martedì 8 gennaio 2013

Siria - Aqrab: la tragedia che nessuno vuol ricordare - di Pierangela Zanzottera, da Sibialiria.org


Aqrab: la tragedia che nessuno vuole ricordare
di Pierangela Zanzottera
Il 2 dicembre 2012, circa cinquecento abitanti del villaggio di Aqrab, nella provincia centrale di Hama, sono stati rapiti e fatti prigionieri in una palazzina a due piani di proprietà di Abu Ismail. Tra loro molte donne e bambini, oltre a giovani e anziani. Tutti alauiti.
Durante i nove giorni di prigionia, che pochi – pare una settantina – sono riusciti a testimoniare dopo una fortunosa fuga, mentre degli altri non ci sono notizie, sono stati costretti a sopportare l'insopportabile: secondo alcuni racconti, donne costrette dalla sete a raccogliere con i panni l'acqua piovana, anziani indotti a leccare i muri della triste prigionia per rigenerarsi con l'umidità.
Nove giorni di prigionia in una stanza avvolta da buio e freddo pungente, quasi senza cibo (alcuni testimoni hanno raccontato che per i bambini veniva riservata una pagnotta secca ogni due giorni), con pochissima acqua (appositamente contaminata dagli aguzzini per renderla imbevibile), senza alcuna possibilità di proteggersi dal rigore invernale: un quadro di desolante disperazione.
In realtà, cosa sia accaduto esattamente a Aqrab ancora non è del tutto chiarito, sebbene sia passato ormai un mese, ma quel che è certo è che i particolari che vanno via via emergendo sono sempre più inquietanti e dolorosi.
In particolare, i misteri si infittiscono quando si tenta di ricostruire quanto accaduto nella notte tra l'11 e il 12 dicembre. Una data non casuale, visto che siamo alla vigilia dell'incontro di Marrakech per la Siria. Qui le fonti raccontano accadimenti affatto dissimili.
La mattina del 12 dicembre molti media, anche nostrani, riportavano la notizia di una strage operata dai militari di Assad. In modo molto confuso si faceva cenno a dei bombardamenti aerei che avevano causato 125 morti. La fonte era, ancora una volta, il molto parziale Osservatorio siriano sui diritti umani,da Londra il quale falsamente lascia intendere che la zona colpita sia di un centro abitato unicamente da alauiti e il quale, però, aggiunge: "Non possiamo sapere se i ribelli erano dietro a questo attacco, ma se così fosse, questo sarebbe il più grande attacco su larga scala per vendetta contro gli alauiti".
Intanto la rete si riempie di testimonianze di presunti superstiti (una donna e un ragazzo) diffusi dalle milizie del "libero esercito". E una diversa versione viene narrata: la colpa, proprio come per Hula, viene attribuita agli shabbiha, che avrebbero usato i civili come scudi umani o che li avrebbero tenuti prigionieri con la scusa di difenderli salvo poi decidere di ucciderli per evitare che cadessero nelle mani dei criminali del "libero esercito" e sottoposti a torture e morte certa. La donna addirittura arriva a dire che sono state le donne stesse ad uccidere le ragazzine per timore che potessero essere prelevate dagli armati della brigata estremista che li aveva in ostaggio per violentarle e ucciderle tra inimmaginabili torture.
Nei brevi video, nei quali non si mostrano mai vittime del presunto massacro o di ipotetici bombardamenti, emerge, tra le righe, un quadro inconcludente con poche testimonianze all'interno di quella che sembra essere una clinica improvvisata, dei lampi di settarismo (come quando uno degli armati dice al ferito "guarisci presto, anche se sei un alauita").
Sul fronte opposto, siti d'informazione filogovernativi denunciano in quelle stesse ore un massacro di 180-210 alauiti, uccisi insieme a circa 20 sunniti che cercavano di difenderli dagli attacchi delle bande armate d'opposizione (http://www.syriatruth.org/news/tabid/93/ Article/8773/Default.aspx), o, altrove, di un totale di 235 persone massacrate, tra cui 88 tra donne e bambini a opera di militanti stranieri 'takfiri' (http://www.shukumaku.com/ Content.php?id=55016). Link ad alcune testimonianze raccolte: http://www.alkhabar-ts.com/index.php? page=view_news&id=0f575cff9f35053fd5b9194ce0d51c8fe714f29cd5ef825a51f66b270 4ffd80f#ixzz2EtQlotd7
Dal canto suo, invece, il governo siriano il giorno stesso dirama un comunicato molto stringato nel quale si dice che ad Aqrab non c'è stato nessun massacro. Nel corso delle ore, le informazioni vanno scemando, alcuni iniziano a parlare di decine di vittime e in pochi giorni la notizia entra nel grande calderone del dimenticatoio.
 Una svolta nella ricostruzione dell'accaduto sembra arrivare da Alex Thomson, il giornalista di Channel Four è il primo occidentale a raggiungere il luogo e incontrare testimoni oculari (Link al video sot tot itolato in italiano: http://www.youtube.com/watch? feature=player_embedded&v=EoGDdtSfe5Q).
Emerge così un'altra verità (avvalorata dal modus operandi scelto dal giornalista che interpella i tre testimoni separatamente per far sì che le loro versioni non si influenzino a vicenda).
Ecco la sua ricostruzione: i ribelli avrebbero rapito centinaia di alauiti, tra loro molte donne e bambini che sarebbero dovuti servire come scudi umani, dopo l'intervento degli anziani e notabili del luogo (ufficiale dell'esercito in pensione, Hamid Azzudin, l'imam sunnita, sheikh Sayid Hawash, e il sindaco, Hashab) e oltre 4 ore di trattative, conclusesi alle 20 del lunedì, segue una sparatoria fino a mezzanotte, quando, sembra, si giunge ad un accordo.
A quel punto pare che una settantina di ostaggi vengano spostati in auto in un altro villaggio poco distante, tra loro anche i protagonisti dei video diffusi, sembra invece accertata la morte di una decina di loro, degli altri, invece, da quel momento nessuno racconta più nulla. Sono stati uccisi, come vuole una versione? Sono ancora nelle mani dei rapitori, come raccontano altri? Allo stato dei fatti, anche per rispetto di queste vite, non è possibile procedere più a fondo con le supposizioni.
Gli interpellati raccontano di personaggi con barbe lunghe, abiti non siriani e una parlata non locale.
Hayat Youseh ha raccontato di aver lasciato là il marito e che il figlio diciottenne ferito alla gamba per oltre 12 giorni non era stato soccorso in alcun modo; il giovane sedicenne Ali al-Hosin racconta di aver lasciato là i genitori e 23 parenti; Madlyan Hosin, invece, ha ancora intrappolati gli zii (due delle quali gravide).
Tra le incongruenze più palesi sottolineate da Thomson c'è il fatto che l'edifico, indicato da tutti come luogo di prigionia, non è stato in alcun modo bombardato, risulta invece perfettamente integro esattamente come il resto del villaggio, oltre alla completa mancanza di immagini o video all'indomani della carneficina presunta. Eppure, parlando con abitanti dei villaggi circostanti, emergono nuovi inediti particolari sconvolgenti che, ancora una volta, confermano che qualcosa di terribile è accaduto ad Aqrab.
Una donna, che ancora scossa per l'accaduto, mi ha rivelato di aver perso in questa tragedia 22 familiari, ha raccontato che le donne rapite sono state denudate e costrette a percorrere la strada che collega Aqrab con un villaggio vicino (circa tre chilometri). Un dettaglio che va ad aggiungersi ai molti altri in un quadro sempre più cupo e truce. Tutti i siriani interpellati concordano su un punto: questa non è la loro Siria, il paese in cui hanno sempre vissuto in modo sicuro, ma è solo un'immagine distorta da film.
In qualunque modo si sia sviluppata la vicenda di Aqrab, resta la certezza di fatti di una gravità inaudita che non fanno altro che acuire una volta di più la profondità della spaccatura settaria e dare vita a una guerra civile su base religiosa e nazionale. Il numero dei martiri in questo strazio senza fine appare quasi secondario rispetto alle sofferenze che queste persone hanno dovuto sopportare: privati di tutto, profondamente lesi nella dignità, costretti a sopportare uno scempio settario.
Un atto disumano, i cui autori e ideatori meritano le peggiori condanne, così come i media ufficiali che hanno dimostrato unicamente disprezzo assoluto per questo sangue innocente, che sembra non meritare neppure il nostro ricordo e le nostre indagini. Una delle più brutali vicende in assoluto in Siria.
Aqrab rimarrà come una macchia indelebile a pesare sulle coscienze di tutti: gli indifferenti e quanti propendono da una delle parti in causa. Rimarrà a ricordare quanto gli uomini – se ancora si possono definire tali i mostri che sono riusciti a concepire e originare simili barbarie – possano cadere in basso, perché non si tratta solo di un eccidio, non si tratta solo della vita di 200 o 300 – 200!! 300!! – innocenti, non si tratta solo di morte, ma di tortura senza limite, di umiliazione senza senso, di lesione profonda della dignità umana.
Quello che è certo è che non si deve dimenticare, che è necessario fare luce su ogni minimo particolare che tutte le parti in causa sembrano voler cancellare o minimizzare, perché quelle vite erano e sono preziose e meritano di rimanere come un monito sul percorso che questa che molti si ostinano a definire "rivolta" ha ormai preso. 
Twitt

Nessun commento:

Posta un commento