottare un sistema incentivante entro e non oltre aprile 2011 (quindi saremmo già fuori tempo massimo) che ricalca in parte quello proposto da Aper per quanto riguardo il cosiddetto regime di salvaguardia. Per tutti gli impianti si propone dal 1° giugno 2011 e per tutto il 2011, un decremento delle tariffe del 5% per gli impianti di taglia superiore a 200 kW rispetto alle tariffe previste dal DM 6 agosto 2010 per il 2011 (quelli da 1 a 200 kW restano gli stessi del terzo conto energia secondo la divisione quadrimestrale).
Dal 1° gennaio 2012, gli incentivi saranno assegnati a valle della dichiarazione di “fine lavori certificata”. Gli adeguamenti delle tariffe a partire dall’anno 2012 e per gli anni successivi saranno in funzione del raggiungimento di scaglioni di potenza, in particolare:
- Riduzioni delle tariffe al 1° Gennaio 2012 (rispetto a dicembre 2011), sia gli “Impianti su edifici” che per gli “Altri impianti”:
•taglia 1-200 kWp: -8%
•taglia superiore ai 200 kWp: -10%
- Riduzioni delle tariffe per i quadrimestri successivi:
•“Impianti su Edifici” di tutte le taglie ed “Altri impianti” di taglia 1-200 kWp: -3% per quadrimestre
• “Altri impianti” di taglia superiore ai 200 kWp: -4% per quadrimestre
Assosolare prevede inoltre una potenza obiettivo per quadrimestre di 1 GW. Un limite superato il quale si applicherebbe un’ulteriore riduzione della tariffa del 2%, a partire dal quadrimestre successivo. Ma in caso di mancato raggiungimento di almeno due terzi dell’obiettivo quadrimestrale non si applicherebbe la riduzione tariffaria prefissata per il quadrimestre successivo.
Un meccanismo, anche questo, un po’ complesso, che soprattutto non taglia da subito in maniera più decisa le tariffe; un segnale che sarebbe importante dare al decisore pubblico per poi rendere più graduale la degressione, già dal gennaio 2012,, evitando così le corse di fino anno che punteranno ad ottenere tariffe più alte dell’8-10%.
In sintesi, sarebbe il caso che l’industria del settore evitasse di andare in ordine sparso così come traspare da queste proposte che testimoniano una certa discordanza di misure. L'obiettivo dovrebbe comunque essere comune: dare al settore una prospettiva di lungo periodo, puntando nel giro dei prossimi 5-6 anni ad escludere ogni forma di incentivazione.
Leonardo Berlen
06 aprile 2011
Fonte www.qualenergia.it
Le associazioni di categoria del fotovoltaico propongono il loro nuovo conto energia. Meccanismi che in parte si assomigliano e in diversi punti si discostano sensibilmente. Saranno presentate presto al Ministero dello Sviluppo Economico che intanto domani illustrerà la sua bozza di decreto alle Regioni.
Leonardo Berlen
06 aprile 2011
Proposte di un nuovo conto energia che in parte si assomigliano e in diversi punti si discostano sensibilmente. Sono quelle che arrivano dalle associazioni di categoria del fotovoltaico e delle rinnovabili che saranno presentate al Ministero dello Sviluppo Economico, che ha comunque già una proposta nel cassetto che non conosciamo nel dettaglio, ma che fa probabilmente riferimento alle indicazioni fornite un paio di settimane fa da Confindustria. Questa bozza verrà presentata domani alle Regioni che dovranno fornire il loro parere, anche se non vincolante, entro la settimana successiva.
Per tornare alle associazioni di settore, ANIE/GIFI, ad esempio, propone di estendere le tariffe del 3° conto energia (quelle del 2° quadrimestre) fino al 30 settembre, mantenendo l’assegnazione delle tariffe in base all’entrata in esercizio. Dal 1° ottobre si intende applicare un decremento mensile che oscillerà intorno all’8-10%/mese.
Per l’associazione dovrebbe partire da ottobre 2011 l’assegnazione della tariffa sulla base di una certificazione di “fine lavori”. Un escamotage – spiegano dal GIFI – che intende esonerare i soggetti responsabili degli impianti dai rischi sull’incertezza delle tempistiche di connessione alla rete.
Poi, a partire dal 2012, ANIE-GIFI propone una riduzione annuale delle tariffe del 5% per impianti fino a 1 MW e del 10% oltre il MW nel primo trimestre e ulteriori riduzioni del 3-4% per i trimestri successivi. Un decremento che dovrebbe proseguire fino al 2016, affiancandoto però ad un meccanismo di autoregolazione che colleghi in maniera inversamente proporzionale le tariffe alla potenza effettivamente installata. Per il 2011 la potenza massima incentivabile è indicata al raggiungimento di un cumulativo di 9,5 GW. Cioè quanto sarà per il 2011? Non si capisce.
In prima approssimazione in queste proposte notiamo diversi punti critici. Nel caso dei decrementi mensili e poi nel 2012 di riduzioni trimestrali, la loro rapida frequenza difficilmente consentirà di capire quale potrebbe essere l’esatta tariffa cui si avrà diritto, visto che non sarà facile determinare il mese in cui sarà completato l’impianto. Notevoli pressioni anche per l’autorità di controllo che dovrà verificare, immaginiamo a campione, il ‘fine lavori’ (ma questo è un punto che si ripete in tutte le proposte delle associazioni). E poi perché un cap annuale, anche se questo diventa di 3 GW nel 2012? Un limite annuale è sempre una forma di distorsione del mercato che porta a incertezze nella fase prossima al raggiungimento del target. Meglio tagliare di più le tariffe che stabilire un cap annuale. Il sistema immaginato rischia di produrre corse disperatissime e dell’ultima ora per accaparrarsi la tariffa più alta e un rischio di generare un altro “decreto Salva Alcoa”.
Veniamo alle proposte di APER, condivise anche da Asso Energie Future e ISES ITALIA. Tra i principi di base che dovrebbero ispirare il nuovo conto energia secondo le tre associazioni c’è quello della salvaguardia dei progetti che hanno fatto affidamento sui sistemi incentivanti precedenti. Si vorrebbe confermare per l’anno 2011 le tariffe incentivanti previste dal DM 6 agosto 2010 per gli impianti che siano in possesso di titolo abilitativo idoneo alla data di entrata in vigore del D.lgs n. 28/2011, e che raggiungano la “fine lavori certificata” entro il 31/12/2011.
Invece per tutti gli impianti che non rientrano nel regime di salvaguardia descritto, si dovrebbe adottare un sistema incentivante strutturato, in termini di criteri tecnici di riconoscimento degli incentivi analoghi al DM 6 agosto 2010 (3° conto energia) e che contempli i seguenti punti cardine:
•Nessun cap, annuale o cumulato, per tipologia o per taglia.
•Conferma del meccanismo di feed-in premium.
•Gli incentivi saranno assegnati a valle della dichiarazione di “fine lavori certificata” (come sarà definita da apposita comunicazione del GSE che dovrà essere emessa entro e non oltre 1 mese dall’adozione del nuovo sistema incentivante).
•Dal 1° giugno 2011, decremento delle tariffe del 10% rispetto a quelle previste dal DM 6 agosto 2010 per il secondo quadrimestre 2011.
•Gli adeguamenti successivi saranno in funzione del raggiungimento di scaglioni di potenza di 1 GW. Al raggiungimento di ogni scaglione, le tariffe saranno decurtate di un ulteriore 6% a valle di un periodo di grace period di 90 giorni.
•Il GSE dovrà aggiornare e rendere pubblico con cadenza almeno quindicinale un registro degli impianti per cui è stata raggiunta la “fine lavori certificata”.
•Mantenere differenziate le tariffe per impianti su coperture e a terra (privilegiando le coperture).
•Mantenere l’attuale differenziazione per taglie di potenza (privilegiando i piccoli impianti).
•Mantenere il premio per rimozione amianto.
Le proposte di APER sembrano probabilmente più organiche, anche se non si capisce perché insistere nel concetto di “fine lavori certificata”. In effetti non è giusto accedere alle tariffe al momento della connessione se questa ha tempi biblici, ma allo stesso modo non è equo erogare incentivi ad un impianto che non produce.
Assosolare, infine, propone di adottare un sistema incentivante entro e non oltre aprile 2011 (quindi saremmo già fuori tempo massimo) che ricalca in parte quello proposto da Aper per quanto riguardo il cosiddetto regime di salvaguardia. Per tutti gli impianti si propone dal 1° giugno 2011 e per tutto il 2011, un decremento delle tariffe del 5% per gli impianti di taglia superiore a 200 kW rispetto alle tariffe previste dal DM 6 agosto 2010 per il 2011 (quelli da 1 a 200 kW restano gli stessi del terzo conto energia secondo la divisione quadrimestrale).
Dal 1° gennaio 2012, gli incentivi saranno assegnati a valle della dichiarazione di “fine lavori certificata”. Gli adeguamenti delle tariffe a partire dall’anno 2012 e per gli anni successivi saranno in funzione del raggiungimento di scaglioni di potenza, in particolare:
- Riduzioni delle tariffe al 1° Gennaio 2012 (rispetto a dicembre 2011), sia gli “Impianti su edifici” che per gli “Altri impianti”:
•taglia 1-200 kWp: -8%
•taglia superiore ai 200 kWp: -10%
- Riduzioni delle tariffe per i quadrimestri successivi:
•“Impianti su Edifici” di tutte le taglie ed “Altri impianti” di taglia 1-200 kWp: -3% per quadrimestre
• “Altri impianti” di taglia superiore ai 200 kWp: -4% per quadrimestre
Assosolare prevede inoltre una potenza obiettivo per quadrimestre di 1 GW. Un limite superato il quale si applicherebbe un’ulteriore riduzione della tariffa del 2%, a partire dal quadrimestre successivo. Ma in caso di mancato raggiungimento di almeno due terzi dell’obiettivo quadrimestrale non si applicherebbe la riduzione tariffaria prefissata per il quadrimestre successivo.
Un meccanismo, anche questo, un po’ complesso, che soprattutto non taglia da subito in maniera più decisa le tariffe; un segnale che sarebbe importante dare al decisore pubblico per poi rendere più graduale la degressione, già dal gennaio 2012,, evitando così le corse di fino anno che punteranno ad ottenere tariffe più alte dell’8-10%.
In sintesi, sarebbe il caso che l’industria del settore evitasse di andare in ordine sparso così come traspare da queste proposte che testimoniano una certa discordanza di misure. L'obiettivo dovrebbe comunque essere comune: dare al settore una prospettiva di lungo periodo, puntando nel giro dei prossimi 5-6 anni ad escludere ogni forma di incentivazione.
Leonardo Berlen
06 aprile 2011
Fonte www.qualenergia.it
lunedì 4 aprile 2011
Appello per sospendere il decreto Rinnovabili, Romani,fotovoltaico
Appello per sospendere il decreto "ammazzarinnovabili"
ROMA. Per semplificare la procedura di raccolta firme contro il decreto "ammazzarinnovabili" Sos Rinnovabili ha messo a disposizione sul suo sito una pagina elettronica che permette, con una procedura semplice e legale di tutela della privacy, di sottoscrivere la lettera, e di creare in automatico un database che, dicono gli organizzatori, «Provvederemo a "ribaltare" al ministero dello sviluppo Economico e simili».
Mentre scriviamo alla petizione hanno già aderito quasi 23.000 persone ma Sos rinnovabili ed i promotori puntano a fa «Sottoscrivere la lettera a più soggetti possibili (aziende, operai, lavoratori, semplici cittadini che difendono il bene del nostro paese), con il fine di raggiungere almeno 100.000 firme». Ecco il testo dell'appello:
Sos Rinnovabili, in nome di tutti i cittadini che lottano per un futuro più equo e più sicuro, chiede al Presidente della Repubblica, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, a tutti i membri del Parlamento, ai Presidenti Camera e Senato e ai Presidenti di tutte le Regioni di:
sospendere il decreto Romani del 3 marzo 2011 che ha bloccato lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Questo decreto varato, senza tener conto di quanto osservato da due rami del parlamento, ha cancellato retroattivamente impegni triennali assunti dal governo solo pochi mesi prima, spingendo le banche a chiudere il rubinetto del credito per le opere in corso, compromettendo la stabilità di oltre 150 mila famiglie e fermando i cittadini che avevano attivato le procedure per installare un impianto fotovoltaico.
Tutto ciò è avvenuto proprio alla vigilia di avvenimenti che sottolineano l'urgenza dello sviluppo di fonti energetiche basate su materie prime che abbiamo in casa: il sole, il vento, l'acqua. Il grave incidente alla centrale di Fukushima e il manifestarsi di concreti rischi di approvvigionamento di gas e petrolio a seguito di eventi non controllabili dal nostro Paese impongono di rivedere il vecchio modello energetico e devono sollecitare un'inversione di rotta anche delle politiche energetiche del governo.
Questo nuovo quadro offre una grande opportunità per le imprese italiane che negli ultimi anni, nonostante l'assenza di una strategia pubblica di largo respiro, sono state protagoniste di una formidabile rimonta che ha riportato il Paese in una posizione di testa nella corsa europea in questo settore strategico della green economy. Merito anche dello straordinario impegno di tanti presidenti di Regione e di Provincia, sindaci, amministratori e, soprattutto, cittadini che si sono impegnati direttamente in questa battaglia per la democrazia energetica, per riportare le redini dell'energia in Italia.
Occorre, dunque, uscire rapidamente da questa situazione di grave crisi che rischia di vanificare il grande sforzo compiuto gettando un'ombra sul futuro energetico. E si può farlo avviando una seria programmazione energetica e sospendendo per un anno l'entrata in vigore di tutti gli effetti limitativi della promozione delle fonti rinnovabili contenuti nel decreto n.28 del 3 marzo 2011 pubblicato il 28 Marzo 2011 sulla Gazzetta Ufficiale (con particolare riferimento al comma 10 dell'articolo 25) con ripristino provvisorio delle regole previgenti per:
1. evitare l'emanazione di una regolamentazione decisa sulla base di informazioni di parte e incomplete, alimentate da una campagna di disinformazione che ha ignorato gli obiettivi essenziali svolti dalle fonti rinnovabili: il rispetto degli impegni assunti dall'Italia in sede comunitaria al 2020; la tutela della salute dei cittadini messa a rischio dagli inquinanti prodotti dai combustibili fossili; la difesa della stabilità climatica minacciata dalla crescita dei gas serra.
2. difendere il principio della certezza del diritto su cui si basa la nostra democrazia e che è stato messo in discussione dalla cancellazione retroattiva delle garanzie governative in base alle quali cittadini e imprenditori hanno assunto impegni con il sistema creditizio.
Per firmare online:
http://www.sosrinnovabili.it/appello.htm
ROMA. Per semplificare la procedura di raccolta firme contro il decreto "ammazzarinnovabili" Sos Rinnovabili ha messo a disposizione sul suo sito una pagina elettronica che permette, con una procedura semplice e legale di tutela della privacy, di sottoscrivere la lettera, e di creare in automatico un database che, dicono gli organizzatori, «Provvederemo a "ribaltare" al ministero dello sviluppo Economico e simili».
Mentre scriviamo alla petizione hanno già aderito quasi 23.000 persone ma Sos rinnovabili ed i promotori puntano a fa «Sottoscrivere la lettera a più soggetti possibili (aziende, operai, lavoratori, semplici cittadini che difendono il bene del nostro paese), con il fine di raggiungere almeno 100.000 firme». Ecco il testo dell'appello:
Sos Rinnovabili, in nome di tutti i cittadini che lottano per un futuro più equo e più sicuro, chiede al Presidente della Repubblica, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, a tutti i membri del Parlamento, ai Presidenti Camera e Senato e ai Presidenti di tutte le Regioni di:
sospendere il decreto Romani del 3 marzo 2011 che ha bloccato lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Questo decreto varato, senza tener conto di quanto osservato da due rami del parlamento, ha cancellato retroattivamente impegni triennali assunti dal governo solo pochi mesi prima, spingendo le banche a chiudere il rubinetto del credito per le opere in corso, compromettendo la stabilità di oltre 150 mila famiglie e fermando i cittadini che avevano attivato le procedure per installare un impianto fotovoltaico.
Tutto ciò è avvenuto proprio alla vigilia di avvenimenti che sottolineano l'urgenza dello sviluppo di fonti energetiche basate su materie prime che abbiamo in casa: il sole, il vento, l'acqua. Il grave incidente alla centrale di Fukushima e il manifestarsi di concreti rischi di approvvigionamento di gas e petrolio a seguito di eventi non controllabili dal nostro Paese impongono di rivedere il vecchio modello energetico e devono sollecitare un'inversione di rotta anche delle politiche energetiche del governo.
Questo nuovo quadro offre una grande opportunità per le imprese italiane che negli ultimi anni, nonostante l'assenza di una strategia pubblica di largo respiro, sono state protagoniste di una formidabile rimonta che ha riportato il Paese in una posizione di testa nella corsa europea in questo settore strategico della green economy. Merito anche dello straordinario impegno di tanti presidenti di Regione e di Provincia, sindaci, amministratori e, soprattutto, cittadini che si sono impegnati direttamente in questa battaglia per la democrazia energetica, per riportare le redini dell'energia in Italia.
Occorre, dunque, uscire rapidamente da questa situazione di grave crisi che rischia di vanificare il grande sforzo compiuto gettando un'ombra sul futuro energetico. E si può farlo avviando una seria programmazione energetica e sospendendo per un anno l'entrata in vigore di tutti gli effetti limitativi della promozione delle fonti rinnovabili contenuti nel decreto n.28 del 3 marzo 2011 pubblicato il 28 Marzo 2011 sulla Gazzetta Ufficiale (con particolare riferimento al comma 10 dell'articolo 25) con ripristino provvisorio delle regole previgenti per:
1. evitare l'emanazione di una regolamentazione decisa sulla base di informazioni di parte e incomplete, alimentate da una campagna di disinformazione che ha ignorato gli obiettivi essenziali svolti dalle fonti rinnovabili: il rispetto degli impegni assunti dall'Italia in sede comunitaria al 2020; la tutela della salute dei cittadini messa a rischio dagli inquinanti prodotti dai combustibili fossili; la difesa della stabilità climatica minacciata dalla crescita dei gas serra.
2. difendere il principio della certezza del diritto su cui si basa la nostra democrazia e che è stato messo in discussione dalla cancellazione retroattiva delle garanzie governative in base alle quali cittadini e imprenditori hanno assunto impegni con il sistema creditizio.
Per firmare online:
http://www.sosrinnovabili.it/appello.htm
A.M.Rivera- I fili spinati della nostra mediocrita'
Di fronte all’esodo, del tutto prevedibile, di alcune migliaia di migranti e profughi non potrebbe essere più indegna la farsa che si recita nell’infelice paese in cui è ci dato vivere, ormai padanizzato da Nord a Sud, con poche eccezioni. E stridente è il contrasto fra la nobiltà della primavera araba e la miseria delle italiche risposte all’esito scontato e secondario di questa straordinaria svolta storica: nient’altro che caos, disumanità, allarmismo sociale, competizione fra egoismi istituzionali, campi di concentramento, filo spinato, minacce di rimpatri collettivi, ronde “spontanee” e caccia ai fuggitivi perfino nell’ospitale Puglia. La giovane talpa ha ben scavato: il mélange mostruoso fra nazismo leghista, cinismo individualista e proprietario, provincialismo gretto e inconsapevole si mostra oggi come la biografia più autentica della nazione. Siamo il paese che è incapace o rifiuta di costringere alle dimissioni il suo despota mediocre, compagno di merende e di bunga-bunga dei tiranni travolti dalle rivoluzioni: uno che, dopo l’apocalisse giapponese, ha l’ardire di chiamare “tsunami umano” l’arrivo dei profughi. E dunque, con coerenza, ne esprimiamo a livello istituzionale e sociale gli atteggiamenti, i tic, gli umori indecenti. All’opposto e non per caso, l’eroismo e la generosità collettivi che hanno guidato la sollevazione tunisina si sono riflessi nella solidarietà, nell’altruismo, nella serena naturalezza con cui le popolazioni poverissime dei villaggi di confine - e le stesse istituzioni tunisine - hanno accolto l’arrivo di quasi 150mila profughi dalla Libia: in un paese di appena 10 milioni e mezzo di abitanti, in una fase di difficilissima transizione politica, sociale, economica.
Da noi – paese di più di 60 milioni di abitanti - sono bastati 20mila arrivi per innescare il ciclo perverso e cialtronesco del quale abbiamo detto, che va dall’insipienza e il caos alla loro strumentalizzazione allarmistica; dal disagio e rifiuto popolari al rimpallo di responsabilità fra istituzioni. E’ d’obbligo aggiungere che solo in apparenza è meno disgustosa la Francia che a Ventimiglia ricaccia oltre il confine i tunisini: per riscattare l’onore perduto, si fa per dire, Sarkozy e soci, anch’essi ex compagni di merende di Gheddafi e grandi protettori di Ben Ali, all’accoglienza e alla solidarietà preferiscono i bombardamenti “umanitari”.
Eppure in tutto questo non v’è alcun vincolo oggettivo, piuttosto volontà perverse o inettitudini soggettive.
P er parlare solo del livello istituzionale, onde garantire ai migranti il trattamento degno di un paese civile basterebbe realizzare un piano di ospitalità diffusa, organizzata per piccoli gruppi, e soprattutto emanare un decreto per la protezione temporanea, perfettamente prevista dalle norme attuali. Il che, fra l’altro, permetterebbe ai migranti di transitare nei paesi europei e di raggiungere la Francia o la Germania, cioè le loro mete reali, aggirando così il “blocco” di Ventimiglia. E’ quel che chiede la miriade di associazioni per la difesa dei diritti dei migranti, a partire dall’Arci. In modo assai più ambiguo, la protezione temporanea è evocata anche dal Pd, che però non resiste alla tentazione di chiedere altresì un “accordo con la Tunisia per gestire lo stop agli arrivi e la programmazione dei rimpatri”. Forse ignorano, i “democratici”, che in tal modo tradiscono la volontà e lo spirito della primavera araba, esemplificati di recente dalla dichiarazione del Forum economico e sociale della Tunisia. Il Forum chiede al proprio governo esattamente l’opposto: rifiutare “la richiesta delle autorità italiane riguardo al rimpatrio di massa e obbligatorio degli immigrati” e “interrompere l’attuazione degli accordi sulle questioni migratorie, stipulati con l’ex regime dittatoriale”.
Ma i nostri son duri di comprendonio. Ancora non hanno capito che la libertà per la quale i giovani tunisini ed egiziani, forse anche i libici, hanno lottato e lottano è anche libertà di movimento. I giovani rivoltosi che hanno sperimentato virtualmente il diritto alla mobilità – con blog, facebook e altre reti sociali – che perciò già ora si sentono parte di una comunità globale senza frontiere, non accettano più (ammesso che l’abbiamo mai accettato) il confinamento coatto entro i recinti nazionali. Con le loro rivoluzioni essi hanno decretato di essere parte quanto meno di un’unica regione euromediterranea. Di sicuro le ragioni che li spingono a mettere a rischio la vita imbarcandosi nelle solite carrette del mare sono molteplici quanto le biografie di ciascuno. Per molti giovani proletari tunisini la transizione, con il crollo del settore del turismo e del suo vasto indotto informale, significa perdita di lavoro e reddito, impossibilità di mantenere la famiglia. Per altri di loro, essa rappresenta, con l’allentamento della sorveglianza poliziesca, l’occasione per realizzare finalmente il progetto migratorio che avevano nel cassetto. Per molti partire, andare a vedere che c’è sull’altra sponda, è semplicemente il corollario della libertà conquistata con la sollevazione.
Pensare di costringere tali aspirazioni entro i fili spinati della nostra mediocrità pigra e incattivita, del nostro egoismo inetto a provinciale, è semplicemente dissennato poiché va nella direzione opposta a quella dei desideri collettivi altrui e del movimento storico. Già ora nei recinti di filo spinato si aprono squarci e vie di fuga. E a proposito: perché noi, i veri “volenterosi”, non ci armiamo di cesoie, reali oltre che simboliche, per incoraggiare il corso della storia?
Annamaria Rivera
Fonte www.liberazione.it
Da noi – paese di più di 60 milioni di abitanti - sono bastati 20mila arrivi per innescare il ciclo perverso e cialtronesco del quale abbiamo detto, che va dall’insipienza e il caos alla loro strumentalizzazione allarmistica; dal disagio e rifiuto popolari al rimpallo di responsabilità fra istituzioni. E’ d’obbligo aggiungere che solo in apparenza è meno disgustosa la Francia che a Ventimiglia ricaccia oltre il confine i tunisini: per riscattare l’onore perduto, si fa per dire, Sarkozy e soci, anch’essi ex compagni di merende di Gheddafi e grandi protettori di Ben Ali, all’accoglienza e alla solidarietà preferiscono i bombardamenti “umanitari”.
Eppure in tutto questo non v’è alcun vincolo oggettivo, piuttosto volontà perverse o inettitudini soggettive.
P er parlare solo del livello istituzionale, onde garantire ai migranti il trattamento degno di un paese civile basterebbe realizzare un piano di ospitalità diffusa, organizzata per piccoli gruppi, e soprattutto emanare un decreto per la protezione temporanea, perfettamente prevista dalle norme attuali. Il che, fra l’altro, permetterebbe ai migranti di transitare nei paesi europei e di raggiungere la Francia o la Germania, cioè le loro mete reali, aggirando così il “blocco” di Ventimiglia. E’ quel che chiede la miriade di associazioni per la difesa dei diritti dei migranti, a partire dall’Arci. In modo assai più ambiguo, la protezione temporanea è evocata anche dal Pd, che però non resiste alla tentazione di chiedere altresì un “accordo con la Tunisia per gestire lo stop agli arrivi e la programmazione dei rimpatri”. Forse ignorano, i “democratici”, che in tal modo tradiscono la volontà e lo spirito della primavera araba, esemplificati di recente dalla dichiarazione del Forum economico e sociale della Tunisia. Il Forum chiede al proprio governo esattamente l’opposto: rifiutare “la richiesta delle autorità italiane riguardo al rimpatrio di massa e obbligatorio degli immigrati” e “interrompere l’attuazione degli accordi sulle questioni migratorie, stipulati con l’ex regime dittatoriale”.
Ma i nostri son duri di comprendonio. Ancora non hanno capito che la libertà per la quale i giovani tunisini ed egiziani, forse anche i libici, hanno lottato e lottano è anche libertà di movimento. I giovani rivoltosi che hanno sperimentato virtualmente il diritto alla mobilità – con blog, facebook e altre reti sociali – che perciò già ora si sentono parte di una comunità globale senza frontiere, non accettano più (ammesso che l’abbiamo mai accettato) il confinamento coatto entro i recinti nazionali. Con le loro rivoluzioni essi hanno decretato di essere parte quanto meno di un’unica regione euromediterranea. Di sicuro le ragioni che li spingono a mettere a rischio la vita imbarcandosi nelle solite carrette del mare sono molteplici quanto le biografie di ciascuno. Per molti giovani proletari tunisini la transizione, con il crollo del settore del turismo e del suo vasto indotto informale, significa perdita di lavoro e reddito, impossibilità di mantenere la famiglia. Per altri di loro, essa rappresenta, con l’allentamento della sorveglianza poliziesca, l’occasione per realizzare finalmente il progetto migratorio che avevano nel cassetto. Per molti partire, andare a vedere che c’è sull’altra sponda, è semplicemente il corollario della libertà conquistata con la sollevazione.
Pensare di costringere tali aspirazioni entro i fili spinati della nostra mediocrità pigra e incattivita, del nostro egoismo inetto a provinciale, è semplicemente dissennato poiché va nella direzione opposta a quella dei desideri collettivi altrui e del movimento storico. Già ora nei recinti di filo spinato si aprono squarci e vie di fuga. E a proposito: perché noi, i veri “volenterosi”, non ci armiamo di cesoie, reali oltre che simboliche, per incoraggiare il corso della storia?
Annamaria Rivera
Fonte www.liberazione.it
domenica 3 aprile 2011
Mamadou Ly,Costa d'Avorio,ne' con Ouattara,ne' con Gbagbo
Per la tolleranza e la riconciliazione.
di Mamadou Ly
da La Comune
La situazione nel Paese sta sanguinosamente precipitando. Le mediazioni e i negoziati per risolvere la contesa per la presidenza della repubblica tra Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara hanno lasciato il posto e la parola ai cannoni e ai kalashnikov. In questa settimana lo scontro politico-militare ha conosciuto una drammatica escalation, il regolamento dei conti sembra giungere a termine, a discapito di Laurent Gbagbo, presidente in carica da 10 anni. Il bilancio in vite umane è altissimo: diverse fonti parlano di migliaia di morti, nella stragrande maggioranza dei casi civili, e di incalcolabili danni materiali. Alle vittime ed alle distruzioni direttamente causate dai combattimenti nelle città e nelle campagne si aggiungono le conseguenze dei tremendi danni coscienziali, che spingono settori popolari a farsi diretti protagonisti di violenze inenarrabili, responsabili di stragi come quella compiuta a Duékoué, dove secondo la Croce rossa internazionale sono state uccise 800 persone nella sola giornata di lunedì 28 marzo; di giorno in giorno si stanno scoprendo diverse fosse comuni.
Il costo in vite umane della contesa politica e per il controllo e il monopolio delle istituzioni statali è sempre troppo elevato; in Costa d’Avorio esso ha assunto proporzioni drammatiche. Le popolazioni civili ne sono le principali vittime, cinicamente messe nel conto da chi si aggrappa fino in fondo al potere oppressivo e da chi ne pretende la titolarità, a tutti i costi. Non importa chi prevarrà tra Ouattara e Gbagbo, di sicuro le popolazioni che vivono o vivevano in Costa d’Avorio hanno pagato un costo altissimo alla loro contesa, e purtroppo i massacri continuano, con la partecipazione e la complicità di settori popolari.
Non ci schieriamo né con Ouattara né con Gbagbo, perché al di là delle loro responsabilità specifiche nell’ultima fase dello scontro concorrono entrambi per il monopolio del potere oppressivo. Lo fanno secondo logiche e criteri inevitabilmente politici e bellici che non possono in nessun modo giovare alle popolazioni della Costa d’Avorio. Esse possono trovare la via della pace e del miglioramento complessivo della loro vita solo se la penseranno e la cercheranno per tutte e tutti, al di là dell’appartenenza etnica o religiosa, della regione e persino del paese di origine. Perciò e nell’immediato è necessario un impegno di tutte e tutti per una reciproca tolleranza come primo ma decisivo passo per affrontare e liberarsi dei veleni, delle divisioni e delle lacerazioni, per ingaggiarsi sulla strada della ricomposizione in chiave interetnica della società in Costa d’Avorio e nell’area. In questo senso vogliamo impegnarci anche qui, rivolgendoci a chiunque voglia operare in questo senso con noi, a cominciare dalle ivoriane e dagli ivoriani che vivono in Italia.
Fonte www.lacomuneonline.it
di Mamadou Ly
da La Comune
La situazione nel Paese sta sanguinosamente precipitando. Le mediazioni e i negoziati per risolvere la contesa per la presidenza della repubblica tra Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara hanno lasciato il posto e la parola ai cannoni e ai kalashnikov. In questa settimana lo scontro politico-militare ha conosciuto una drammatica escalation, il regolamento dei conti sembra giungere a termine, a discapito di Laurent Gbagbo, presidente in carica da 10 anni. Il bilancio in vite umane è altissimo: diverse fonti parlano di migliaia di morti, nella stragrande maggioranza dei casi civili, e di incalcolabili danni materiali. Alle vittime ed alle distruzioni direttamente causate dai combattimenti nelle città e nelle campagne si aggiungono le conseguenze dei tremendi danni coscienziali, che spingono settori popolari a farsi diretti protagonisti di violenze inenarrabili, responsabili di stragi come quella compiuta a Duékoué, dove secondo la Croce rossa internazionale sono state uccise 800 persone nella sola giornata di lunedì 28 marzo; di giorno in giorno si stanno scoprendo diverse fosse comuni.
Il costo in vite umane della contesa politica e per il controllo e il monopolio delle istituzioni statali è sempre troppo elevato; in Costa d’Avorio esso ha assunto proporzioni drammatiche. Le popolazioni civili ne sono le principali vittime, cinicamente messe nel conto da chi si aggrappa fino in fondo al potere oppressivo e da chi ne pretende la titolarità, a tutti i costi. Non importa chi prevarrà tra Ouattara e Gbagbo, di sicuro le popolazioni che vivono o vivevano in Costa d’Avorio hanno pagato un costo altissimo alla loro contesa, e purtroppo i massacri continuano, con la partecipazione e la complicità di settori popolari.
Non ci schieriamo né con Ouattara né con Gbagbo, perché al di là delle loro responsabilità specifiche nell’ultima fase dello scontro concorrono entrambi per il monopolio del potere oppressivo. Lo fanno secondo logiche e criteri inevitabilmente politici e bellici che non possono in nessun modo giovare alle popolazioni della Costa d’Avorio. Esse possono trovare la via della pace e del miglioramento complessivo della loro vita solo se la penseranno e la cercheranno per tutte e tutti, al di là dell’appartenenza etnica o religiosa, della regione e persino del paese di origine. Perciò e nell’immediato è necessario un impegno di tutte e tutti per una reciproca tolleranza come primo ma decisivo passo per affrontare e liberarsi dei veleni, delle divisioni e delle lacerazioni, per ingaggiarsi sulla strada della ricomposizione in chiave interetnica della società in Costa d’Avorio e nell’area. In questo senso vogliamo impegnarci anche qui, rivolgendoci a chiunque voglia operare in questo senso con noi, a cominciare dalle ivoriane e dagli ivoriani che vivono in Italia.
Fonte www.lacomuneonline.it
venerdì 1 aprile 2011
Petrolio, rischio di una inpennata dei prezzi e non solo per la guerra in Libia
L' articolo che segue e' del 30 marzo 2011, oggi sabato 2 aprile alle 06,30 i prezzi del petrolio sono Brent 119,12 $/b, WTI 108,42 $/b, ai massimi dal settembre 2008. Un prezzo alto prolungato nel tempo porta verso una recessione economica e un crollo del prezzo stesso, in questo caso pero' essendo il consumo gia' lento nei paesi OCSE e in aumento nei paesi emergenti soprattutto per l' aumento del consumo dei trasporti alcuni particolari di questa situazione sono inediti e le reazioni alla crisi tutte da verificare.Ricordo inoltre che nel novembre 2010 il rapporto IEA 2010 sull' energia aveva annunciato, un po' a sorpresa, che il picco produttivo del petrolio convenzionale era gia' stato toccato e che la produzione non sarebbe piu' cresciuta; il petrolio libico e' del tipo migliore, il piu' adatto alla raffinazione delle benzine;il consumo medio mondiale nel 2010 e' cresciuto dell' 1-2% ed e' tornato sopra i livelli rekord pre-crisi del 2007;il prezzo del Brent dal mese di gennaio era gia' superiore in modo anomalo al prezzo del WTI; nel 2004 dopo un anno dall' inizio della guerra in Iraq si diceva che il prezzo di 40 $/b era dovuto a questa guerra e sarebbe poi tornato almeno a 25 $/b.......
I piani petroliferi di Riad risvegliano l'incertezza
di Sissi Bellomo
La notizia che l'Arabia Saudita intende moltiplicare il numero di trivelle per l'estrazione di petrolio ha diffuso un certo allarme tra gli analisti, suggerendo la possibilità che Riad tema di non riuscire a mantenere a lungo – o addirittura ad accrescere – gli attuali ritmi di produzione, per compensare la perdita del greggio dalla Libia e forse, in prospettiva, da altri Paesi.
A segnalare che alcune società di servizi erano state convocate da Saudi Aramco per concordare un'accelerazione delle attività nel paese è stato Bill Herbert, analista della Simmons & Co. Il suo fondatore, Matt Simmons, scomparso l'estate scorsa, uno dei più noti sostenitori della teoria del picco del petrolio, aveva spesso messo in dubbio le potenzialità dell'industria petrolifera saudita, segnalando che le riserve del paese potrebbero essere "gonfiate" e che comunque la conformazione geologica dei pozzi non avrebbe consentito di accrescere in modo rilevante e prolungato la produzione di greggio.
Secondo Herbert, i sauditi puntano ad accrescere il numero di trivelle da 92 a 118 (+28%) in un anno a partire da giugno. Due big del settore, Halliburton e Backer Hughes, hanno in seguito confermato di aver avuto incontri d'affari in vista di un'accelerazione delle operazioni a Manifa: un giacimento di petrolio pesante, che un tempo Riad contava di avviare nel 2011, ma di cui aveva poi rinviato lo sviluppo, a causa della recessione. I nuovi piani prevedevano che il primo greggio sgorgasse nel 2013, al ritmo di 500mila barili al giorno, mentre la piena produzione sarebbe stata di 900mila bg nel 2024. L'intenzione era quella di utilizzare Manifa per rifornire le future maxi-raffinerie di Yanbu e Jubail, liberando greggio più leggero per l'export. L'accelerazione nello sviluppo potrebbe anche essere legata alla recente firma di un memorandum d'intesa con la cinese Sinopec per la realizzazione di Yanbu.
Ma non tutti condividono una lettura ottimistica. Barclays Capital, ad esempio, osserva in una nota che l'aumento del numero di trivelle «non segnala un prossimo aumento della capacità produttiva, quanto piuttosto il tentativo del regno saudita di accelerare l'attivazione dell'attuale capacità di riserva e di mantenerla».
Stando alle cifre ufficiali, Riad da circa un mese ha accresciuto l'output di greggio da 8 a 9 milioni di barili al giorno, riducendo così a 3,5 mbg la sua capacità di riserva: un "cuscinetto" più che mai prezioso in questo periodo di gravi disordini nel mondo arabo. Se il suo ruolo di "banchiere centrale del petrolio" si rivelasse un bluff, per i mercati sarebbe una tragedia.
Le quotazioni già oggi sono in forte tensione (il Brent ha chiuso a 115,16 $/bbl). L'Agenzia internazionale per l'energia, riferisce il Financial Times, stima che se resteranno su questi livelli l'Opec nel 2011 incasserà per la prima volta più di mille miliardi di dollari.
30 marzo 2011
Fonte www.sole24ore.com
Questo articolo del sole24ore e' di mercoledi' 30 marzo, giovedi' 31 marzo le quotazioni di WTI e Brent sono ai massimi del periodo dopo il crollo dei prezzi del 2008. Rispettivamente 106,89 $/b e 117,25 $/b.
La produzione mondiale e' ormai vicina ai suoi massimi e la guerra libica potrebbe essere sufficiente a rompere l' equilibrio instabile del rapporto domanda-offerta.
I piani petroliferi di Riad risvegliano l'incertezza
di Sissi Bellomo
La notizia che l'Arabia Saudita intende moltiplicare il numero di trivelle per l'estrazione di petrolio ha diffuso un certo allarme tra gli analisti, suggerendo la possibilità che Riad tema di non riuscire a mantenere a lungo – o addirittura ad accrescere – gli attuali ritmi di produzione, per compensare la perdita del greggio dalla Libia e forse, in prospettiva, da altri Paesi.
A segnalare che alcune società di servizi erano state convocate da Saudi Aramco per concordare un'accelerazione delle attività nel paese è stato Bill Herbert, analista della Simmons & Co. Il suo fondatore, Matt Simmons, scomparso l'estate scorsa, uno dei più noti sostenitori della teoria del picco del petrolio, aveva spesso messo in dubbio le potenzialità dell'industria petrolifera saudita, segnalando che le riserve del paese potrebbero essere "gonfiate" e che comunque la conformazione geologica dei pozzi non avrebbe consentito di accrescere in modo rilevante e prolungato la produzione di greggio.
Secondo Herbert, i sauditi puntano ad accrescere il numero di trivelle da 92 a 118 (+28%) in un anno a partire da giugno. Due big del settore, Halliburton e Backer Hughes, hanno in seguito confermato di aver avuto incontri d'affari in vista di un'accelerazione delle operazioni a Manifa: un giacimento di petrolio pesante, che un tempo Riad contava di avviare nel 2011, ma di cui aveva poi rinviato lo sviluppo, a causa della recessione. I nuovi piani prevedevano che il primo greggio sgorgasse nel 2013, al ritmo di 500mila barili al giorno, mentre la piena produzione sarebbe stata di 900mila bg nel 2024. L'intenzione era quella di utilizzare Manifa per rifornire le future maxi-raffinerie di Yanbu e Jubail, liberando greggio più leggero per l'export. L'accelerazione nello sviluppo potrebbe anche essere legata alla recente firma di un memorandum d'intesa con la cinese Sinopec per la realizzazione di Yanbu.
Ma non tutti condividono una lettura ottimistica. Barclays Capital, ad esempio, osserva in una nota che l'aumento del numero di trivelle «non segnala un prossimo aumento della capacità produttiva, quanto piuttosto il tentativo del regno saudita di accelerare l'attivazione dell'attuale capacità di riserva e di mantenerla».
Stando alle cifre ufficiali, Riad da circa un mese ha accresciuto l'output di greggio da 8 a 9 milioni di barili al giorno, riducendo così a 3,5 mbg la sua capacità di riserva: un "cuscinetto" più che mai prezioso in questo periodo di gravi disordini nel mondo arabo. Se il suo ruolo di "banchiere centrale del petrolio" si rivelasse un bluff, per i mercati sarebbe una tragedia.
Le quotazioni già oggi sono in forte tensione (il Brent ha chiuso a 115,16 $/bbl). L'Agenzia internazionale per l'energia, riferisce il Financial Times, stima che se resteranno su questi livelli l'Opec nel 2011 incasserà per la prima volta più di mille miliardi di dollari.
30 marzo 2011
Fonte www.sole24ore.com
Questo articolo del sole24ore e' di mercoledi' 30 marzo, giovedi' 31 marzo le quotazioni di WTI e Brent sono ai massimi del periodo dopo il crollo dei prezzi del 2008. Rispettivamente 106,89 $/b e 117,25 $/b.
La produzione mondiale e' ormai vicina ai suoi massimi e la guerra libica potrebbe essere sufficiente a rompere l' equilibrio instabile del rapporto domanda-offerta.
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